1993 NEPAL

Trekking Lukla ( 2.866m. ) – Kala Pattar ( 5.575m. )

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Kathmandu - Ponte sul Bagmati

Un viaggio che è stato sempre nei miei sogni ma forse nemmeno io confidavo sulla sua riuscita. Il trekking fino al Kala Pattar, la montagna nera, a 5.575 metri di altitudine è massacrante per una persona normale ed il mio fisico è stato sottoposto ad uno sforzo estremo ma sono stato aiutato da condizioni meteo pressoché perfette che mi hanno consentito di portare a termine il viaggio per eccellenza, l’esperienza più vera ed entusiasmante da me mai fatta.  E’ il 26 di Marzo quando decollo da Linate per Francoforte dove partirà il volo intercontinentale che mi porterà a Kathmandu. Alle 10 del mattino seguente eccomi atterrare per la terza volta nella capitale di questo regno himalayano. Fuori, ad attendermi, due rappresentanti della International trekkers che mi portano al Rara guest house. Do il passaporto ed il biglietto aereo per consentire loro di ottenere il permesso di trekking e mi comunicano che dovrò essere alla sede dell’agenzia domani alle 16.00 per conoscere la mia guida. Sistemate le cose in stanza parto per la mia Kathmandu iniziando la visita da Basantapur. Qui per me è omai tutto conosciuto ma mi fa sempre un certo effetto essere circondato da questi templi e da questa caratteristica architettura newari. Oggi ci sono molti freak per le strade e c’è ancora più colore del normale. Lungo le stradine laterali, presso il Kastamandap, raggiungo il Bagmati river da dove si gode una buona vista del tempio di Swayambhunath su in alto. Lungo la riva ci sono i resti di decine di zampe di bufali che rendono l’atmosfera grigia, tetra. Ritorno verso il tempio di legno di Goraknath  per poi raggiungere il Palazzo Reale oltrepassando all’ingresso la statua di Hanumam, il dio scimmia ed entrando nel cortile principale dell’Hanumam  Dhola. Non finirei mai di ammirare l’arte preziosa degli intagliatori Newari che hanno creato intarsi ora tutelati dall’Unesco. Salgo in cima alla torre principale di Basantapur e da quassù la vista è magnifica allargandosi sulla piazza sottostante zeppa di bancarelle con prodotti artigianali e tutto intorno sulle altre torre dei cortili del Palazzo Reale, sul tempio di Talejù e sulle colline circostanti. Ridiscendo per visitare il museo Tribhuvan, nonno dell’attuale Re Birendra e papà di Mahendra. Percorro poi il Makan Tole, visitando i templi di Mahendranath e quello di Annapurna con il contorno di moltissimi negozietti interessanti. La giornata è finita e mi ritiro nel mio alberghetto facendo una salutare tirata di sonno fino alle 6.00 del giorno dopo quando con un rickshow raggiungo il tempio di Budhalnikanta dove, come in altri luoghi di culto, ci sono molti sadhu(santoni) in meditazione. Sono shivaiti, sono considerati dagli Indù uomini santi e vivono di elemosine. Nel sito è anche il tempietto di Lakshmi oltre ad una bella statua del Buddha sdraiato sopra un letto di serpenti. Interessante è l’interconnessione alle volte tra la figura del Buddha e quella di Vishnu  del quale gli Indù credono che ne sia un avatar, cioè una reincarnazione sulla Terra. La mattinata prosegue a Pashupathinath. Vengo lasciato nel villaggio sulle rive del Bagnati. Sulla sinistra, dei chaytra con sadhu. Qua e là mendicanti mentre alcune scimmie saltano fra gli alberi. Passeggio sempre in completa solitudine, condizione essenziale per vivere appieno, profondamente l’essenza di questi luoghi. Sullo sfondo il tempio di Bodhnath e molto più lontano le propaggine delle vette himalayane innevate. Ritorno alla capitale pranzando al Café de la Paix dello Sherpa hotel dopodiché una capatina al mio Rara per sistemare per bene gli zaini dato che domattina si parte per il trekking più bello del mondo. Nel pomeriggio mi reco all’appuntamento con l’International trekkers dove conosco Prakash, il manager che mi spiega come verrà effettuato il percorso ed anche Chendu che sarò la mia guida. Cena allo Sherpa grill dello Sherpa Hotel  dove gusto una crema di asparagi e fillet steak. Ho un po’ di mal di testa dovuto all’incredibile inquinamento acustico ed atmosferico della capitale e perciò mi ritiro in buon ordine dato che domattina la sveglia è prestissimo. Ricontrollo il tutto e per la prima volto realizzo davvero ciò che sto facendo. Sono tutto solo ad intraprendere un trekking che forse potrebbe essere superiore alle mie potenzialità. Vedremo!. A Milano mi sono preparato a puntino allenandomi alla corsa per quattro mesi e devo dire che sono all’ 80% della mia massima forma. Questo però è il momento della verità e da domani le altitudine saranno pazzesche. Mi vengono a prendere portandomi in aeroporto dove sono fra decine di trekkers. Aspetto l’arrivo di Chendu con il quale mi imbarco su di un Twin Otter sorvolando