1998 Namibia

Magia degli spazi sconfinati.

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Verso Solitaire un nido collettivo

Uno dei più bei viaggi mai effettuati. In completa indipendenza, molti sono stati i momenti che mi hanno gratificato toccando le vette massime del piacere e senza rischio di esagerare posso affermare di aver spesso sentito parte di me lievitare dalla felicità respirando quell’atmosfera e venivo trasportato in un mondo parallelo che è sempre lo stesso  ma distaccato dagli elementi materiali. E’ con dolore che lascio la mia famiglia che tanto è in grado di darmi per intraprendere questo viaggio in completa solitudine e mentre sto volando in direzione di Windhoek rivedo continuamente gli occhi di Giorgio e Paolo mentre mi vedono andar via. Chissà cosa penseranno di questo padre che ogni tanto parte in giro per il mondo! Grazie anche a Gosia, mia moglie, che riesce a capire, ad assecondare questa mia grande voglia di conoscere e di viaggiare. Era lei prima dell’arrivo di Giorgio la mia compagna di tante avventure ma ora le variabili sono mutate e sono solo ora qui in Namibia alle 19.30 in aeroporto senza nemmeno un albergo dove dormire. Ritiro l’auto prenotata dall’Italia(una Toyota Corolla) e di sera mi dirigo verso il Marie’s accomodations, una sistemazione che ho scovato telefonando dall’aeroporto. Per fortuna la cartina datami dal rent-a-car è affidabile e la città ordinata e apparentemente sicura. Non avrò molto tempo per riposare dato che domattina voglio raggiungere il centro cittadino in Meinart strasse. Li c’è il MET, l’ufficio turistico dove alle 8.00 prenoto il mio pass per il parco del Namib dopo Sesriem. Non c’è posto però nel campeggio perciò dovrò vedermela là. Prenoto anche i campeggi per l’Etosha park che raggiungerò alla fine del viaggio. Windhoek è una città ordinata, tranquilla che assomiglia molto alle già visitate sudafricane come Johannesburg, Durban, Pretoria. Di tanto in tanto qualche casa coloniale ma approfondirò la visita all’ultimo giorno. Per ora è mia intenzione acquistare dei viveri ed una tanica da riempire con benzina di riserva. Non si sa mai! Lungo il tragitto saranno pochissimi i distributori perciò è meglio premunirsi. Lascio la capitale in direzione sud lungo la pista sterrata che porta al Gamsberg pass. Dall’altopiano centrale ci sono 3 piste che raggiungono il deserto del Namib e quella che attraversa questo passo è la più bella. L’ambiente è subito brullo, desolato, con colline aspre, selvagge per poi diventare semidesertico con le classiche acacie spinose. In molti casi sosto per ammirare su alcuni alberi degli incredibili nidi collettivi di uccelli. Il paesaggio è diventato pianeggiante ed infinito. E’ un deserto pietroso spesso rosso dalla presenza di argilla ma anche verde dovuta all’erba  bassa che tappezza molte distese. Ogni tanto qualche struzzo che corre libero come il vento e di tanto in tanto delle indicazioni per guest house o fattorie(farm). Finalmente, dopo 200 km. di solitudine qualche casa(una decina stile far west) a Solitarie dove c’è un distributore di carburante dove faccio il pieno. Riparto in un ambiente che man mano diventa più desertico raggiungendo la località di destinazione di Sesriem. Qui c’è un campeggio ed è la porta di ingresso per il Namib. Qui si è costretti ad arrivare e soggiornare ma, come già anticipato a Windhoek non ci sono posti e forse dovrò montare la tenda fuori dal cancello che chiuderà di sera. Per fortuna riesco a corrompere un lavorante che mi trova un sito all’interno. Non mi sarebbe piaciuto stare da solo in balia magari di qualche animale! Per la cena approfitto del Karo’s lodge qui vicino dove dal loro “braai”(barbecue) gusto un ottimo ostrich(struzzo)kebab e lamb chops bagnati da un ottimo rosso Chateau Libertas della sudafricana Stellembosh . Sono in Paradiso e quando alzo gli occhi al cielo sembra che tutte le