1997 ETIOPIA

Dancalia - L'occasione perduta

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Via con le mie guide verso la Dancalia

Grazie all’interesse di amici, titolari di un tour operato etiope, sono riuscito nel 1997 a realizzare un sogno che già sgomitava dentro me da qualche anno: un viaggio nella remota regione della Dancalia. I Morello da Addis Ababa avevano contattato niente meno che il capo carismatico degli Afar: tale Ali Seblali. Realizzare una spedizione di questo genere però richiede un allenamento fisico considerevole per sopportare le altissime temperatura presenti in quella profonda depressione. Io non lo feci per paura di compromettere il mio ginocchio allora precario. E’ il 28 Luglio ed atterro nella capitale etiope alle 20.40. Grandi dimostrazioni di affetto da Gebru, la mia guida nel precedente viaggio effettuato nel 1995 e la Signora Morello. Tutto è pronto per la grande impresa e sistemate tutte le cose nel mio albergo domattina partiremo alle 5.15. Si parte per uno dei luoghi più inospitali del pianeta con temperature che in questo periodo toccano e possano superare i 60°c. Via in Land Cruiser con Girma, Kebede(il secondo autista),Kassahun, che ha allacciato i contatti con il capo Afar e puntiamo verso sud passando Nazareth e Debre Zeuit. La mia mente è già ad Ashaita  dove si vedrà se ci daranno davvero la possibilità di proseguire. Dopo la colazione a Nazareth il colpo d’occhio è di infinita vegetazione bassa e a Metahara siamo già all’interno del  parco nazionale dell’Awash che è il fiume più lungo del paese e finisce il suo corso impantanandosi in Dancalia. Qui siamo nella terra dei Kereyu le cui mandrie dominano il paesaggio come quelle degli Afar. Questi due gruppi non si vedono di buon occhio e ogni tanto nasce qualche disputa. Fanno la loro comparsa i carri armati della guera civile,vecchi ed arrugginiti. Dopo il ponte sull’Awash, sorvegliatissimo è il bivio con la strada che porta ad Assab in Eritrea e nel Somaliland. Siamo a 1.500 metri d’altitudine e la temperatura è di 39°c. Qualunque deviazione  dalla strada per Assab deve fare i conti con territori difficili, desertici, ostili. Solo gli ostici Afar riescono a viverci con  i loro dromedari. Qui è già Dancalia ed ogni tanto qualche Bura, la tipiche capanne Afar. Nei pressi di Mie la temperatura è di 44°c e decido di scendere sul letto del fiume per ammirare dei marabù  ma il caldo è impressionante e le mie scarpe da ginnastiche sento che quasi si incollano sui sassi arroventati. Decido di cambiare le calzature con quelle più adatte a climi desertici.. Comincio ad essere preoccupato mentre la temperatura sale a 48°C. Bevo molto perché  a questi valori termici bisogna assumere almeno 3 - 4 litri di acqua al giorno. Quando ero giù al fiume le gambe mi scottavano e devo trovare qualche contromisura. Dopo Mile è Dancalia vera e si cominciano a vedere colate laviche che impongano curve continue. Si avanza fra panorami spettrali. Questa è la terra dove sono stati ritrovati i resti di Lucy(3 milioni e mezzo di anni fa). Oramai siamo a 50°C da tempo ed ecco la deviazione per Asahita la capitale del territorio Afar. Saranno però ancora 50 Km di pista con continui sballottamenti. Ecco una volpe del deserto  prima di arrivare alle 16.00 ad Asahita. E’ una cittadina sperduta nel deserto, deprimente con un'unica piazza con moschea. Non si può filmare, fotografare, assolutamente!. Si va alla locanda, l’unica presente e mentre Gebru mi monta la tenda dato che io non voglio dormire all’aperto insieme alle mosche Kassahun va alla ricerca di Ali Seblali che dicono sia ad una riunione col capo delle polizia. Non gira un filo d’aria e sto bevendo bibite in continuazione in questo clima arido. Speravo si potesse partire presto domattina ma Ali non è disponibile e si potrà contattarlo solo alle 7.40 di domattina. Siamo in balia della sua volontà. Avevo fatto la doccia ieri nella capitale e stasera nel momento di entrare in tenda sarò completamente sudato ed impastato di polvere. L’aria è immobile e si riposa  con estrema difficoltà. Asahaita  è situata a 550 metri ma alle 7.15 quando ci svegliamo ci sono già 35°C. Si parte finalmente alle  12.15  dopo aver riempito le 7 taniche di benzina da 25 litri e con una temperatura all’interno della Land di 54°c. Saluto Kassahun che ha fatto il suo dovere di ambasciatore con Ali