2001 Argentina

operazione Aconcagua “il trekking dei trekking”

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Puente de l'Inca 2.725 m.

Una avventura del genere era relegata all’interno dei miei sogni già sei anni or sono. Dopo la straordinaria esperienza in Nepal sul Kala Pattar (montagna nera 5.575 m.) dove raggiunsi per la prima volta altezza impensabili per me, la mia mente era spesso conquistata, fagocitata dalla speranza un giorno di raggiungere la mitica cima dell’Aconcagua nelle Ande argentine. Allora era davvero più un sogno che reale speranza  ma dopo l’incredibile trekking sul Kilimanjaro (5.895 m.) nel 2000, ha cominciato a prendere vigore la consapevolezza di potercela fare e raggiungere così quote da capogiro (6.962 m.). Il trekking più alto del mondo necessitava però di grande preparazione e sacrificio così per circa sei mesi mi dedicai alla corsa raggiungendo una forma fisica che nemmeno in adolescenza conobbi. Tutto era pronto  anche con l’ausilio del tour operator di Mendoza che mi forniva guida e portatore per il tratto finale. Il 22 Novembre parto con direzione Madrid e quindi Buenos Aires dove prendo il volo per Mendoza. Cacho, la guida mi attende all’aeroporto. E’ un ragazzo serio, professionale, di poche parole con il quale instauro subito un buon rapporto. In albergo vuole visionare la mia attrezzatura dato che siamo in temporada baja e su in quota fa un freddo cane oltre al vento che potrebbe costituire un ulteriore problema. Il periodo migliore è Gennaio, Febbraio ma per ragioni di lavoro mi è stato impossibile organizzare per quel periodo. Le sue considerazioni meteo mi preoccupano un po’ ma sono abituato a soffrire e se fosse possibile mi si sta alzando ulteriormente il livello di adrenalina. La mattina seguente con la corriera raggiungiamo la località di Puente de l’Inca a 2.725 metri salendo verso la zona andina e costeggiando il rio Mendoza. Mentre Cacho organizza con gli “arreros” il trasporto di zaini e tende fino al campo base di Plaza de Mulas (4.370 m) io visito la zona delle vecchie terme dove sgorgano una mezza dozzina di sorgenti a 28°C  ricchissime di carbonato di calcio che coprono qualsiasi cosa di uno strato colore giallo-ocra. Il sito prende il nome da un’arcata di pietra naturale che scavalca la corrente del rio Cueva. Fa freddo e il vento è un compagno continuo ma è meglio che incomincio ad abituarmi fin da ora. Domani avrà inizio il più faticoso trekking del mondo! La prima tappa inizia all’ingresso del “ parque nacional de l’Aconcagua” e superati i 2.900 metri della bella laguna des Horcones il sentiero prosegue superando attraverso un ponte tibetano il rio Horcones. Già si staglia all’orizzonte il versante sud della più alta montagna del continente americano. La sua parete di 2.500 metri concorre con la parete ovest del Manaslù e la sud dell’Annapurna per essere la più alta e difficile del mondo. Si prosegue con bei paesaggi di montagne selvagge in modo regolare e tranquillo. La mia andatura è moderata e la respirazione controllata fino all’estremo. Non voglio in alcun modo forzare e trovarmi poi a combattere con il mal di montagna che minerebbe il fisico e la chance di portare a termine il trekking. Dopo cinque ore raggiungiamo il 1° campo di Confluencia a 3.300 metri. La salita è stata abbastanza dura ma con il mio passo “tattico” ho contenuto lo sforzo in limiti assolutamente gestibili se non fosse che durante la cena Cacho mi consiglia per le prossime tappe di aumentare un po’ l’andatura per rispettare i tempi di marcia delle tappe future. Domani dovrò dimostrare tutto il mio carattere perché sarà una tappa terribile di dieci ore che ci porterà al campo base di Plaza de Mulas a 4.370 metri di altezza. Si parte alle 7.30 salendo un costone