2012  EGITTO - MAR ROSSO

Shams Alam

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Pesce Chirurgo Sohal

 

E' stata una vera e propria vacanza, di mare, di riposo, impreziosita però da tre belle escursioni di cui racconterò in seguito. Ogni tanto sono necessari viaggi di questo genere dove si parcheggia il cervello e si ascoltano solo i battiti del cuore, emozionato al culmine alla vista di meraviglie sottomarine così commoventi, entusiasmanti. Raggiunto l’aeroporto Caravaggio di Orio al Serio, si parte con un volo Meridiana Fly e dopo quattro ore s’atterra a Marsa Alam, in Egitto, sul Mar Rosso a nemmeno 200 km dal confine sudanese. Espletate le formalità doganali si prosegue verso sud in pullman, destinazione Shams Alam, il nostro villaggio, a circa 100 chilometri. E’ passata mezzanotte quando vi giungiamo, perciò decidiamo di andare subito a dormire. L’indomani, domenica, ci svegliamo alle 7.30 e, dopo colazione, ritiriamo i nostri teli mari e ci rechiamo in spiaggia. Certo quelle del Mar Rosso non sono spiagge caraibiche, ma chi conosce il luogo, e noi ci siamo già venuti altre volte, è già soddisfatto di trovarne una come questa, che consente almeno l’ingresso tranquillo al mare e con un fondale di sabbia. Comincio le esplorazioni recandomi verso destra, in direzione del pontile. Sarà una meraviglia, come al solito, e forse più delle altre volte. Questa zona del Mar Rosso è meno interessata dal turismo che non quella del Sinai, di Hurghada, o nei pressi di El Quseir, perciò il mondo corallino m’appare più variegato e interessante. Comincio perciò a catalogare le specie, a fissarmi nella memoria la loro forma, i loro colori. Quando uscirò raffronterò i miei ricordi con le immagini del mio libro e comincerò a censirli, a catalogarli, per mio piacere, per concedermi ogni volta la consapevolezza di scorgerne una specie nuova, non ancora ammirata. E’ un’attività incantevole, seducente. Ecco i pesci soldato, i piccoli e lunghi pesci ago, gli azzannatori Dory, i fucilieri, il pesce angelo imperatore, le castagnole bicolori,  i sergenti maggiore, e poi ancora il labride uccello, dal colore blu vivido, il ghiozzo, fermo sul fondo sabbioso, il pesce palla mascherato, il pesce chirurgo arabo e quello vela, marroncino e più piccolo, l’unicorno arancione, il grande pesce balestra titano il cui attacco anni fa alle Maldive ho ancora sotto gli occhi. La mattinata scorre così, indicandoci qualche pesce interessante che io, Gosia, Giorgio e Paolo, a turno riusciamo a identificare. Dopo pranzo il copione non cambia, ma questa volta osserviamo i fondali meglio, cercando di dare un nome ai coralli, bellissimi e multicolori: il pericoloso corallo di fuoco, anche nella versione piatta, il corallo a corna di cervo, quello cervello, il corallo dito e quello lampone, dal caratteristico colore violaceo, quello tubolare. Insomma, si potrebbe destinare ad ogni singolo metro quadrato di questo mondo variegato ben più del tempo che gli dedichiamo, ma siamo così rapiti dalla magnificenza di ciò che ci circonda che l’occhio esplora in continuazione anfratti nuovi, scorci differenti, attratti, affascinati, sedotti. E le meravigliose tridacne colorate, di verde, di viola, di blu, di giallo, che si ritraggono quando le si avvicina troppo. Avvistiamo un bel pesce istrice, un piccolo pesce leone, pericoloso se viene infastidito, il pesce pappagallo dal corno, il balestra blu, il dolcelabbra macchia nera, dei pesci pipistrello, un tordo dalla coda sfrangiata. Potrei stare in acqua ore senza stancarmi mai, e alla fine esamino anche i dettagli più minuti, quelli che di solito allo snorkellista disattento sfuggono, attratto solo da esemplari di una certa grandezza, mentre è proprio il microcosmo che affascina di più, con la sua specificità, i suoi colori sgargianti e le sue forme variegate. Di