e si parte ripercorrendo la pista di ieri. Ali ha con se una pistola ed un Kalashnikov per difenderci in caso di pericoli. Stiamo partendo, è fatta!. Se tutte andrà bene raggiungeremo nei prossimi giorni la località di Dallol che fa rabbrividire persino da queste parte. Percorrere tutto il deserto dancalo fino a li era riuscito solo all’anglo fiorentino Ludovico Nesbitt alla fine degli anni venti. Da allora, innumerevoli problemi politici, gli ostici Afar e il clima più disumano del pianeta avevano allontanato da questa zona ipotesi di viaggio di pur preparati esploratori. Nessuna persona normale qui ad Asahita si sognerebbe mai di andarci ma ad Erta Ale Ali ha dei parenti in alcuni piccoli villaggi. Al bivio di Tendano si punta verso nord in direzione di Serdo. Un cartello indica 277 km per il lago Afrera(il mitico lago Giulietti). Da qui si entra nell’ ambiente spettrale della Rift valley con coni vulcanici e distese di lava che si alternano a tratti sabbiosi e pietrosi. Ogni tanto incontriamo dei lavoratori Afar che si spaccano la schiena nella ricostruzione della strada sotto un sole a perpendicolo a 50°c. Entriamo al Berta, impresa di costruzioni dove è decisa la sosta per il pasto e dopo un po’ il boss dell’impresa vuole conoscere il pazzo che ha deciso ad andare a Dallol in piena estate. Intuisce le mie motivazione e stiliamo un programma di massima perché non esistono cartine. Decidiamo che è meglio ripartire domattina per evitare di dormire come preventivato sulle rive del lago che sono ad alto rischio di zanzare e  malaria. Mi ritiro nel mio capanno di lamiera dove per fortuna c’è un ventilatore sul soffitto. Consumo la mia razione di acqua regalandomi una doccia che mi ritempra e farò asciugare la mia roba tenendo la porta aperta con il vento tipo phon che asciugherà gli indumenti in cinque minuti netti. Sono preoccupato!. Alle 2.30 di notte si parte ed ho l’adrenalina a mille. Non si vede nemmeno la punta del nostro naso e si va avanti lungo la pista con l’aiuto anche delle torce. Dopo tre ore e mezza di calvario attraverso una pista che definire sconnessa è un eufemismo arriviamo in vista del lago proprio mentre sorge il sole. Ali ci vuole portare a vedere delle sorgenti dove sembra che l’acqua sia potabile e ne berrò anch’io solo per cortesia due gocce. Usciamo quindi dalla pista raggiungendo il lago Giulietti dal nome del famoso esploratore italiano. Passeggio lungo la riva notando 4 - 5 sorgenti calde che sgorgano dal terreno. Il lago ha una salinità altissima e l’acqua è talmente calda  che in alcuni punti sale in superficie e cristallizza formando un sottile velo sotto l’acqua. Anche la temperatura è improponibile ai bagni(45°c). Gebru è già stravolto per la guida fino a qui ma alla ripartenza ci si insabbia in fuori pista. Ogni tentativo è vano e si sprofonda sempre più. Con le pale liberiamo le ruote e le balestre dalla sabbia e ci poniamo sotto le lastre di metallo che abbiamo sul tetto per queste evenienze ma fa già un caldo pazzesco. Grazie a due ragazzi Afar che ci sono venuti incontro liberiamo il mezzo e si riparte. Ma la pista finisce quasi subito. Ed ora siamo completamente nelle mani di Ali. Fare un viaggio come questo solo con una macchina è follia pura, cristallina. In caso di guaio ci sarebbe da piangere sangue. Gebru solo una volta è arrivato fino a qui portandoci anni fa due giapponesi ma mai nessuno oltre il lago. Da adesso è già esplorazione pura. Non esiste una pista ed è solo un insieme disomogeneo  di tratti misti talvolta desertici altri lavici. Superiamo enormi fiumi di lava pietrificata con la Land che si impenna paurosamente. Io sono già cotto dal caldo atroce e Gebru ha gli occhi rossi. Continuo a bere ma l’acqua è così calda, quasi insopportabile! e ho quasi sensazione di caldo nell’esofago. Gebru e Kebede fanno  i turni mentre Ali a volte scende dalla Land per andare a scoprire come proseguire . E’ un viaggio da fantascienza. Non c’è percorso da seguire,  tutto dipende da Ali e ed anche lui è teso e concentrato. Non ci sono riferimenti!. Se Ali dovesse avere dei problemi sarebbe la fine. Ali riesce a districarsi fra labirinti di lava apparentemente inestricabili ma io sono rotto, stanco, cotto  e sono così preoccupato che ascolto quasi solo la meccanica della jeep. Non è descrivibile l’enorme numero di tratti  difficoltosi da superare  e fuori