stelle del firmamento si siano date appuntamento sopra questo deserto. E’ ora di andare a dormire perché domattina si parte presto per tentare di ammirare l’alba dalla celeberrima duna di Sassusvlei. Nonostante parta all’apertura del cancello nessuna auto riuscirà però a raggiungere lo scopo e l’alba la vedo insieme ad altri dalla cima della duna 45 (chiamata così perché sita al 45° km. da Sesriem). Il panorama è fantastico e tutto intorno è uno spazio sconfinato di deserto e dune. Riparto in direzione di uno spiazzo dove parcheggio l’auto. Altri,con le vetture 4x4, proseguono ma io non posso perciò mi aspettano cinque chilometri a piedi fino alla piana di Sassusvlei. Prendo zaino e borraccia e parto seguendo le tracce delle poche jeep che transitano. Tento di chiedere un passaggio ma dopo qualche no abbandono l’idea e decido di godere in solitudine quell’ambiente meraviglioso fatto di dune anche altissime. Finalmente ecco la piana di Sassusvlei e di fronte la famosa duna che mi accingo a salire. Il panorama che si gode dalla cima abbraccia tutto il deserto intorno a 360° ed è spettacolare. Giù in basso la piana con la sua rada vegetazione. In alcuni momenti dell’anno si riempie d’acqua e di flamingos regalando un colpo d’occhio impareggiabile a coloro che hanno la fortuna di capitarci in quel periodo. Girovago un po’ sulla duna notando anche 2 coleotteri(tenebriodi). Il deserto del Namib è noto fra tutti i deserti del mondo per ospitare una gran quantità di specie animali come lucertole, rettili in generale che riescono a sopravvivere in questo clima torrido. Il miracolo della vita lo si deve alla provvidenziale corrente di Benguela che proveniente dall’Antartide lambisce le coste della Namibia. Salendo in superficie e ed incontrando i venti caldi del deserto produce una nebbia che si inoltra fino a decine di chilometri all’interno fornendo acqua necessaria al mantenimento della vita. Il programma della giornata  prevede che raggiunga la costa atlantica a Walvis bay per cui mi devo dare una mossa e ritornare al parcheggio e per fortuna farò quasi tutto il tragitto di ritorno sul tetto di una Land Rover che ha deciso di caricarmi. Fantastico! Che esperienza anche se alla fine avrò il sedere piatto! Via come un fulmine verso Sesriem non tralasciando comunque di filmare  le magnifiche dune che ora stanno assumendo un colore rossastro. Passato Solitarie e raggiunto il bivio per il Gamsberg pass svolto verso ovest e l’oceano. Il paesaggio cambia quasi subito e la pista che prima mi vedeva sfrecciare a 100 km/h ora richiede molta più attenzione ricca com’è di saliscendi e curve continue. Si respira una sensazione di libertà assoluta quasi di potere sulle cose ed è una percezione così acuta che mi fermerò spesso per goderne nella massima solitudine. Intorno a me ci sono decine e decine di chilometri di nulla del Namib interno a 360° e incontrerò solo pochissime altre automobile. Sono all’interno del Namib Naukluff e le dune sono un lontano ricordo. Qui c’è solo una landa sconfinata desertico-pietrosa e ora la pista è diritta, lunghissima. Mi sdraio sul parabrezza per percepire meglio le molecole di magia che mi sfiorano tutto attorno. Riparto raggiungendo e passando la famosa duna 7, luogo di divertimento degli abitanti di Walvis bay. La città è ordinata, essenziale ma cupa, grigia dovuto alle nuvole dall’oceano che hanno vinto la forza del sole del deserto. Mi trovo una sistemazione al Casa Mia hotel e su indicazione della proprietaria ceno al Lalainya, il miglior ristorante della città. Come entrata 8 ostriche locali su un letto di ghiaccio e poi un gustoso pesce Steenbrass dalle carni sode e saporite. Il bianco Chardonnay sudafricano Craighall del 97 si sposa perfettamente al tutto provocandomi una sorta di orgasmo alimentare. Uscito dal locale mi reco sul lungomare dove, nascosti dalla nebbiolina si sentono decine e decine di flamingos. I loro richiami, la magia del posto e la particolare situazione di benessere psichico uniti al buon sigaro che mi sto gustando costituiscono un mix da mandare in stratosfera anche i viaggiatori più esigenti.  