1995 ETIOPIA

Verso le origini dell'uomo

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Addis Ababa - Chiesa copta

 E’ stato un grande viaggio, uno di quelli che da solo riempie il bagaglio emozionale di un uomo per tutta la vita. Un viaggio spedizione, intensamente voluto e organizzato in modo tale da offrirmi il massimo che avrebbe potuto darmi. Non una, ma due guide a mia completa disposizione e pronte a collaborare in tutto per il successo di questo progetto. L’Africa occidentale la si sa ricca di un mosaico etnico notevole mentre quella orientale è visitata prevaletemene per l’incredibile varietà di animali dei sui parchi. L’Etiopia invece è un paese unico nel suo genere racchiudendo all’intern dei suoi confini un patrimonio naturalistico, etnico e culturale di primo livello. Da soli due anni veramente aperta al turismo dopo la fuga del suo ex dittatore comunista Menghistu in Zimbabwe è rimasta isolata con i suoi affascinanti segreti. Le sue etnie della parte meridionale, ai confini con il Kenia e il Sudan, dipendenti in gran parte dal fiume Omo sono ciò che di più vergine si può incontrare sulla faccia del nostro pianeta. Parto il 31 Luglio da Linate alla volta di Roma dove mi imbarco per l’Etiopia atterrando alle 11.30 dopo una sosta tecnica ad Asmara. Ad attendermi c’è Sumia che parla italiano e mi aiuta nel disbrigo delle pratiche. Mi porta all’hotel Ghion dove pranzo gustando una buona zuppa di cavolfiori e un tournedos. Alle 14.30 ho appuntamento per il city tour. Non c’è molto traffico e ogni tanto qualche bella piazza come quella dedicata a Menelik e alla battaglia di Adua. I palazzi sono bruttini, retaggio di un regime comunista che poco concedeva al frivolo. Con la mia guida ci si reca dapprima alla basilica copta della Trinità dopodiché ecco il palazzo dell’Onu ed il palazzo di Menelik. Dopo una puntata al mercato ci dirigiamo verso il museo archeologico dove subito all’entrata è lo scheletro di Lucy, ominide vissuta nella regione dancala tre milioni e mezzo di anni fa. Ha una scatola cranica come quella di uno scimpanzé. In moltissime altre sale altri reperti archeologici e armi delle varie epoche. Ritorno in albergo e dopo un riposo di un paio d’ore ceno ordinando un medaglione di vitello bagnandolo con una Harar beer. Domani mattina si partirà in direzione di Arba Minch alle 6.30 con Girma e Gebru. Raggiungiamo in fretta la Rift valley dove ci sono laghi vulcanici molto spesso alcalini e senza vita. E’ l’habitat ideali per una moltitudine di uccelli acquatici ma oggi non li ammireremo perché siamo diretti ad Arba Minch. I campi coltivati si fanno sempre più radi mentre a lato strada due camion si sono scontrati provocando anche un morto. Molti carretti con asini trasportano varie mercanzie. Passiamo i laghi Abaya e Chamo dopodiché eccoci arrivati all’ hotel. Parlo con le mie guide concordando di lasciare subito domattina Arba Minch inoltrandoci immediatamente nella zona interessante e così sarà. Trascorro la notte senza luce ed acqua con la sola compagnia di una candela e di uno scarabeo gigante. Purtroppo non si può partire troppo presto perché la mancanza della luce elettrica in serata ha impedito la risoluzione di alcuni problemi meccanici. La giornata è nuvolosa e in tarda mattinata si riparte verso sud attraverso paesaggi collinari intensamente lavorati specie nei pressi dell’etnia Konso. Loro coltivano specialmente mais, grano e sorgo. I Konso commemorano i loro defunti con figure di legno scolpite che raffigurano non solo il defunto ma ciò che egli ha fatto in vita. Sono abili contadini e sfruttano i loro appezzamenti con terrazzamenti alle volte arditi mantenendo inoltre scambi commerciali con i vicini Borana. Sono abili suonatori dimostrando il loro talento specie in occasioni religiose e cerimoniali suonando il krar(una specie di lira). Vivono in tipici villaggi racchiusi da spigolosi muretti realizzati in pietra a secco. Intanto la Land Cruser comincia a dare noia. Girma e Gebru sistemano prima il tubo di scappamento e poi un faro che balla. La pista è piccola ed in condizioni spregevoli durante il prosieguo della giornata. Le coltivazioni