ci sono 50°c. Non riuscirò spesso a fare riprese da fuori il finestrino perché in 10 secondi la bocca è già secca, arida. Capisco solo ora che è una follia!. Bisogna sperare che Gebru e Kebede non sbaglino mai ma sta già maturando dentro me un malessere fisico che ben presto scatenerà tutta la sua virulenza. Ne darò la colpa dapprincipio a quel po’ di acqua di sorgente che mi ha spinto a bere Ali ma in realtà saprò che sarà dovuto al gran caldo. In breve sarò sfiancato da ripetuti fenomeni di dissenteria che sarà anche causa di successive indisposizioni con infine della linee di febbre ben da decodificare al più presto. Anche se durante il tragitto trarrò beneficio da un paio di soste per rinfrescarci di acqua(mokole)proveniente da sorgenti in fenditure profonde del terreno questa maturata condizione fisica sarà la causa di una decisione sofferta che verrà decisa una volta arrivati al villaggio Afar di una ventina di capanne(il più grande della regione). Siamo in pieno giorno ed i fenomeni continuano per almeno altre 2 - 3 volte debilitandomi totalmente e convincendomi a desistere da uscire dalla Land. Fuori ci sono 52°c e pare un incubo ma anche all’interno non riesco quasi a stare più in posizione dall’affaticamento generale. Ho impiegato un anno ad organizzare questo viaggio ma ora tutto sta per essere vanificato a causa di questo mio malessere. Sono in tenda, di sera, insieme agli Afar più importanti del villaggio che mi stanno osservando ma a nulla servirà la minestra che mi daranno per reidratarmi. Ho paura!. Domani dovrebbe iniziare la massacrante marcia di avvicinamento a Dallol e il tentativo di salita al vulcano Erta Sale uno dei pochi sempre attivi al mondo ma come potrò farcela in queste condizioni!. Sono certo che potrei rischiare la vita ed informo Ali della mia scelta di tornare indietro. Rimane esterrefatto ma capisce. Solo mi chiede domani di raggiungere un villaggio più avanti dove vuole prestar visita ad alcuni suoi parenti. Acconsento e trascorro una  notte  che sarà in grado di risolvere la mia indisposizione ma il tempo trascorrerà  in  un clima piatto da impazzire. Domattina non mi lascerò trarre in inganno dal mio miglioramento ma conserverò la saggezza del giorno prima. Gebru appare felice della mia scelta perché ieri anche lui era distrutto. Sono trascorsi solo 3 giorni dal mio arrivo in Etiopia ed ora è già tutto finito!. Dopo alcuni toccanti momenti insieme ad i bambini presenti si parte in direzione del villaggio di Erta Ale nelle prossimità del vulcano, dove Ali trascorrerà una mezz’oretta con la sorella ed altri amici e parenti. Nei pressi, altra doccia con il mokole ma ora dobbiamo ripartire per quella che sarà indubbiamente una tappa da tregenda durante la quale un caldo mostruoso mi sdraierà tutte le difese. Ora però so,  a differenza di ieri che la fine della tappa mi riserverà un clima migliore perciò, seppur con indicibili patemi a 52°c. quasi costanti eccoci ritornati al lago Afrera. Ho fallito!. Sono i momenti della consapevolezza. Ho fatto lavorare tante persone ed ho fallito!. Mi porterò dentro questa delusione per molto tempo ma ora devo trovare un percorso alternativo per i prossimi giorni di viaggio. All’accampamento Berta mi rifocillerò e preparerò l’itinerario di massima per il proseguo mentre il boss si dimostrerà molto dispiaciuto per il tentativo mancato . E’ solo il 5° giorno di viaggio e alle  4.00 si riparte per Asahita dove dobbiamo riportare Ali Siblali. Assisteremmo durante il tragitto ad un impressionante tempesta di sabbia che si avvicinerà piano piano a noi fino ad inglobare la nostra vettura  e infine dopo altri 50 km di pista impietosi rieccoci nella capitale Afar dove salutiamo Ali Seblali. Una volta ritornato in Italia gli spedirò un omaggio milanese e delle foto che ritraggano lui all’Erta Ale con la sorella. Mi risponderà felice, dichiarandosi disponibile per ritentare quando lo riterrò più opportuno. Grazie Ali!. Si riparte verso Mile e  poi giù fino a Gewane  con le sue terre paludose così insalubri per la vita umana. Sono le 16.30 e siamo in giro dalle 4.00 del mattino.  Ripresomi dai malesseri  sto prendendo in mano la situazione che mi porterà comunque a realizzare un viaggio tra i più belli mai effettuati!.Stiamo guidando verso est e le Ahmar mountain.  