La mattina seguente con la compagnia di una leggera pioggia riuscirò meglio ad apprezzare il magnifico paesaggio della laguna di Walvis bay. Sembra incredibile infatti ma qui sul lungomare, di fronte alle  ville dei locali, si può godere di un panorama naturale da sogno. Pare di far parte di una fiaba e quando mi dirigo con l’auto verso sud costeggiando tutta la cittadina fino alla fine dell’abitato sarà un susseguirsi ininterrotto di fenicotteri rosa che camminano nella laguna bassa che talvolta si espande in mare per qualche centinaio di metri. Tutto intorno è natura, natura e ancora natura, resa ancora più selvaggia dal clima cupo e umido. Ogni tanto mi fermo a contemplare questa meraviglia ammirando gabbiani, cormorani, pellicani. Ce n’e da restare a bocca aperta in questo silenzio assoluto rotto solo dal verso di migliaia di uccelli. Proseguo fino alla salina che fornisce di sale tutto il Sudafrica oltre naturalmente alla Namibia per poi ritornare a Walvis e scoprirne i suoi aspetti più evidenti. Ora che il sole comincia a farsi spazio fra le nuvole sarebbe bello andare a “duna 7” . La gente ci va per fare un picnic o semplicemente per salire la duna e magari scivolare poi giù con dei cartoni. Con grande fatica ne raggiungo la sommità ammirando il paesaggio circostante di deserto e dune. Dopo un rapido pranzo al sacco riparto in direzione di Swakopmund lungo la statale atlantica molto panoramica. A sinistra l’oceano, a destra il deserto. Sulle spiagge sono numerosi i pescatori che cercano in qualche modo di sfruttare la grande ricchezza di questo mare mentre sulle dune sfrecciano le moto del deserto dei rampolli bianchi locali. Raggiungo la cittadina trovando in fretta una sistemazione per la notte quindi faccio un giro per conoscere meglio l’ambiente. L’architettura è talvolta severa e ricorda il periodo coloniale tedesco ma sono numerosi gli esempi di bellissime ville o complessi residenziali. Vagabondando nelle sue vie non sembra affatto di essere in Africa. Raggiungo quindi il molo dove ha sede il museo della città. Sarà un tuffo nel passato namibiano e in numerose sale ben ordinate stanno in bella mostra reperti archeologici, animali imbalsamati, conchiglie, foto e scritti che ripercorrono la storia coloniale e antica di questo paese. Dopo una cena ordinaria il viaggio prosegue il giorno dopo verso la cosiddetta Welwitschia drive. Questo percorso in pista permette di fare la conoscenza con alcune specie botaniche tipiche della zona desertica. Ecco perciò i dollar e ink bush, cespugli singolari con foglie spesse e grasse, ma il vero climax oltre a dei bei view point dai quali si può ammirare la valle dello Swakop river è la famosa welwitschia mirabilis, un vero scherzo della natura, tanto brutta quanto unica. Sembrano dei cespugli ma in realtà sono delle piante che possono raggiungere età incredibili. Al centro si notano delle formazioni legnose dove sembra partire un nugolo di foglie strette e lunghe ma dopo attenti studi si è scoperto che le foglie sono solo due anche se attorcigliate in modo assurdo. Protetta da un recinto, alla fine della pista, se ne può ammirare un esemplare  che si dice abbia 1.500 anni. Ritorno sui miei passi immettendomi nuovamente sulla litoranea atlantica che sale verso nord non prima di aver prenotato un posto per domani  nell’ultimo insediamento possibile in Skeleton coast a Terrace bay. Sto percorrendo un tratto di Namibia assolutamente selvaggia in un atmosfera di cielo che si fa sempre più plumbeo, tipico proprio  della Skeleton coast. Alla mia sinistra l’Atlantico, a destra il deserto e dopo il piccolo insediamento di Henties bay non c’è più nulla o almeno niente che possa far