si diradano come del resto anche la presenza umana dopodiché qualche piccolo guado in una terra che si fa selvaggia, vergine. Di tanto in tanto solo qualche pastore. Prima di Key Afer notiamo qualche Hammer e dei Karo ma saranno incontri che approfondirò in seguito. Questa è Africa vera!. Le donne usano strane capigliature mentre gli uomini cercini ed orecchini. Attraversiamo il fiume Weito e poi Key Afer dove vive l’etnia omonima e finalmente arriviamo a Jinka, un villaggio abbastanza grande. Non c’è niente che possa assomigliare ad un alloggio perciò Gebru prepara degli spaghetti mentre Girma monta le tende. La serata la trascorriamo a discutere sul programma di domani e della cerimonia del salto del toro che consegna un giovane Hammer alla vita adulta. Le parenti del fanciullo pregheranno di essere frustate e più saranno le cicatrici e la resistenza al dolore più sarà l’attaccamento che dimostreranno al fanciullo. Il ragazzo dovrà saltare per quattro volte sulla groppa di sei tori in fila tenuti fermi. Se riuscirà nell’impresa diventerà adulto ma se fallirà e cadrà più di una volta sarà schernito da tutti per tutta la vita. Sveglia alle 5.30 verso una giornata memorabile uscendo da Jinka lungo una pista brutta in mezzo ad un paesaggio di boscaglia e erba alta. Nessun animale interessante ma solo qualche bucero, faraona volturina e dei dik dik. Ci sono anche le mosche tse tse che falcidiano ed entrano nell’abitacolo dando notevole fastidio. La pista sta diventando incredibilmente dura e vi fermeremo tre volte inserendo poi la ridotta per superare tratti particolarmente difficili. Finalmente arriviamo in cima e di fronte a noi si apre la piana dell’Omo. Questa è zona Mursi infatti, incredibilmente si presentano di colpo sulla pista. Molti sono nudi e indossano cinturoni con pallottole all’interno. Hanno mitra e Kalashnikov che scambiano col vicino Sudan in cambio di bestiame. Sono difficili da trattare e non ci si può permettere di filmare senza il consenso perché si rischia una sventagliata “accidentale” che potrebbe consegnare all’aldilà anticipatamente. Hanno un particolare tipo di capigliatura rasa sul davanti. Riesco a filmare un po’ e quindi si prosegue fino ad un loro piccolo villaggio dove ci sono anche delle donne con il classico piattello infilato in bocca. I Mursi praticano scarificazioni per ragioni di bellezza, per abbellirsi. Sono spesso in guerra con i Bodi e gli Hammer ma alle volte fanno la pace con i Bodi per allearsi contro i secondi. Quando riescono ad uccidere un avversario viene praticata loro una incisione a ferro di cavallo. Le donne usano i piattelli labiali come fanno anche i Surma. Forano le labbra e dopo sei mesi il piattello entra. Pian piano ne vengono inseriti di sempre più grandi. Possono essere tolti solo in privato o fra donne. Un tempo erano triangolari ed in legno di balsa mentre ora sono circolari. Si fanno pagare per essere fotografati ma sono ugualmente eccitato come un bambino dato che sono solo in mezzo a loro, una etnia entrata nella leggenda dell’antropologia. Ripartiamo nella savana cespugliosa verso Omomursi dopo averne incontrati molti altri fino a raggiungere il famoso fiume Omo scoperto nel 1896 dal famoso esploratore Vittorio Bottego. Purtroppo questa è la stagione secca e molti di loro emigrano verso sud per avere pascoli migliori per il bestiame e così non abbiamo la possibilità di fare numerosi incontri ma riesco ad organizzare di farmi portare ad un villaggio ad una ora circa da qui perciò si parte a piedi nella boscaglia. Sarà una bella sfacchinata ma anche una incredibile esperienza sotto un sole molto forte. Ecco il villaggio ed il latrato di un cane annuncia alla gente del posto il nostro arrivo. Sei, sette capanne in tutto ed una curiosità generale nei miei confronti. Le donne stanno macinando dei semi di sorgo in un mortaio di pietra. Trascorro mezzora al villaggio per poi fare ritorno ad Omomursi che null’altro è che un avamposto di qualche capanna sul fiume Omo. Ci accampiamo cenando dopodiché partiamo con la jeep nell’oscurità più totale verso un vicino villaggio Mursi ma ci rendiamo conto di aver provocato