Saranno 100 km di pista nella regione dell’Hararghé di cui Harar ne è la capitale e che raggiungeremo domani. La gente qui è diversa e veste abiti più sgargianti, variopinti. Nonostante non sia salutare guidare dopo il tramonto del sole noi vogliamo arrivare ad Asbe Teferi dove sostiamo in una locanda per la notte. L’indomani è una giornata molto interessante in una zona molto calda del paese. Qui infatti gruppi integralisti musulmani chiedono persino l’indipendenza e di sera è davvero sconsigliato aggirarsi fuori dalle cittadine. E’ Domenica e si fa un’interessante puntata per ammirare la cerimonia della messa copta. L’Etiopia dopo l’Egitto è la nazione africana con la più alta concentrazione di siti archeologici e culturali e nei secoli si è dotata di numerosi siti di culto copti, cristiani ed islamici. Tutto intorno le Ahmar mountain con le sue coltivazioni a terrazze. Ci sono 25°c e siamo a 1.800 metri fra la gente Oromo. Si raggiunge Harar e dopo un breve giro panoramico della città sistemiamo le nostre cose al confortevole Ras Hotel. Gebru ingaggia una guida molto famosa localmente con la quale operiamo il tour cittadino. Percorrendo la strada principale, l’Adalmegad, superiamo la piazza col monumento a Ras Makonnen  papà di Haile Selassie che all’età di 13 anni venne nominato governatore della città. Harar è circondata da vecchie mura al cui interno è un labirinto di vie  che senza una guida per scoprire i luoghi di interesse è impossibile visitare. Si dice che all’interno ci siano 88 moschee ma sono piccole e poco interessanti. Visita alla casa del mitico Rimbaud” il poeta francese maledetto”  che si innamorò di questa città fino a risiederci, alla casa del vecchio emiro e poi altre visite ad alcune case Aderè. Oltre, il mercato del chat, la pianta allucinogena di cui etiopi di queste zone, somali  e yemeniti fanno gran uso masticandola. Percorriamo una stradina che porta al lebbrosario. La caratteristica più evidente di Harar è che vi circolano solo vecchie Pegeout 404 blu. Sono tutti taxi importati da Gibuti. La cena al Ras Hotel sarà una buona occasione per gustare un vino locale, un rosso Gounder con un fillet steak. Dopo cena è una attrazione unica al mondo da far accapponare la pelle. Solo ad Harar infatti si più assistere allo show degli uomini iena. Dopo il Fellene gate  si scende verso un gruppo isolato di capanne davanti ad alcuni campi ed all’improvviso i nostri fari illuminano  quello che è forse lo spettacolo più incredibile ed inquietante che abbia mai visto. L’uomo iena è accoccolato per terra e brandisce carne putride, ossa spolpate e frattaglie raccolte nelle discariche della città. Piano piano scendo dall’auto e mi posiziono vicino a lui mentre Gebru e Kebede mi guardano con stupore da dentro la Land. Una decina di iene ondeggianti  azzannano i pezzi che l’uomo tira loro. E’ emozionante ed avviene alla sola luce dei fari della Land. E’ naturalmente una trovata per i pochi turisti di passaggio ma è ugualmente un spettacolo unico ed inimitabile. Le iene sono abituate ai richiami dell’uomo e sanno che non c’è da temere ma sono ugualmente diffidenti come è loro natura. Sono sempre delle macchine di morte,  le più efferate macchine di morte in natura. Vedersele di fronte a pochi metri con il loro sguardo agghiacciante ed i loro sibili che gelano il sangue è un esperienza da urlo. Abdul, la nostra guida mi dice di allontanarmi perché ora l’uomo iena darà loro il cibo direttamente dalle mani. Le scene si svolgono in un silenzio irreale e sono raccapriccianti, con gli animali che si avvicinano a turno piano piano fino a strappare la carne dalle mani dell’uomo iena. Io sono comunque solo due metri dietro lui. Il pasto è finito ed ora egli si alza e se ne và. Le iene rimangono nei pressi per finire il banchetto ma io non ritornerò in macchina e resterò solo a pochi metri da loro ad assistere a quello spettacolo che mi sta gelando il sangue nelle vene. Nessuno mi dice niente, forse per la sorpresa, ma sono solo io giù con le iene. Se avessero voluto, in mezzo secondo, sarei stato loro. Roba da brividi giù per la schiena!. Che esperienza straordinaria!. Domattina ci dirigeremo in una zona assolutamente off limits per turisti e non poche preoccupazioni avrà Gebru nel soddisfare le mie richieste. Stiamo infatti per dirigerci verso Jijiga nel Somaliland, zona di confronto fra gli integralisti musulmani e l’esercito etiope. Numerosi sono stati in