pensare ad un agglomerato urbano stanziale. A breve sarà il sito di Cape Cross dove dovrebbe esserci la più grande colonia di otarie del capo. Compro il pass al cancello d’entrata e non posso fare a meno di constatare la bellezza intatta, selvaggia del luogo. Due sciacalli con andatura lenta si allontanano nella boscaglia mentre non mi pare di vedere alcuna otaria ma decido comunque di visionare tutta la zona fino alla croce posta da Diego Cao, il primo esploratore europeo a metter piedi in Namibia. Mentre filmo il luogo mi arrivano però in lontananza dei suoni diffusi e noto come due piccoli pulmini siano in fondo nei pressi di  un basso muretto che corre per circa duecento metri. Mi ci dirigo rimanendo assolutamente esterrefatto dalla cartoline che mi si presenta dinnanzi. In un ambiente puro, selvaggio, che si spinge fino alla costa a distanza variabile tra 100 e 200 metri sono presenti centinaia, migliaia di otarie. Il frastuono permea ed avvolge tutto facendo da colonna sonora ad una scena che credo non abbia paragoni al mondo. Questa colonia è enorme e sono di fronte(a 2-3 metri) a un tappeto infinito di otarie il cui numero è oggi controllato abbattendo di tanto in tanto dei capi per far si che non aumentino troppo in relazione  alla conformazione del luogo. Sono spettatore di un quadro unico ed ora sono rimasto solo, alle 16.00 nei pressi di una apertura nel muretto che consente ad un paio di otarie di uscire. Mi siedo lentamente vicino a loro rimanendo quasi completamente fermo per circa ¾ d’ora. A 180° tutt’intorno è una distesa sconfinata di foche e laggiù in fondo molte di loro sono in spiaggia sdraiate mentre altre saltano giocando sulle onde. E’ difficile quantificare quanto possa valere una esperienza del genere, assolutamente solo, io e migliaia di foche tutte davanti a me. Alcune mi guardano sorprese, curiose e dopo qualche minuto grazie a minimi movimenti mi hanno quasi accettato come parte forse dell’ambiente generale. Si sta facendo scuro e fa freddo ma non riesco ad alzarmi da questo luogo magico, quasi esagerato per essere assorbito da una psiche normale. Sono situazioni che dovrebbero essere provate perché non esistono nei vocabolari termini in grado di descrivere le sensazioni che si provano. E’ come se il tuo corpo resta li mentre lo spirito si libra nell’aria per assorbire le vibrazioni del luogo. Ora devo partire però dato che non so bene cosa mi aspetta al Mile 108 dove dovrei accamparmi per la notte. Infatti, poche casupole, una baracca. Niente altro è presente. Chiedo dove è il campeggio e il guardiamo mi indica uno spiazzo vicino alla spiaggia. Come farò a montare la tenda con questo vento e poi fissarla ai paletti! Contratto con l’uomo di poter trascorrere la notte nel capanno degli attrezzi e almeno avrò un tetto sulla testa. Cena spartana a scatolette e una sigaretta fumata in spiaggia di fronte a questa meraviglia di natura, selvaggia, quasi spettrale. Uno sciacallo passa a circa 20 metri da me cercando resti di pesci o altri animali morti. Credo di essere alla fine del mondo!. Dopo una nottata non propriamente comoda riparto alle 6.30 verso il cancello dello Skeleton coast park dove mi debbo registrare. Chiedo dove sono presenti dei relitti di navi dei quali questo tratto di costa va famosa ma la risposta non prelude a niente di entusiasmante infatti pochi chilometri dopo solo alcuni miseri resti della U.S. seals incagliatasi nel 1976. Altri relitti(i meglio conservati) sono molto più a nord all’interno della zona interdetta al turismo. Non hanno sbagliato a chiamarla la costa degli scheletri infatti incute un tetro rispetto. La nebbia che spesso avvolge la costa creata dallo scontro tra l’aria fredda di Benguela  e quella calda del deserto provoca molti pericoli per chi sta in mare. Naufragare qui, tempi addietro voleva dire lottare con il freddo e con gli animali della costa(leoni,iene). La