abbastanza ripido fino alle propaggini della Playa Ancha, una distesa pianeggiante di sabbia e pietre lunga dodici chilometri che incute molto timore ai trekkinisti che vi transitano. Normalmente è battuta da forti venti provenienti dall’Oceano Pacifico che creano mulinelli di sabbia contro i quali  non ci si può opporre. La sabbia ti entra ovunque, persino nelle mutande ma oggi il tempo è stupendo e non tira un alito di vento. E’ una condizione fortunata da queste parti e voglio sfruttarla per aumentare di un po’ l’andatura. In lontananza il famoso monte Dedo che sembra però non avvicinarsi mai abbattendo le forze psichiche. Il vento si sta alzando ma raggiungiamo la fine di questa sconfinata distesa prima che possa crearci grandi fastidi. Io però sono stanco, molto stanco, i dodici chilometri della Playa Ancha mi hanno lavorato ai fianchi in modo preoccupante ed ora che si deve salire vedo materializzarsi lo spettro della sconfitta. Questa tappa è realmente tremenda con  ventisei chilometri di sentiero fra sabbia, pietre fra le quali è sempre nascosto il rischio di distorsioni alle caviglie drammatiche, guadi ed ora anche i penitentes, distese di ghiacci che il vento ha modellato  formando dei curiosi pinnacoli, stalagmiti attraverso i quali bisogna procedere. Il respiro viene di continuo spezzato ed è sempre presente il rischio di rischiose scivolate. Anche Cacho è stanco ma lui è una roccia che macina metri come un Caterpillar. L’aveva detto ieri che questa sarebbe stata la tappa più dura dopo quella finale ed infatti mi ritrovo a far ricorso sempre più spesso alle risorse della volontà. Lo zaino ora è un fardello insopportabile che mi piega la schiena. Lo stress a cui sto sottoponendo il mio corpo è semplicemente inenarrabile e non riguarda più solamente un discorso fisico ma prevalentemente un non corretto approccio alla tappa che mi ha fiaccato a livello psichico e più volte penserò all’eventualità di lasciare perdere. Sono undici le ore di marcia fino ad ora e sono  di fronte a una delle ascese più ripide di tutto il trekking “la subida brava”. Letteralmente significa “salita cattiva, dura” e a nulla varrà l’aiuto morale di Cacho. Non ne ho più e non so proprio come farò a proseguire nei prossimi giorni. Solo con ripetuti momenti di sosta forzata riesco a trascinarmi fino alle tende del campo base e ricordo bene di non aver mai fatto così tanta fatica in vita mia. Tredici ore di trekking sui dieci programmati ma ora l’Aconcagua  è qui di fronte a me ed il sole che sta tramontando tramuta le sue rocce in rosso fuoco. Devo capire al più presto dove ho sbagliato perché non avrebbe senso proseguire in questo modo, non ci sono speranze di successo finale! Intanto posso godere del mio giorno di acclimatamento. La notte trascorre abbastanza bene con una temperatura di circa 0°C. Stamani con Cacho punto della situazione. Mi dice di non pensare alla vetta ma solo ad arrivare a Nido de Condores (5.350 m.) poi li dove è programmato il secondo giorno di acclimatamento si vedrà. Dopo un po’ di pratica all’uso dei ramponi mi mette in guardia sui rischi di congelamento dita e sulla tecnica per accorgersi dell’insorgenza di questo grave fenomeno. L’Aconcagua è la montagna del vento e si sa che questo fattore può far abbassare notevolmente la temperatura già di per se molto bassa ma quando si presenta il “viento blanco” che può soffiare anche a 200 km/ora è impossibile qualsiasi cosa, si alza la neve e la visibilità diventa quasi nulla. Da domani saranno necessarie anche le ghette per evitare che neve o pietrisco entrino all’interno degli scarponi. Ho l’adrenalina a mille e voglio subito verificare le mie condizioni. Dopo una notte di riposo alle 10.15 del 28 Novembre si riparte ed è subito un tratto impegnativo, d’ora