passato assalti ad autobus  ma ora, fuori Harar la mia attenzione è rivolta alla valle delle meraviglie, uno stupenda passaggio fatto di guglie torrioni, speroni di rocce, massi enormi in equilibrio instabile che al ritorno, con la luce del tramonto ci regaleranno emozioni mozzafiato. Terminata una leggera distesa ecco la sterminata pianura del Somaliland. Qua e la  capanne con i teloni dell’alto commissariato per i rifugiati. Si prosegue verso Jijiga in una savana cespugliosa ed infine ecco la capitale della regione. Qui è terra di frontiera  ed ultimo avamposto prima delle savane infinite che corrono verso l’Oceano Indiano. Hargheisa, importante centro somalo è a sole 5 ore da qui!.  Jijiga è stata colonizzata da organizzazioni umanitarie come UNCHR, Care, Unicef e World Food Program. Da qui sono passati i soccorsi per i profughi,  i dispersi, alla gente in fuga da troppo guerre in Somalia, Etiopia e nel Somaliland. I campi profughi assediano la stesa città. La società nomade somala è stata spazzata via dalla guerra, dalla carestie e dall’invasione degli aiuti internazionale. In questi luoghi si è combattuto duramente negli anni settanta ma gia a 70 km da qui, in Somalia, Ali Mahdi e Aidid, i signori della guerra e molti altri  aspiranti al potere, stanno facendo sfacelo di questa terra. Il risultato è che centinaia di migliaia di profughi  hanno sedentarizzato la società nomade somala. Oltre Jijiga è terra senza frontiera e si avverte il pericolo costantemente. Di sera questo è luogo di predoni e briganti. Ogni tanto qualche piccola carovana di dromedari e a 50 km da Jijiga il primo campo profughi. Estraggo la mia tessera di fotoreporter e mi addentro al suo interno  mentre vedo Gebru molto preoccupato. Sono qui da 5 anni ed aspettano che nel loro paese le cosi migliorino per farvi ritorno. Proseguiamo fino ad un villaggio dove prendiamo un té. A 20 km c’è l’inferno della Somalia e qui tutto è di contrabbando, a meta prezzo che ad Addis Ababa.  Staremo una mezzora a monitorare la vita locale, assolutamente da ultima frontiera e al ritorno verso Jijiga ancora sette check point. Purtroppo abbiamo un problema alle balestre e domattina riusciremo a partire solo alle 10.30. Prossima destinazione Lalibela e siamo in ritardo sulla tabella di marcia perciò quest’oggi si dovranno fare miracoli. A Gelane,purtroppo, di sera vedo che Gebru è davvero cotto così si decide di sostare in una stamberga con delle vitali zanzariere. Tutto intorno le zanzare della malaria in numero inusitato. E’ il nono giorno di viaggio ed ecco nuovamente Mile che rievoca il fallimento della Dancalia ma ora dobbiamo salire nel Tigray, sull’altipiano, attraverso una strada costruita dagli italiani. A 1900 metri c’è Bati, un gradevole villaggio con una pregevole moschea. Ripartiamo dopo aver fatto colazione verso Kombolcia e quindi Dese attraverso una zona di densa popolazione di etnia Wello. Deviamo ad est in direzione di Lalibela attraverso una pista rovinata dalla stagione delle piogge. Sarà abbastanza difficile raggiungere la famosa località, sito delle famose chiese copte dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Percorreremo 70 km in quattro ore  in un paesaggio collinare ancestrale dove molti lavorano la terra con l’aratro trainato da buoi. Saliamo fino a 3100 metri per poi ridiscendere ed arriviamo di tardo pomeriggio al Lal hotel della cittadina etiope. Cena con un rosso Gouder ed un fillet goulash e domattina sono pronto per la visita di questa mitica località. E’ piovuto tutta la notte ma stamattina ci da la tregua necessaria per la visita e camminiamo in direzione delle chiese attraverso una folla di fedeli. Il turismo aiuta questi luoghi a conservarsi, a mantenersi, ma per accedervi, tra telecamera e biglietti si paga 70.000 lire. Una follia!. La prima apparizione rupestre è Medhane Alem che sembra un Partenone scavato nel tufo. Tutte le chiesi rupestri di Lalibela  sono state scavate nel tufo. Durante la loro visita bisogna fare miracoli di equilibrismo. La prima ha 34 pilastri  ed una scalinata nella roccia  conduce a delle angustie caverne dove pregano i monaci. La luce filtra appena all’interno della chiesa. Come in tutte le chiese copte, il “maqdas”,il santuario contenente le “tabot” le tavole della legge, sono accessibili solo ai preti. Dalla porta principale di Medhane Alem un breve tunnel la