mattinata prosegue seguendo la pista verso nord in direzione dell’ultimo avamposto prima della zona vietata e quindi dell’ Angola. Il paesaggio che si ammira è variegato e ci si inoltra talvolta all’interno avendo assaggi delle montagne piatte del Damaraland e poi riavvicinandosi a riva verso un mare impetuoso. La spiaggia è sassosa e lunghissima . I silenzi e la sublima musica della natura, del vento, entrano fin nel midollo, nelle cellule e creano uno stato di ”euforica tranquillità”.Ecco Terrace bay dove prendo possesso della mia camera e dopo il rancho via nuovamente verso il limite nord. Rimarrò in completa solitudine per più di due ore in riva al mare con alle spalle il deserto. La  sinfonia della natura è talvolta arricchita con i suoni di alcuni cormorani che si librano nel cielo e la pace oserei dire che è celestiale, avvolgente, quasi commovente.  Unico rimorso il non poter condividere questa gioia con la mia straordinaria famiglia che per ovvi motivi di sicurezza è rimasta ad Aprica(Valtellina). Domani il contesto sarà completamente differente dato che lasciata la Skeleton coast entrerò nel Damaraland, ambiente interessante fatto di collinette basse, spoglie, fatte di arenaria rossa chiamate Inselberg. Improvvisamente, dietro una curva un bellissimo orice che riesco per un breve tratto a seguire in auto. Finalmente il bivio per Twifelfontein e dopo 30 chilometri parcheggio l’auto contattando una delle guide presenti adibite a condurre i turisti lungo i vari sentieri presenti per ammirare una delle più grandi  concentrazioni di opere d’arte rupestre dell’Africa. E’ la prima volta che mi capita di osservare dei petroglifi e ne rimango ammirato. Queste opere, eseguite dagli antichi boscimani circa 6.000 anni fa sono ottenuti scolpendo la dura patina superficiale che ricopre l’arenaria. Lungo il tragitto disegni di animali, impronte di mani. Terminata la visita mi reco al sito di Organ Pipe dove in una stretta valle si ammirano delle incredibili colonne di dolerite che ricordano in alcuni casi degli organi di chiese. Altra visita sarà alla “Petrified forest” dove attraverso un percorso che faccio con un’altra guida locale ammirerò alcuni straordinari esempi di tronchi pietrificati di una foresta esistita pensate 260 milioni di anni fa. Da qui, attraverso un paesaggio collinare desertico raggiungo il lodge con annesso campeggio di Palmwag. Per fortuna, perché è l’unica possibilità per rifornirsi di benzina. Monto la tenda concedendomi per cena un ottimo orix steak(bistecca di orice). Dopo una brutta notte con un freddo(3°C.) che non mi ha fatto riposare bene imbocco la pista per Sesfontein. Scorgo un insediamento di Herero, un etnia che si fece valere un tempo prima contro gli inglesi e poi contro i tedeschi. La maggior parte di loro vive ora civilizzata nelle cittadine dell’altopiano centrale ma alcuni conservano ancora la loro voglia di liberta e si possono trovare nelle loro capanne sparse nel territorio che sto percorrendo. Le donne usano un copricapo dalla forma molto eccentrica. Più avanti finalmente la deviazione per Opuwo insieme ad un branco di struzzi che mi taglia la strada. Nei pressi di questa cittadina che è la capitale del Kaokoland noto già in lontananza il primo villaggio di Himba. E’ per conoscere questa etnia  infatti che sono venuto fin  qui in questa sperduta regione al nord del paese. Pare di essere nel far west e si intuisce immediatamente che bisogna muoversi con cautela e circospezione. Per intanto, riesco a trovare al Kunene lodge un posto per la notte. Ad una stazione di polizia mi sconsigliano di andare da solo alle Epupa falls E’ un luogo isolato che è meglio raggiungere con una vettura a quattro ruote motrice e anche se capitano auto normali che riescono  a percorrere il tragitto è meglio evitare. Da solo potrei avrei grandi problemi in caso di inconvenienti o impantanamenti. Abbandono l’idea e mi