sera, dopo cena, si trascorre un paio d’ore seduti fuori dal ristorante, ma non vedo l’ora di andare in camera. A me non piace la vita di villaggio, con tutti quegli esibizionisti, tutti quei chiacchieroni, mi sento soffocare, stretto in un’insopportabile morsa di tedio. Vorrei trasformarmi in un uccello ed alzarmi in volo, e salire fra le nubi sfrangiate dal vento ed osservare il mondo così, dall’alto, immerso nel silenzio celestiale. Quest’oggi ho già provveduto a prenotare tre escursioni per i prossimi giorni, nonostante la costa dei dintorni mi appaia decisamente bella, vorrei concedermi anche altre esperienze, in luoghi diversi. L’indomani, lunedì, raggiungo il confine sinistro del villaggio, nel punto in cui alcuni beduini hanno un banchetto dove vendono ai turisti collanine e cianfrusaglie varie. Di fronte è presente uno spazio sabbioso, l’unico punto da cui si può accedere al mare ed alla barriera corallina che si sviluppa poi fino al lontano villaggio Gorgonia. E’ questo, si dice, il tratto più bello dei dintorni, ed infatti lo spettacolo non tarda a cominciare. Sono proprio le conformazioni coralline che incantano maggiormente, e quando non si segue la costa, ma ci si inoltra verso il mare aperto, ogni tanto s’incontrano torrioni giganteschi circondati da una miriadi di pesci e di coralli. Pare d’essere protagonisti di una fiaba. Riconosco fra gli altri il pappagallo bicolore, il labride di Klunziger, il pesce farfalla dorso nero e un trigone macchie blu. Di pomeriggio andiamo tutti insieme dalla stessa parte condividendo la spettacolare esperienza mattutina anche col resto della famiglia. Scorgiamo una tartaruga marina che si dirige verso il mare aperto, la inseguo per un po’ osservandola durante le riemersioni per respirare, finché s’allontana nel suo mondo, straordinario. Poi avvistiamo in un anfratto una grossa murena gigante, bruna. Cerco di fotografarla e mi immergo avvicinandomi più possibile per ottenere inquadrature migliori. Noto un pesciolino blu che si inoltre fra le sue fauci per fare pulizia dei parassiti. Sono molte le specie che vivono in simbiosi aiutandosi l’un l’altro, come il ghiozzo partner di Steinitz che difende la cuccia nella sabbia e il gambero azzannatore che, instancabile, mantiene il loro nascondiglio più accogliente estraendovi la sabbia di continuo. Dopo aver riportato la truppa nei pressi dell’accesso, ritorno da solo ad ammirare questo mondo straordinario. Noto sul fondo sabbioso, quasi invisibile ad occhio umano, la sogliola di Mosè, perfettamente mimetizzata, con i suo contorni dentellati. E poi ancora un bellissimo anemone con relativo pesce pagliaccio che si inoltra senza problemi fra i suoi tentacoli, un azzannatore striato, i damigella fasciati. Ritornando alla sdraio, Giorgio mi dirà di aver avvistato un pesce chitarra e persino uno squalo tappeto, incredibile! Martedì è in programma la prima escursione, in barca. Ci dobbiamo trovare alle 8.30 al diving, nei pressi del pontile. Si parte con una ventina di persone, in barca e quando il villaggio si è fatto piccolo all’orizzonte, è ora della prima uscita in snorkelling. E’ sempre emozionante sapere d’essere in mezzo al mare, a nuotare fra una barriera corallina incontaminata. Questo è il parco nazionale di Wady el Gemal, è tutelato e ci sono delle severe norme comportamentali da rispettare. Avvisteremo delle tartarughe marine che seguiremo senza problemi per minuti interi, ammirandole mentre si nutrono della vegetazione sottomarina. Ma oltre a questa esperienza, non mi pare che il quadro corallino sia molto differente da quello di più comoda fruizione dal nostro villaggio. Evidentemente, Shams Alam è davvero un luogo prezioso. Prima di raggiungere l’omonima isola, si fa un’ulteriore sosta snorkelling. Scendiamo a turno dalla barca salendo su un gommone che ci porta dove la