la rottura della loro quiete perciò ritorniamo alle nostre tende. Che giornata incredibile!. La mattina seguente, dopo una scarna colazione a base di tè e grissini si riparte per la medesima pista sostando ad un loro villaggio per ammirare i loro granai di legno sopraelevati da terra. Prima di Jinka abbiamo fatto il permesso per il Mago national park che visiteremo domani e lungo la strada ammiriamo un abissian roler e dei buceri. Visitiamo il mercato di Jinka dove incontro due Bodi e dove Gebru compra delle anfore con del burro. Incredibile pensare coma possa conservarsi fino al nostro ritorno ad Addis Abeba ma evidentemente è così. Si vendono anche vari tipi di cereali, incenso, farine di mais ed oggettini vari. La giornata seguente inizia con una colazione a base di banane e grissini. Si attraversa il Mago national park dove però oltre alle solite mosche tse tse non notiamo altro che degli avvoltoi, dei buceri, un paio di dik dik ed un gerenuk. Che razza di parco, ma evidentemente tutte le guerre succedutesi negli anni passati lo hanno spogliato della fauna. Raggiungiamo un villaggio Karo dove però ci sono prima di noi due altre jeep di viaggiatori. Chiedo a Girma di chiedere ad un locale a presenza di altri più veri, isolati. Così operiamo ma lungo la pista invece faccio un altro grande incontro. In mezzo alla savana ecco due ragazze hammer. Curiosa è la capigliatura a trecce, impastate con burro ed argilla come lo è anche il collo ed il petto. Sembra di essere davvero nel neolitico. Hanno dei collari intorno al collo, ai polpacci ed alle caviglie oltre al seno scoperto. Raggiungiamo poi un piccolo insediamento hammer in mezzo ad un gran polverone provocato dal bestiame che stanno portando a pascolare. Siamo sulle rive del fiume Omo e starò mezzora ad ammirare la vita che si svolge nelle sue vicinanze. Alcuni animali scendono quasi scivolando fino all’acqua per abbeverarsi ed anche delle donne si approvvigionano riempiendo anfore di argilla. L’acqua è rossa dalla terra di cui è impregnata ma questa è la sola fonte d’acqua dei dintorni. Gli uomini hanno kalashnikov a tracolla. Tutti loro hanno uno sguardo fiero, orgoglioso. Dobbiamo ripartire perché qui c’è rischio di malaria sostando in seguito nei pressi di un villaggio Karo. Appena arrivati tutti ci si avvicinano. I Karo sono imparentati con gli Hammer ed hanno bene o male le stesse tradizioni ma noto che le donne sono molto più vistose, belle, slanciate come lo sono di massima tutte le donne nilotiche. Sistemiamo la tenda mentre bevo dell’acqua che è cosi calda da rasentare l’imbevibilità. Sono anche sporco e pieno di polvere fino nelle mutande. Dopo una cena risicata vado al villaggio che poi non è altro che un cerchio di capanne di non più di 50 metri di diametro. C’è buio e solo qualche fuoco libera qua e la qualche sagoma umana intenta a cibarsi di misere focacce. Una donna dondola fra le braccia suo figlio mentre estrae da un otre della sbobba che mette con le mani su un piatto nutrendone poi il piccino. Incredibile!. Torno in tenda a riposare mentre tutto intorno a me è silenzio, assoluto. Mi trovo fuori dal mondo permeato da una libertà di movimento che mi fa urlare dalla felicità. Il mattino seguente, durante il nostro movimento per sistemare le tende e tutto il resto saremo circondati dai Karo, armati fino ai denti ma sembrano bambini con i loro giocattoli russi che però posso ammazzare in un lampo senza opzioni di ritorno. Si raggiunge Omorate attraverso un paesaggio di savana cespugliosa dopo aver perso la strada una prima volta ed esserci successivamente insabbiati. Ammiriamo alcuni orici, struzzi, hartebeest, gazzelle di Thompson e dik dik. Omorate è l’ultimo villaggio prima del Kenia. Qui si chiede all’ufficiale locale per sapere della possibilità di raggiungere i Bumi al di la del fiume ma dicono che c’è bisogno di un numero enorme di litri di benzina per spostare il tank militare che c’è in mezzo al fiume e traghettarci di la cosi abbandoniamo l’idea e raggiungiamo più a sud i villaggi dei Galeb, amici dei Bumi contro i Karo e gli Hammer. Nella sparsa savana incontreremo quattro villaggi e la