dedico agli Himba. Mi allontano dal centro abitato guidando verso nord alla ricerca di qualche villaggio interessante per avvicinarli meglio. Sarò fortunato! Noto una piccola pista che si inoltra nella vegetazione e dopo circa 200 metri ecco un bel villaggio. Saranno 10-15 capanne in tutto. Spengo il motore dell’auto e scendo con calma lasciando lo zaino in auto. Saluto e chiedo chi parli inglese. Mi indicano un ragazzo che non è un Himba ma sta con loro al villaggio. Mi si avvicina e mi invento che devo fare un servizio fotografico e se può parlarne col capo villaggio per ottenere il permesso. La mia richiesta viene accettata per l’equivalente di 3.5 US$ e un po’ di cibo. Recupero dall’auto lo zaino e mi faccio accompagnare da lui tra le varie capanne. Riuscirò ad immortalare ottimi momenti di vita al villaggio. Gli Himba hanno tratti negroidi tipici ma rispetto agli Herero hanno lineamenti più fini, delicati. Le donne sono famose nel mondo per le loro particolarissime acconciature che riescono ad ottenere con un impasto di grasso ed argilla. Anche il loro corpo è cosparso di questo”unguento” e conferisce alla loro pelle un colore rosso. I capelli cadono di dietro sotto forma di lunghe trecce. Riuscirò ad assistere completamente alla realizzazione di questo impasto e alla successiva operazione di spalmatura. Le donne hanno poi al collo uno spesso collare fatto di perline di ferro che scende giù fino al basso ventre inframmezzato da una grossa conchiglia che rimane racchiusa fra i due seni. Fuori da un'altra capanna si sta preparando il porridge mescolandolo con un lungo ramo in una pentola di ferro. Intorno qualche granaio a pianta rettangolare. La mia presenza non ha alterato l’equilibrio del villaggio e posso muovermi in modo ideale raggiungendo un angolo dove degli Himba stanno scuoiando  due bufali. Quello che sto vivendo è assolutamente vita reale Himba senza alcuna contaminazione turistica e quando ritornerò ad Opuwo non potrò che ricordare questi emozionanti momenti in loro compagnia. Il giorno dopo risalgo ancora più a nord fino a Ruacana ai confini con l’Angola ma le cascate del Kunene che dei militari di frontiera angolani mi portano a visitare mi faranno pentire della mia scelta. Riprendo l’auto in direzione est verso la zona dell’Ovambo dove alcune donne noto che pescano in modo alquanto singolare intrappolando dei pesci nelle rare pozze di questa stagione secca. Raggiunta la cittadina di Oshakati finalmente mi concedo un albergo ed un ottimo fillet steck. Domani,  una iniziale puntata al sito del “Meteorite Hoba” che ha preso il nome dalla fattoria che l’ha scoperto. E’ il più grande del mondo, pesa 50 tonnellate ed è composto per l’85% di ferro oltre a  nichel e cobalto. Quindi una visita in una ostrich farm(fattoria che alleva  struzzi) e overnight a Grootfontein in una casetta all’interno di un campeggio. Il viaggio sta avviandosi alla conclusione ma ho lasciato per ultimo uno dei pezzi forti e cioè il parco Etosha. L’ingresso avviene dal gate di Okaukeyo dove mi presento alle 6.20 con la speranza che l’alba possa regalarmi l’avvistamento di qualche predatore. La parte settentrionale di questo parco è composta da una grande piana desolata chiamata “Pan”. Solo in determinati momenti dell’anno si riempie parzialmente d’acqua e in quei periodi migliaia di flamingos  la colorano di rosa. L’Etosha ha 860 chilometri di recinzioni risultando il più grande parco africano. Questa è la stagione secca e sulla cartina sono ben evidenziate le pozze d’acqua e gli animali è facili trovarli in quei punti. Certo ben altra esperienza fu al parco Virunga in Zaire tuttavia il lato positivo di questo parco è che può essere visitato da tutti, un po’ come il Kruger. Per ora niente di particolare così decido dopo le prime pozze di Okandena, Adamas e Nieto di puntare verso Grumendal che ha la caratteristica di avere una vegetazione ricca