barriera è più bella e molti di noi torneranno poi verso la barca a nuoto lasciandosi vezzeggiare dalle emozioni variegate che ci investono da ogni dove. Dopo pranzo in barca, e sempre col gommone, ci portano nei pressi dell’isola. Stiamo un po’ a farci cullare immersi nell’acqua bassa per poi nuotare verso la barca ammirando i coralli e i pesci multicolori. La giornata è terminata, si fa ritorno al villaggio. E’ stata una bella escursione, se non fosse stata parzialmente rovinata dalla caciara fatta a bordo da un gruppo di casinisti. Ma si sa, nei villaggi ci si va per divertire e fare casino, peccato che io amo il silenzio e la tranquillità! Forse sono io fuori posto! La giornata seguente è anch’essa dedicata completamente al mondo sottomarino e ci riserverà una sorpresa mattutina quando, nuotando nel tratto sabbioso vicino alla boa che delimita lo spazio dedicato ai wind-surfers, avvistiamo tre tartarughe marine, tranquille, mentre si nutrono della vegetazione presente. Staremo mezzora, incredibilmente, in loro compagnia. Di sera vado a letto un po’ presto, devo mettere la sveglia, anche se mi hanno detto che ci sarà quella telefonica. Domattina partirò prestissimo, alle cinque, alla volta di Assuan. E’ un escursione dura, specie in questa stagione, e il resto della famiglia ha deciso di non venire per evitare il caldo feroce di quei posti, adesso che siamo in agosto. E non solo loro, dato che quasi nessuno c’è voluto andare, tra i villaggi della zona. A me è parso incredibile che un po’ di caldo possa impedire la visita di uno dei luoghi più interessanti d’Egitto, evidentemente non tutti la pensano come me. E per fortuna! Si parte in pulmino con una guida, due autisti, per darsi il cambio alla guida e una coppia di Milano, lui una persona molto interessante, motivata, un ingegnere ottico. Si sale verso nord, fino a Marsa Alam dove ci si inoltra nel deserto. Dopo una piccola sosta nell’unico autogrill esistente per consumare la colazione, si prosegue lungo questo tratto di 230 chilometri, un luogo sterile, desertico, disabitato, di sabbie e pietrisco, collinette aride che si sgretolano sotto il sole aggressivo, prepotente. Raggiungiamo la località di Edfu sul grande Nilo. Qui ci troviamo nell’Alto Egitto, in terra nubiana, dove gli autoctoni si sono mescolati nel tempo con gli invasori greci e romani. Se si prosegue verso nord si arriva a Luxor, mentre a sud si procede verso Assuan, da cui ci separano ancora 100 chilometri. I templi tolemaici rinvenuti tra Luxor e Assuan sono fra i meglio conservati dell’Egitto. Sarebbe bello poter visitare ad esempio quello di Horus, qui nei paraggi, o quello di Kom Ombo, ma la distanza eccessiva dal villaggio impedisce di effettuare in un solo giorno tutte queste visite, perciò ci dovremo accontentare di recarci al solo tempio di Phile, peraltro forse il meglio conservato della zona. La strada che percorriamo costeggia il grande fiume ed è interessante ammirare la vita degli abitanti, molti dei quali non paiono proprio affannarsi di lavoro. Se ne stanno al riparo di qualche fronda d’albero, o stravaccati a fumare, ad osservare la vita che gli scorre intorno. D’altronde farà già un bel caldo ed è pure il periodo del Ramadan, durante il quale non possono mangiare, bere, dall’alba fino al tramonto e devono perciò conservarsi le energie. Case basse, circondate da mura, rare donne imbrigliate tra neri vestiti, visi scuri, spesso neri, tipici nubiani. Eccoci ad Assuan, fronteggiata da diverse isole formatesi a nord della prima cataratta. Soprannominata il gioiello del Nilo, conserva ancora, fra palazzi moderni e alberghi di lusso, la sua atmosfera di antica città araba. Strategicamente essenziale un po’ in tutti i periodi storici, fu in epoca faraonica città fortezza a protezione del confine meridionale. Fu un importante centro commerciale, ma