nostra guida alle volte tratterà le donne Galeb con poco rispetto. Io non mi intrometto ma non si può concepire questi atteggiamenti!. Le ragazze hanno dei vistosi braccialetti alle caviglie e alle braccia oltre a varie collane. Gli uomini, alti e slanciati utilizzano dei cercini sul capo. I loro villaggi hanno recinti per il bestiame e granai per contenere il surplus del raccolto. Più avanti ancora si arriverebbe al lago Turkana ma li è Kenia perciò dobbiamo rinunciare. Raggiungiamo ancora Omorate e quindi Turmi dove troviamo una bettola dove dormire. C’è un bel mercato hammer dove trascorro una mezzora affascinato come un esploratore alle prime armi. Si vende miele, tabacco, cereali ed è veramente curioso girovagare fra loro, così autentici ed anche qui nessun turista ma solo io, io e loro. Straordinario!. In seguito mi faccio montare la tenda perché non mi fido della camera dove potrebbe entrare qualsiasi insetto, zanzara e altro. L’indomani partiamo alle 7.00 per Fejij incontrando lungo la pista altri hammer ma abbiamo un guasto al radiatore. Gebru rabbocca di acqua dato che c’è un buco ma dopo due o tre operazioni ora il problema sembra grave e opera in altro modo introducendovi della polvere da tè. Certo questi non sono rimedi convenzionali ma in casi di emergenza dove non è possibile l’opera di meccanici si può ovviare col tè o addirittura con un uovo che in qualche modo tappa il buco impedendo parzialmente all’acqua di uscire, almeno per un po’. Pare incredibile ma è così!. Il problema è comunque grave e pur raggiungendo in qualche modo Turmi sembra che non si possa risolvere. Non c’è modo di saldare il radiatore e l’unico soluzione è ritornare a Konso, cosa che riusciamo a fare con innumerevoli soste e preoccupazioni anche per il motore. Per risolvere il danno però dovremo far ritorno persino ad Arba Minch. Incredibile!. Raggiungiamo il paese partendo alle 4.15 del mattino e una volta risolta il guaio meccanico ripartiamo in direzione di Erbore accampandoci nei pressi di un avamposto militare. L’indomani si prosegue verso Turmi deviando però poco prima. Si guida quasi nell’oscurità ma il sole sta alzandosi e dopo alcuni chilometri ancora accidentati entriamo nel lago Stefania, un tavolato piatto asciutto che solo durante la stagione delle piogge si riempie di un po’ d’acqua. Negli altri mesi, data l’alta evaporazione è quasi sempre asciutto. Voliamo con la jeep in una distesa che pare infinita e con la scorta di un militare locale dato che la zona non è sicura e necessita di una presenza armata. Ammiriamo degli orici, due volpi ed alcune gazzelle di Sommering. Specie al ritorno ci capiterà addirittura di inseguire degli esemplari adulti di orici che galoppano nella distesa infinita. Alla fine si vede una pozza di origine vulcanica dove sgorga dell’acqua calda e quindi si ritorna sui nostri passi. L’idea che avevo non era però quella di venire fino a qui ma c’è stato un equivoco con le guide che male hanno interpretato una mia richiesta. Pur stata una gradevole escursione non era qui che volevo andare ma a vedere un vulcano di cui però non sapevo dare le coordinate esatte con la speranza però che loro lo conoscessero. Così non è stato è ho fatto un po’ di rimostranze quasi costringendoli a proseguire lungo una pista sconnessa fino a raggiungere Konso e quindi Yabelo attraverso una pista da impazzire alla guida. Attraversiamo anche un ponte fatto solo di poche assi poco stabilizzate. Superato l’ostacolo si continua nella savana cespugliosa dove di tanto in tanto incontriamo qualche Borana che è una etnia fedele alla loro vita tradizionale che dipende dal bestiame. La società borana è seminomade e la loro alimentazione si basa solo di latte e dei suoi derivati. Sono musulmani e vivono in villaggi con capanne con tetti di legno ed argilla. Attraverso una strada finalmente asfaltata raggiungiamo Mega con salite sulle quali la jeep arranca pericolosamente. In un villaggio pernottiamo e chiediamo ulteriori informazioni sul sito di cui parlavo che sembra chiamarsi Chew Bet. Alle 7.30 sveglia e partiamo con una guida locale scendendo verso sud. Dopo circa una ventina di