di piante di meringa. Nella pozza più ad occidente (Oronjuitji) mi aspetta una bellissima sorpresa infatti, dinnanzi a una piana infinita fra numerose zebre, gnù, springbok(antilopi saltanti) ci sono decine di stupendi orici dalle lunghe corna quasi diritte. E’ uno spettacolo indimenticabile! Verso la pozza di Okankeyo ancora giraffe, orici e facoceri. A Omob 2 dik dik ma a Reinfontein una bella pozza con vegetazione e zebre, giraffe, gnù,, springbock. Decido intanto di raggiungere ora il campeggio di Helali dove ho prenotato la notte in modo da trovare un buon luogo per montare la mia tenda e poter  quindi rimanere fuori fino al massimo consentito di pomeriggio. Seguo il Rhino drive ma niente rinoceronti anche se ammirerò splendidi kudù ed un paio di hartebeest(alcefali). Quest’oggi solo degli erbivori e perciò spero vada meglio domani quando mi presento già alle 6.20 al cancello(apertura 6.30). Dopo le prime pozze con niente di particolare raggiungo Hetosha, la pozza che è situata all’interno del Pan e proverò un turbinio di emozioni  ad ammirare una piana sconfinata a perdita d’occhio. Una giraffa è intenta a gustare il fiore del mopane e 2 volpi gli passano poco distante. Niente di interessante fino alla pozza di Okerfontein  dove alcuni erbivori sono a debita distanza dall’acqua. E’ ben presto spiegato il motivo. Tre leonesse sono acquattate, quasi sdraiate in attesa di qualche mossa falsa per attaccare. Aspetto mezzora ma niente attacco. A Kalkeuvel altra emozione. Un grande elefante maschio sta raggiungendo la pozza e gli altri si scostano tutti. La deferenza nei confronti di questi pachidermi è assoluta. Si sta creando un quadro straordinario dove tutti aspettano il loro turno naturalmente dopo gli elefanti. Davvero gigantesco il maschio, pare un mammuth. Come ho fatto ieri mi dirigo subito verso il campo di questa notte, Namutoni per registrarmi e montare la tenda e ritorno poi alla scoperta del fantastico mondo dell’Etosha verso la Andoni plain, l’estrema parte nord-ovest. Sarà una esperienza da urlo in un ambiente infinito e desertico. Spazi vasti, solitudine e l’aria della savana che ti inebria. Mi sembra di essere il padrone del mondo ed in questo sito, nel quale si ha un osservazione di 360 gradi tutto intorno è presente un gran numero di erbivori. C’è una pace celestiale e tutti gli animali sembrano pascolare in sicurezza anche se vigile. Esco dall’auto e mi sdraio sul parabrezza. Zebre, gnù, orici, facoceri, sprigbock, otarde di Korì sono a circa 50 metri tutti intorno a me. E’ l’apoteosi, e credo di aver avuto delle scosse emozionali a livello del viaggio in Zaire. Credo che questo genere di sensazioni si possa anche non provarle mai in tutta la vita. Anche se è assolutamente vietato scendere dall’auto e ne sono consapevole qui non c’è alcun pericolo per me e voglio respirare la musica celestiale che mi avvolge completamente. Se c’è stato un Eden dovrà essere stato sicuramente qui ma ora voglio ritornare al periplo del Fisher Pan proprio quando il sole conferisce alla fredda distesa desertica dei colori assolutamente indimenticabili. Che giornata straordinaria mentre la luce di milioni di stelle gli da l’addio anticipando una giornata che sarà praticamente solo di trasferimento alla capitale Windhoek. Di sera però mi concederò un picco di piacere con la visita al mitico ristorante Ghatemann’s in assoluto il migliore. Onion soup e un eccezionale orix steak bagnato da un rosso namibiano. Il viaggio in questo variegato paese è terminato e non potrò mai dimenticare il carico di emozioni che ha saputo regalarmi e dopo una interessante visita alle attrazioni della città più importante della Namibia riprendo il volo per l’Italia dove ritroverò il mio tesoro più prezioso, la mia straordinaria famiglia.

 

Proprietà letteraria riservata. Copyright © 2004 Daniele Mazzardi
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