soprattutto il luogo dove veniva estratto il prezioso granito per la costruzione dei templi faraonici. Sulla strada principale si nota infatti una cava dove è il famoso obelisco rotto. Si tratta dei resti abbandonati di un obelisco con la cima a forma di piramide la cui lavorazione non fu terminata a causa di una crepa che spezzò l’intera struttura Doveva misurare 42 metri e doveva essere il più alto monolite dell’Egitto. Tutti gli obelischi egiziani e che ora si possono ammirare in altre parte del mondo, come a place de la Concorde a Parigi, provengono da qui. E’ incredibile come gli egizi abbiano saputo produrre con pochi e rudimentali attrezzi blocchi così enormi, e poi trasportarli in tutto il regno. Sulle sponde sono attraccate grandi barche e piccole feluche. In questo momento non ci sono crociere che partano dal Cairo, dati i disordini a causa dei quali le agenzie europee non se la sentono di correre inutili rischi. Si può percorrere però il tratto da Luxor ad Assuan e, se si desidera, imbarcarsi in seguito sulle barche più piccole, al di la della grande diga, per visitare il lago Nasser fino al tempio di Abu Simbel, quasi ai confini col Sudan. Continuiamo il programma fino a giungere alla vecchia diga che si percorre senza avere la possibilità di fermarsi. Nel 1960 si sentì il bisogno di costruirne una più grande e, in undici anni, con la collaborazione di 800 ingegneri sovietici, 30.000 lavoratori egiziani realizzarono un enorme diga alta 111 metri e 980 di larghezza alla base. Si estende per 3600 metri da una sponda all’altra del Nilo. Sostiamo ad ammirarla in tutta la sua imponenza. Da un lato il grande fiume che scorre verso nord e dall’altra il bacino artificiale creato da questa immensa opera, il lago Nasser che si estende verso sud per 500 chilometri con una larghezza media di 10 chilometri ed una profondità di 200 metri. Durante la piena l’acqua sale di 60 metri e dal condotto largo 15 metri cade fino alle 12 grandi turbine che producono energia. Grazie alla diga l’agricoltura può fare affidamento su un sistema di irrigazione permanente che consente di pianificare i raccolti ed evitare la grande siccità. Prima si otteneva un solo raccolto, ora, dice la nostra guida, se ne ricavano fino a tre. Di contro, avendo eliminato le piene del fiume, il terreno circostante è stato privato dell’effetto fertilizzante del limo con la conseguenza di un forte incremento nell’utilizzo di quelli chimici. Un’altra grave conseguenza  è che gran parte del territorio nubiano venne sommerse dalle acque del lago Nasser  con perdita del patrimonio storico lì presente da millenni. Per evitare questo disastro, l’Unesco, in collaborazione con associazioni internazionali, organizzò un piano di recupero. Quattordici templi furono smantellati pezzo per pezzo e ricostruiti in territori più elevati  e non troppo distanti dal luogo originale, mentre quattro furono donati alle nazioni partecipanti alle missioni. Ci dicono che si trovano a Torino, Madrid, l’Aia e negli Stati Uniti. I più famosi templi salvati sono quelli di Ramsete II ad Abu Simbel e quello di Phile che visiteremo più tardi. Sessanta mila nubiani dovettero subire un trasloco forzato. Fu creata dal nulla una città nei pressi di Kom Ombo ed un'altra, più piccola, in territorio sudanese. E’ giunto il momento di vistare il tempio di Phile e, per farlo, raggiungiamo un imbarcadero dove saliamo su una piccola imbarcazione con la quale raggiungiamo il sito. Il tempio è dedicato ad Iside ed Osiride e risale al tempo di Tolomeo III, quando ormai le grandi dinastie egiziane erano terminate. Dopo la conquista di Alessando Magno, che aveva sconfitto i persiani di Dario III, l’Egitto entrò a far parte del suo grande impero, ma dopo la sua morte e quello del figlio Alessandro II, andò a Tolomeo che in precedenza lo aveva amministrato