chilometri deviamo seguendo una pista nella savana e dopo altri quindici chilometri ecco finalmente l’agognata meta di El Sod, dove è il vulcano che tanto bramavo. Fa però freddo e noto che giù in basso, nel cratere, non ci sono ancora i lavoratori dei quali ho sentito tanto parlare così penso di trascorrere del tempo visitando la zona ed alcuni villaggi borana. Ritorniamo al cratere che ora discendiamo per 30 - 40 minuti sino a raggiungere il piccolo laghetto in mezzo che ha delle caratteristiche notevoli infatti al suo interno ci sono depositi di sale che danno sostentamento ad alcuni lavoratori della zona. Il tutto si svolge in una atmosfera da inferno dantesco in un caldo notevole. Sono fortunato spettatore di un lavoro d’altri tempi che comunque affascina e stupisce. In questo lago di 50 metri per 50 ci sono delle pertiche verso le quali si muovono due uomini nudi. Hanno sulle spalle dei secchi. Raggiungono le pertiche che muovono poi con fatica da tutti i lati aprendo dei buchi nel terreno sommerso e recuperandone inseguito con le mani il fango smosso sottostante. E’ fango misto a sale che poi, portato a riva verrà caricato in sacchi e poi sulle groppe dei muli che lo riporteranno sino in cima al cratere e poi alla fabbrica che provvederà a separarlo dalle impurità ed ottenerne sale per il bestiame. Quello migliore invece sarà utilizzato per la cucina. Sono lavori dove l’uomo si spacca la schiena in un atmosfera da incubo. Queste sono situazione umane che fanno davvero riflettere come quello che succede nella famosa Serra Pelada amazzonica per estrarre l’oro ma si sa che il mondo è un recipiente talvolta insopportabile di ingiustizie. Risalgo il cratere facendo una fatica impressionante, spossato dalla stanchezza e dal caldo e poi si ritorna a Mega e Yabelo proseguendo lungo la strada asfaltata. La popolazione qui consuma il chat, l’equivalemte del qat yemenita, una foglia proveniente da una arbusto che masticata sembra conferire una certa ebbrezza e piacevolezza psichica. La pioggia caduta ed il fumo che esce dalle capanne sulla strada dove stanno scaldando l’acqua per la cena conferiscono all’ambiente una atmosfera grave, quasi tragica. Troviamo una sistemazione prima della cittadina di Awasa. Spaghetti cucinati da Girma e a nanna. E’ il penultimo giorno di viaggio e si parte alle 8.30 raggiungendo Awasa dove facciamo una gita in barca sul lago per poi pranzare in un bel locale col solito injera, loro piatto nazionale che consumano 365 giorni all’anno e rigorosamente con le mani. Di sera campeggiamo vicino al Langano resort nei pressi dell’omonimo lago. Vengo intanto a sapere che Girma e Gebru non lavorano per Sumia ma per Morello e domattina ho in programma di fare una bella chiacchierata con lui Domattina si ripartirà per la capitale ma purtroppo la jeep ha subito danni notevoli ed una asse della balestra si rompe così dobbiamo limitare la velocità per riuscire a far arrivare il mezzo a destinazione. Ad Addis Ababa mi rifugio finalmente in un albergo e mi tolgo il chilo di polvere e fango sui vestiti e sulla pelle per poi andare a casa dei Morello. Ammiro la loro abitazione, quasi museo dato che il padrone di casa oltre che essere a capo di una agenzia turistica ha anche la passione per la scultura. Facciamo conoscenza e gli prospetto la mia idea di raggiungere in un altro viaggio la Dancalia fino a Dallol. E’ impresa ardua, quasi impossibile ma sembra che si informeranno e mi faranno sapere dato che la moglie di Vittorio, Rita vive a Milano e mi sarò molto facile tenere i contatti con lei. Gli compro una fantastica scultura che troneggia ora nel salotto della mia villetta ed incontro in seguito Sumia che mi consegna il biglietto per il ritorno. Tutto bene. E’ stato uno straordinario viaggio che ha aperto la strada ad un possibile altro che potrebbe rivelarsi la più pazzesca impresa di viaggio che abbai mai saputo partorire in una regione cosi torrida e pericolosa da far impallidire anche le speranze di più consumati viaggiatori. Si vedrà!.

 

 Proprietà letteraria riservata. Copyright © 2004 Daniele Mazzardi
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