separa da Beta Maryan che è una delle più venerate e la sola affrescata con pitture. Camminare fra queste chiese è come stare in un labirinto e senza una guida si è destinati a perdersi. Beta Golgotha è quella più sacra  e nel suo maqdas si dice sia conservata la tomba di re Lalibela. Il villaggi prende infatti il nome del vecchio re della dinastia Zagwe del 1100 d.c. Terminata la visita al primo gruppo di chiese ci dirigiamo verso il secondo  ma prima, la visita della più fotografata: Beta Giorgis, isolata, superba. E’ un intarsio solenne nella roccia,una basilica da vertigine, quasi invisibile ai margini di una terrazza. Solo ad un passo dal tetto si scorge il precipizio intagliato dove è scolpita la chiesa che sprofonda per 13 metri. Nel secondo gruppo infine ecco Beta Gabriel con un ingresso molto bello e da cui parte un tunnel che ci porta a Beta Mercurios.dove l’interno è chiuso ma ci viene aperto da un monaco. Ultima visita a Beta Emanuel, un colossale blocco megalitico.  Doccia al Lal hotel ed alle 12.00 via. In quattro ore si raggiunge l’intersezione con la strada principale .La pioggia ci accompagnerà per lunghi tratti e lungo la strada è la vita di tutti i giorni: bambini che giocano con niente e sotto l’acqua contadini che si spaccano la schiena nei campi con l’unica tunica che posseggono bagnata all’inverosimile. Le donne caricano sulle spalle le fascine e sono anch’esse curve dal grosso peso ma tutti  all’arrivo della Land incrociano lo sguardo. Io spesso non riesco ad ricambiarlo in una sorte di imbarazzo colpevole. Certo io non sono responsabile della loro drammatica esistenza,  ma mi sento a disagio  in questa sfacciata opulenza  in mezzo a tanta vacuità. La strada ora sale sull’altipiano. Fanno la loro comparsa numerose case in pietra e panorami mozzafiato. Pare di essere in Tibet ed i giochi di colori sui campi bagnati dalla pioggia sono straordinari. Lande sterminate con mandrie di bovini e purosangue che galoppano. Piove ma non molto e durante le pause tra uno scorcio e l’altro non posso fare a meno di far fermare Gebru e solo entro nei campi fermandomi in silenzio ed a braccia conserte ad ammirare, a godere questa vista fantastica. Saranno momenti unici, irripetibile, durante i quali mi sembrerà di entrare a contatto,in simbiosi con le forze che regolano l’universo. Come quando raggiunsi il Kala Pattar in Nepal anche in questo caso credo di provare gli stessi sentimenti di cristallina felicità, una sensazione estatica legata a situazioni naturali da commozione. Siamo a 3500 metri e si prosegue fra grandi coltivazioni di orzo. Il sole sta tramontando ed io voglio raggiungere Debre Tabor ma siamo tutti stanchi così a Debre Zeit sostiamo in una stamberga dove deposito il mio sacco lenzuolo. La porta della stanza è sopraelevata di 3 - 4 centimetri e può passare qualsiasi insetto. Non ci voglio pensare!. Buonanotte!. Sveglia alle cinque del mattino, dopo una notte durante la quale pareva che tutta l’acqua del cielo Dio ce la stesse scaricando addosso dal rumore che faceva. Anche adesso piove e le nuvole le vediamo sotto di noi. Scendiamo nella zona del lago Tana tra enormi acquitrini e numerosi uccelli acquatici come cicogne, egrette, ibis bianchi, una meraviglia!. Di sera qui ci sarà l’invasione delle zanzare. Il lago Tana 6 - 7 volte più grande del nostro lago di Garda è ancora lontano. Questa è la terra degli Ahmara. Arriviamo alla nostra meta: Gondar, che è un classico dell’historical route e dell’Etiopia in generale. La maggior parte dei turisti infatti percorre questa rotta che tocca appunto Axum, Lalibela e Gondar. Iniziamo la scoperta della città con la chiesetta di Heile Selassie. L’interno è ben affrescato ed il soffitto è come un esplosione di gioia. Gli occhi di 80 cherubini dalle espressione tutte diverse ci scrutano da ogni lato sui muri della chiesa. Scendiamo verso la cinta muraria imperiale dove c’è l’entrata ai famosi castelli di Gondar. Questa città è stata la prima  vera capitale del regno dei Negus dopo la gloria di Axum. Un re dispotico e geniale ha saputo creare la forza di un impero africano e la sua grandezza è durata due secoli. La cinta è stata costruita per separare i comuni mortali dal potere divino del re. Al suo interno, oltre ai castelli di re Fasilladas, Iyasue e  Johannes ci sono molte altre rovine che una volta erano stalle, piscine, stanze. Naturalmente