in avanti non ci sono sconti, è tutta salita che bisogna affrontare con passo costante e controllo della respirazione. Ho con me anche i bastoni con i quali mi aiuto nell’ascesa. E’ su questo terreno che sto per rinascere. Tengo una buona andatura dietro il portatore e la mia guida che ogni tanto si gira per controllarmi. Lui va su lento e costante e non ci si ferma quasi mai se non per qualche ripresa o foto. Sosta a Plaza Mexico per mangiare qualcosa dopo due ore di salita dura con asperità al 30-40% e poi si riparte raggiungendo lo spiazzo di Plaza Canada a 4.910 metri dove montiamo le tende. Abbiamo impiegato solo tre ore e cinquanta invece delle quattro-cinque che aveva previsto Cacho. Sto benissimo e sono contento di aver superato questa importante prova di oggi ma di notte sarà però un incubo con un vento molto forte che sbatterà  sulle pareti della tenda. Ricordo di aver provato molta paura in alcuni momenti quando sembrava che il vento potesse addirittura spezzare i lacci legati alle pietre. Di mattina Cacho mi dice che la temperatura è stata di -10°C. e il vento spirava a circa 70 km/ora. Quando il vento soffia  troppo e le corde si spezzano bisogna recuperare in tutta fretta la tenda, metterla nello zaino e scendere immediatamente dalla montagna. Non voglio nemmeno immaginare cosa possa significare a lato pratico! Per intanto questa notte è già stato un inferno con un freddo cane avvertito ancora di più nei momenti in cui bisognava uscire dal sacco a pelo per urinare. E’ un’esperienza basale ma che in tenda a queste altezze e questo freddo è davvero da “brividi”. La terza tappa fino a Cambio de Pendente a 5.100 metri è breve (2 ore) e anch’essa ben gestita. Tratti di ripida ascesa sono stati superati in discreta scioltezza. Il panorama intanto si sta facendo maestoso con ben visibili alcune montagne molto famose della catena montuosa andina come il Mercedario e il Tupungato. Durante l’ascesa si vede nitido sulla cima dell’Aconcagua il fenomeno del viento blanco e sicuramente chi era all’ultimo rifugio di Berlin in attesa di salire vi avrà rinunciato.  Cacho è contento della mia rinascita e dice che ho nelle gambe la ”cumbre(vetta)”. Confido anche sulla  fortuna che finora mi ha evitato condizioni meteo particolarmente impegnative o proibitive. Oggi ad esempio il tempo è stato splendido e senza vento. La quarta tappa è anch’essa breve (2 ore) anche se molto dura a causa della conformazione del terreno sul quale il piede con la sabbia e il pietrisco scivola rompendo il respiro. Nido de Condores a 5.350 metri è un buon banco d’esame. In caso di buona forma fin qui la vetta è possibile al 50%  al contrario è solo un sogno. Nel mio caso a parte il viso un po’ emaciato (dice Cacho che devo bere di più) mi sento bene e pronto ad affrontare le fatiche più dure. Qui a Nido de Condores dove oggi ci siamo solo noi è chiaramente visibile il percorso della vetta con il Gran Acarreo che andrà attraversato lungo la traversia, un tratto dove Cacho dice che il vento è imperioso e non manca mai. Quello sarà un punto durissimo con temperature pazzesche (-30°C – 40°C). Se si riesce a superare tutto questo poi c’è la Canaleta, nome sinistro che si traduce in una salita da incubo con pietrisco. Ora però devo pensare solo a Berlin e poi si vedrà. La nottata trascorre come al solito intrappolato nel sacco  a pelo infagottato con tutti gli indumenti possibili. Persino la parte interna degli scarponi è riparata all’interno per evitare che l’umidità possa ghiacciare e renderli inutilizzabili. Queste sono esperienze che non si dimenticheranno mai! La mia mente è alla vetta ma prima bisogna arrivare a Berlin e non è uno scherzo. La quinta tappa sarà davvero dura. La rarefazione dell’aria che qui all’Aconcagua è molto