per conto dell’erede legittimo. Attraccati al molo si sale con a sinistra il portico di Nectanebo, la parte più antica del tempio, con colonne decorate con l’immagine di Hathor, dea del cielo e della gioia. Camminiamo ora in un cortile sotto il sole bruciante, tra due colonnati in ottime condizioni fino all’ingresso del tempio di Iside dove sono posti a guardia due leoni. La facciata è straordinaria, sebbene la parte sinistra sia stata scalpellata in epoca romana con una assurda furia iconoclasta. La parte destra, invece, evidenzia in tre chiari bassorilievi le figure di Hathor, Horus(dio del sole) e Tolomeo III. Nel cortile che si apre fra il primo e il secondo pilone si apre la casa della nascita di Horus, un piccolo tempio dedicato alla maternità di Iside. Fuori in questo secondo cortile si può ammirare un enorme pietra, l’ultima incisa con scritture geroglifiche. Sono presenti anche scritte francesi dopo la conquista da parte di Napoleone. Fu proprio un suo soldato che scopri la celeberrima stele di Rosetta con iscrizioni in geroglifici, lingua dimutica (la lingua parlata del posto) e greca. Terminiamo la visita con il santuario di Iside dov’è presente il grande masso per i sacrifici. In posizione più defilata, all’esterno, è il portico di Traiano, iniziato appunto sotto il regno dell’imperatore Traiano e mai terminato. Il caldo è forte, la nostra guida dice che ci sono 45 gradi ma non vedo problemi a continuare. A paragone dell’inferno del Mali e della Dancalia in Etiopia, questo calura mi pare più che tollerabile. Dato che il gruppo è composto solo da noi tre, vorrei approfittare per vedere altro, ma la coppia è già scoppiata e non vede l’ora di rifugiarsi al ristorante. Non posso comunque dar loro torto e raggiungiamo un bel locale su una minuscola isoletta dove mangio un tajine di pollo, piatto già gustato in Marocco dove mi è sembrato davvero cucinato meglio. L’escursione è terminata e si torna lungo la stessa strada dell’andata con la testa appoggiata al finestrino per assorbire il più possibile curiosità di vita locale. Faremo ritorno al villaggio alle 21.30 dopo quasi 900 chilometri percorsi. Saluto la truppa e ci ritiriamo a dormire. Il giorno seguente è in programma la terza escursione alla vicina spiaggia di Sharm el Luli, distante una quindicina di chilometri. E’ una splendida baia con sabbia bianca e lingue di sabbia affascinanti che s’infiltrano nel mare dalla variegate tonalità di verde e blu. Dopo una decina di metri di fondo sabbioso inizia la barriera che si inoltra nel mare verticalmente, come una spada corallina che lo taglia il due. Ci armiamo di maschera, boccaglio e pinne immergendoci in quest’altro luogo incantato, davvero non è inappropriato affermarlo. Fra gli altri ammiriamo un bel pesce balestra blu, un pesce leone, un trigone macchie blu e, proprio durante il percorso di ritorno, un fantastico pesce Napoleone. Che incredibile esperienza, che emozioni! Il ritorno al villaggio è mesto sebbene consci di tornare in un altro mondo fatato. Dopo pranzo, però si alza un po’ di vento e la sabbia mossa dal fondale intorpidisce un po’ la visuale sul mondo corallino, sebbene per la maggior parte si goda ugualmente e in modo continuativo. La vacanza è quasi terminata. Sabato, ultimo giorno dobbiamo lasciare le valigie fuori dalla stanza per le undici e mezzo inoltre, le condizioni del mare, ancora più ondoso di ieri pomeriggio ci impediscono un ultimo approccio fatato. Dopo pranzo si sale sul pullman che ci riporta all’aeroporto di Marsa Alam dove ci imbarchiamo nuovamente, questa volta con due ore di ritardo sul volo di ritorno. Il Mar Rosso è davvero un luogo incantevole e tutti noi non vediamo l’ora di tornarci un'altra volta

 

Proprietà letteraria riservata. Copyright © 2012 Daniele Mazzardi
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