sono più rovine che monumenti ben conservati ma sono ugualmente emozionanti. Ai tempi del loro massimo splendore erano adornati con specchi, avori, tappeti e persino Luigi XV re di Francia fece visita qui. Usciamo ora dalla città in direzione di Bahir Dar dove arriviamo e non possiamo che ammirare il celeberrimo Lago Tana. Ci mettiamo d’accordo con una guida per un escursione su alcune isole per domani. Faccio fare spesa a Gebru con un buon Persico del Nilo e un vino bianco Awash. La mattina seguente si parte per un altro climax: le Blue Nile falls e nei pressi di un villaggio si paga l’ingresso per questa sorta di parco dove con una giovane guida locale ci indirizziamo ad ammirarle. Un ripido sentiero scende fino al fiume dove un solido ponte in stile portoghese ci consente l’attraversamento. Si risale fino a sentire il rumore assordante della cascata. E’ un attimo, e dietro una curva ecco l’impressionante spettacolo!. Il Nilo si apre fino a cadere giù per 60 metri in due rami. Il view point è magnifico. Un arcobaleno compare e da un tocco fiabesco al paesaggio. Proseguiamo lungo uno stretto sentiero fino ad arrivare esattamente di fronte al ramo principale. Staremo qui mezzora perché questi sono luoghi non solo da ammirare ma contemplare. Riesco a sapere che si può andare oltre e non aspetto altro. Risaliamo per un altro tratto fra campi coltivati fino ad un punto dove le cascate si vedono da mezza altezza. Non è finita e scendiamo ulteriormente. Gli scarponi sono infangati all’inverosimile. Deviamo ancora fino a raggiungere la base di destra del fronte delle cascate. La nebulizzazione dell’acqua non è neanche troppo fastidiosa. Di fronte a noi abbiamo ora tutto il fronte della cascata dal basso e di fronte a noi sopra cade da 50 metri la prima propaggine in un ansa, con un rumore assordante. E’ qui che chiedo alla giovane guida se si può fare il bagno mentre Gebru mi guarda inorridito. Il fango ormai è entrato anche negli scarponi che affondano inesorabilmente  nel terreno ormai poltiglia acquitrinosa. Sono completamente bagnato a non più di 7 - 8 metri dal torrione di fronte alla cascata. Mi sento come avvolto dalla natura in un estasi incosciente. E’ ora che decido, inequivocabilmente!. Farò il bagno nella cascata. A sentire la mia decisione Gebru è eccitato ma preoccupato allo stesso momento.  Torniamo vicino all’ansa di destra e via gli abiti  entro in acqua. I piedi affondano nel fango e l’acqua è gelida. In un attimo nuoto verso il fronte delle cascate. Ricordo gli attimi ed avevo il cuore che batteva a mille mentre tremavo come una foglia dal freddo. In breve sono quasi sotto un piccolo fronte della cascata ma non vedo niente sotto miliardi di goccioline nebulizzate. E’ una botta di adrenalina a livelli atomici. La giovane guida mi avverte di non andare oltre per non essere trascinato via ma lo so anch’io. Essere colpiti dal centro della cascata vorrebbe dire farsi risucchiare  ed a 30 - 40 metri c’è un altro salto  con numerose rocce. Faccio cenno a Gebru di entrare anche lui e seppur con circospezione mi raggiunge in una babilonia di spruzzi. Stiamo bene io e Gebru, siamo due buoni amici ed è tale la felicità e la adrenalina che non possiamo fare a meno di abbracciarci. Che esperienza sensazionale mentre vediamo i turisti su la in alto ad ammirare le cascate da 100 metri!. Usciamo dall’acqua intirizziti e ci vestiamo. Invece che ritornare lungo lo stesso tragitto, su consiglio della guida si decide un percorso alternativo che prevede l’attraversamento del Nilo con le Tanquas, le loro famose imbarcazioni. Sono delle specie di canoe costruite col papiro e quando dopo qualche mese il papiro si infradicia  l’imbarcazione si getta e se ne fa un'altra. Ho i piedi che navigano ormai nel fango  mentre salgo sulla barchetta alquanto instabile devo dire. Tutto fila liscio e il barcaiolo guadagna la sponda destra orografica fino a raggiungere la sponda opposta sfruttando anche la corrente. Torniamo verso Bahir Dar lungo una pista zeppa di gente che si sta recando al mercato  Sono le ore 11.30 ed abbiamo perso il tempo per la visita alle isole del Tana ma non fa niente. Ci diamo una ripulita in albergo e percorriamo in Land una pista che costeggia il lago ammirando la vita locale dei pescatori e dei bambini che indossano dei curiosi copricapo per ripararsi dalla pioggia. Non