accentuata porta la sensazione di altezza almeno a 700-1000 metri più di quella effettiva. Il freddo è notevole ed il vento ogni tanto si fa sentire. Tre ore di costante salita senza alcun momento di riposo in falsopiano mettono a dura prova anche un superman come Cacho figurarsi io. Continui zigzagamenti fra rocce e zone ghiacciate dove bisogne stare attenti a non metterci lo scarpone. Alla fine ecco la capanna di legno di Berlin a 5.850 metri. Chi vuole potrà dormire al suo interno ma io deciderò per la tenda dove potrò godere di più libertà e potrò prepararmi meglio a livello psicologico all’impresa di domani. Sono le 13.00 e ci sono già 10 gradi sotto zero. Riunione con Cacho per chiarire le difficoltà di domani e per prima cosa mi avverte della difficoltà di filmare o fotografare prima della vetta. Le mani senza guanti per un solo minuto possono congelare col freddo e vento che troveremo. Domattina alle cinque si verificheranno le condizioni anche dei miei piedi e scarponi per non correre il rischio di congelamenti. Il freddo ed il vento saranno terribili e dovrò procedere con calma e con costanza. Sono contento di me stesso e di come ho condotto il trekking finora. Il mio scopo era infatti di raggiungere Berlin cosa non affatto scontata dato che molti non vi riescono stravolti dalla fatica e dal freddo. Ora tutto dipenderà dalla mia capacità di sopportare la sofferenza e dalla clemenza del clima. Sarà una notte da tregenda, in tenda a 5.850 metri, dentro un sacco a pelo che persino Cacho mi disse inadatto a questi freddi. Mi giro e mi rigiro in continuazione con mal di collo e un po’ di mal di gola che mi preoccupa non poco. Patologie bronco-polmonari a queste altezze possono essere anche fatali. Bevo più che posso ma urino anche tanto e farlo con i   27°C sotto zero di questa notte è un’esperienza drammatica. Con questo sono due giorni che non dormo per il freddo e l’adrenalina ma domattina se ci saranno le condizioni giuste sputerò sangue per arrivare fin sopra alla “ cumbre”. Quando arriva Cacho la mattina sono stravolto dalla nottata ma rimango esterrefatto nel notare che intorno a noi è tutto bianco. Senza che me ne accorgessi di notte ha nevicato e Cacho dice che per oggi non se ne parla di salire e le sue previsioni,dopo aver sentito col cellulare il campo base di Plaza de Mulas sono negative anche per domani. Purtroppo, a causa del ristretto tempo a mia disposizione non posso permettermi di rimanere a lungo qui in attesa che il meteo migliori e in un lampo matura la tremenda soluzione: tornare al campo base. Questa notte poi è stato così dura che il solo pensiero di trascorrerne un'altra simile non lo prendo neppure in considerazione. E’ duro abbandonare tutto a questo punto ma queste sono situazioni estreme e le mie condizioni fisiche(con un po’ di mal di gola) mi impongono anche della cautela. Avrei dato tutto quest’oggi per raggiungere la vetta ma devo essere razionale e onesto con me stesso. Non dormire per un’altra notte o due mi priverebbe di altre forze che invece sarebbero necessarie, indispensabili  per avere chance di successo nella salita fino alla vetta.  Dopo una colazione nella capanna di legno si scende lasciando solo il francese che anche lui avrebbe voluto tentare la vetta. Lui rimarrà(con la sua barbetta quasi ghiacciata) sperando in un miglioramento. Per adesso nevica anche se poco perciò dovremo prestare molta attenzione nella discesa. Si discende dalla direttissima uscendo dal sentiero perciò è molto più dura e i muscoli delle gambe devono costantemente frenare, gli occhiali si appannano in continuazione e talvolta si scivola sul pietrisco con ulteriore sforzo muscolare. Una spedizione sta salendo e non li invidio proprio. E’ una fila di 5-6 persone che si muovono lentamente