proseguiamo oltre per rischio di impantanamento ed ora Gebru mi porta ad una delle case dell’imperatore Selassie in cima alla collina che sovrasta Bahir Dar. C’è una vista davvero bella sul Nilo Azzurro che si stacca dal Lago Tana per proseguire turbolento fino ai confini col Sudan dove a Karthum si unirà col Nilo Bianco nato nel Lago Vittoria ed insieme porteranno le acque fino al Mediterraneo. Di sera ci rechiamo al ristorante Enkutatash dove gustiamo un altro ottimo Persico del Nilo. Il giorno seguente,dopo colazione ed alle 6.30 via verso l’imbarcadero. Si parte con due guide su una barchetta misera misera. Se il Tana si arrabbierà saranno problemi. Boh!.Vedremo!.  Dopo un ora e quaranta di navigazione  sbarchiamo alla penisola di Zeghie e saliamo il sentiero che ci porta  alla bella chiesa monastero  di Ura Khidane Meret che è protetta da un recinto di canne e giunchi. All’interno il suo Maqdas è splendente e dicono sia uno dei più belli d’Etiopia. C’è un angelo con spada che sembra bloccare l’ingresso agli infedeli. Il tetto della chiesa è in giunco ed il corpo in fango al quale sono appese tele davvero ben dipinte. Ce ne sono moltissime. Fuori sta partendo una processione per la commemorazione di un defunto. I lamenti dei parenti sono strazianti. Un’altra capanna contiene il tesoro del monastero  ed un monaco, dall’interno apre le finestre per mostrarcelo. Sono corone  e vestiti sacri.  Torniamo alla barca e si riprende il lago fino ad un'altra isola dove una volta arrivati e saliti su un sentiero ammiriamo la chiesa di Kebran Gabriel una delle più belle tra lr chiese copte del lago Tana. La guida ci mostra una pietra ferrosa che dice essere un meteorite e poi la curiosa campana di forma cilindrica. C’è un bel dipinto che raffigura re Johannes che uccide un serpente e su quel punto sarà edificata la chiesa. Sembra che qui vivano 60 monaci. Torniamo all’imbarcadero e dopo un pasto frugale direzioniamo verso Debre Markos dove arriviamo alle 22.30.  Domani è il mio ultimo giorno di viaggio e partiamo alle 6.30  e sempre con un tempo nebbioso ed umido raggiungiamo  un canyon sottostante molto suggestivo dove fluisce il grande Nilo. Il ponte sul fiume è sorvegliato da 2 soldati dallo sguardo feroce ed arrabbiato che maneggiano nervosamente due kalashnikov. Fare una foto qui sarebbe la cavolata del secolo.  Saliamo nuovamente sull’altopiano fino a 3200 metri e c’è un importante monastero da visitare. Si tratta di Debre Libanos, una sorta di centro religioso che l’esercito musulmano del Gragn  rase completamente al suolo. Quello che ammiriamo è solo la ricostruzione. A Debre Libanos si consumo uno dei più terribili e selvaggi crimini di guerra degli italiani in Africa: la spietata rappresaglia che segui l’attentato al viceré Graziani che non risparmiò nessuno. Nel 37 egli ordinò la fucilazione di tutti i monaci ed in seguito di 129 ragazzini. Oggi Debre Libanos è solo un ingombrante basilica dalla grande cupola bianca con un viale per accedervi sempre pieno di  disperati, malati, deformi alla ricerca di una grazia. Ripartiamo, raggiungendo Addis Ababa dalla montagna Entoto che la sovrasta. Data l’ora si approfitti per fare un giro della città iniziando la visita del monumento a Menelik e dopo aver percorso il centro cittadino con le sue banche ed uffici si va al piazzale della rivoluzione dove venivano effettuate le parate. E’ ora di pranzo e quale migliore occasione per andare al migliore ristorante della capitale: il Finfine restaurant dopo gusto la locale injera con pezzi di pollo, carne trita, spezie. E’ ancora presto perciò proseguiamo il giro della città andando alla stazione dei treni costruita dai francesi e poi, da un idea di Gebru ci rechiamo a casa sua dove sono accolto con gentilezza ed affetto dai suoi genitori e dalle sorelle. Loro già mi conoscono di nome dal viaggio effettuato con loro figlio 2 anni fa e mi offrono tè e biscotti. E’ ora di andare e raggiungiamo in breve l’abitazione dei Morello dove purtroppo Vittorio e Dario sono assenti dato che stanno accompagnando dei turisti nella regione dell’Omo. Mi intrattengo per un oretta con la Rita Morello e poi insieme a Gebru si va in aeroporto. Ho ancora il cuore infranto per il fallimento della Dancalia, ma che viaggio ragazzi!.Grazie Gebru, Rita!. Grazie Etiopia!.

 

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