come fossero sulla luna e fra la nebbia e la neve. Qui non si scherza ragazzi! C’è un freddo glaciale! A causa del parziale fallimento del viaggio è ancora più dura fare sforzi senza uno scopo ultimo che giustifichi la fatica. Ora devo solo tornare scornato e sconsolato ed ogni discesa, ogni difficoltà sono raddoppiati a livello psichico. Oltretutto raggiungere Plaza de Mulas in queste condizioni non è uno scherzo e quando finalmente si riesce a vedere il campo laggiù in fondo mi si piegano le gambe alla vista. E’ ancora lontanissimo e per giunta ora dobbiamo superare un tratto ghiacciato pendente ed in diagonale, pericolosissimo. Cacho con il lato esterno dello scarpone crea una sorta di fessura all’interno della quale ancorare il piede e dove io in seguito possa inserirlo. Non ci sono corde, appigli ed un errore qui vuol dire scivolare per 1.000 metri giù dal pendio con grave rischio per la propria vita. Per fortuna con calma si supera questa difficoltà e dopo ore di fatica disumana raggiungiamo il campo immerso nella nebbia. Per fortuna la serata, all’interno della tenda grande dell’organizzazione ci regalerà un piatto caldo e del salame che ammorbidiranno il sapore amaro della sconfitta pur non meritata. Questa sera sarebbe complicato con la neve montare la tenda perciò accetto di dormire su una stuoia nella tenda grande. Anche questa notte un freddo terribile a 15° sotto zero e niente riposo. Alle 4.00 di mattina sistemo tutta la mia roba e alle 5.00 dopo colazione si parte per la tappa finale che ci porterà a Puente de l’Inca. C’è un problema con i muli che dovrebbero portare le nostre cose perché a causa della neve non riescono a salire perciò potrebbe essere che rimarremo a Puente anche domani in attesa. Tento di fare una ripresa togliendomi i guanti ma ci vorranno più di cinque minuti perché le dita poi mi ritornino normali all’interno dei guanti. Si scende con cautela specie dalla subida brava dato che ci sono molti tratti ghiacciati. Far entrare acqua gelata all’interno degli scarponi sarebbe fatale.  Quest’oggi la tappa può essere considerata da fantascienza dato che sono da percorrere la bellezza di 40 chilometri fra discese, salite, tratti ghiacciati, penitentes, vento, freddo e guadi. Se resisterò oggi dovrò collocare questa giornata come la più dura della mia vita. Raggiungiamo l’ingresso alla playa ancha ed ora ci aspettano dodici chilometri interminabili. Nei pressi del campo di Confluencia però noto dei muli che trasportano le nostre tende e zaini perciò questo vuol dire che ce l’hanno fatta a salire e quindi tocca a noi ora raggiungere per tempo Puente de l’Inca prima dell’arrivo dell’ultima corriera. Sarà una corsa contro il tempo ad un passo di marcia superiore di gran lunga alle mie possibilità ma ormai è da un pezzo che sto chiedendo al mio fisico più di quello che mi potrebbe dare. Tutti gli sforzi si rivelano vani e anche a causa di un incomprensione all’ingresso del parco la corriera ci sfugge di un niente. Saremo costretti a rimanere a Puente fino a domani ma in qualche modo riesco a far salire un’ auto a prenderci per raggiungere Mendoza di notte con un driver che a pericolosità di guida non ha nulla da invidiare ai più scapestrati autisti indiano. In vita mia non mi è mai capitato di vivere una esperienza automobilistica così ai limiti della pazzia. Arrivati a Mendoza persino Cacho non ha potuto fare a meno di ringraziare i santi per essere ancora vivo. Che viaggio! Il giorno seguente una graziosa visita di Mendoza, capitale argentina del vino e quindi il saluto finale con l’amarezza in bocca per non aver raggiunto la cumbre ma con la consapevolezza di avere vissuto un esperienza sicuramente indimenticabile.

 

 

 

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