prima parte della valle di Kathmandu e quindi verso nord  paesaggi collinari coltivati con arditi terrazzamenti. Si atterra  su una pista incredibile che comincia ai bordi di un precipizio. Lo sterrato ci fa saltare per un po’ fino a che si ferma. Sono a Lukla( 2.866 m.), un villaggio da cui partono  tutte le spedizioni himalayane che vanno all’Everest, al Lotse, al Cho Oyu ed al Makalù. E’ ora!. Si parte verso l‘esterno del villaggio con subito di fronte a noi il Kondge Ri (6.063 m.) che domina Lukla. Si cominciano a vedere i primi yak lungo l’unico sentiero. Case di pietra, di legno e gente intenta nelle proprie mansioni quotidiane. Qui siamo nella zona del Khumbu, terra degli Sherpa, popolazione di razza mongolica proveniente dalle regioni del Tibet. La povertà di questi luoghi è lampante e molti vestono di stracci e calzature che in questo contesto sono quantomeno fuori luogo. Con Chendu entro in un localino dove una donna prepara dei piatti di cucina locale. Sono i momo (ravioli ripieni fritti o bolliti) che assaggio con un brodo alquanto spezziato. Gli Sherpa, qualche decennio, fa vivevano di commercio col Tibet ma ora, nell’era del turismo, tutto è cambiato e non è raro vedere spedizioni di dieci turisti con al seguito una ventina di portatori. Sono tutti di statura minuta ma con una resistenza eccezionale.  Dopo che Chendu ha assoldato un portatore che si mette il mio zaino  principale in una cesta si parte lungo l’unico sentiero che fra qualche giorno ci porterà ai piedi dell’Everest. Cerco di mantenere la mia respirazione cadenzata anche se durante i tratti in salita si fa sentire la fatica. Il primo tratto è un saliscendi perciò in pratica si fa fatica per niente scendendo e frenando per poi risalire. Ogni tanto qualche tea shop dove potremo sostare e concederci un tè o altro. Dovrò però cercare di sostare il meno possibile per non spezzare il ritmo di marcia. Il sentiero sbuca con una bella vista del fiume Dudh Kosi. Lungo il percorso faccio la conoscenza con la profonda religiosità buddista tibetana. Numerosi muro-mani ci obbligano a passarli alla sinistra. In essi sono scolpite le scritte del mantra ” Om mani padhme hum” il cui vero significato è tuttora argomento di scontro fra gli studiosi. Ci sono anche molte “lunghta”, bandierine con stampato sempre il medesimo mantra che viene disperso nell’aria dal vento. Ecco anche le meckha, ruote mosse dalla mano umana che diffonde anch’esso la preghiere e poi anche una dunghka, immensa ruota di preghiera mossa dall’acqua dei ruscelli. Tutto è impregnato di una religiosità profonda. Passiamo l’abitato di Ghat e dopo circa 2 ore e 40  arriviamo alla fine della prima tappa a Pakding dopo aver superato un bel ponte tibetano sul Dudh Kosi. Ecco il nostro lodge dove prendo posto nella camerata riponendo il mio zaino grande. Vengo a sapere che è anche possibile avere stanze singole e fortunatamente Chendu ne ottiene una. Vicino al lodge c’è anche uno spiazzo per le tende. La sera si cena direttamente in cucina dove ci sono due tavoli. Il cuoco è un ragazzino di non più di 18 anni e tutte le operazioni vengono fatte proprio davanti ai nostri occhi. Mangiamo il dhal, uno dei piatti tipici locali. Su di un piatto delle patate lesse e del riso con carne. La cucina è un monoblocco con una apertura frontale per mettere la legna che poi bruciando emette le fiamme superiormente dove si cucinano le pietanze. L’indomani si parte con una giornata splendida fra numerosi saliscendi spezza gambe. Sostiamo per colazione in un tea shop dove assaggio la tzangpa, tipica pietanza locale che non è altro che farina macerata in acqua con tè. Una schifezza assoluta che quasi mi fa vomitare. Ripiego su una frittata di due uova. Superiamo in seguito l’abitato di Benkar (2.905 m.) dopo aver attraversato alcuni ponti tibetani e su alcuni di loro sembra quasi si vogliano ribaltare.. A Mondo (2.845 m.) c’è l’entrata del parco nazionale Sagarmatha (nome nepalese dell’Everest). Qui bisogna registrarsi presentando il permesso di trekking ma devo anche pagare 100 US$ per portare la telecamera. Oltre l’entrata ecco subito un bel rododendro fiorito. Si scende fino al Dudh Kosi e quindi si passa un ponte, costeggiandolo poi sulla destra camminando su una difficoltosa  pietraia. Ad un cero punto si sale ripidamente fino a raggiungere un ponte tibetano bellissimo alla confluenza fra il Dudh Kosi ed il Bhote Kosi. Si sale ancora e dopo due o tre svolte ecco il primo view point sull’Everest. Mi esplodono emozioni nel vedere quel triangolo di 8.848 metri quasi perennemente ricoperto da un cappellino affascinante di nuvole. Si vede anche il Nuptse (7.879 m.). Queste sono già sensazioni bomba!. Saliamo ancora lungo sul sentiero fattosi durissimo per ancora ¾ d’ora e poi sostiamo ad un tea shop dove prendo un black tea con delle patate spezziate. E’ stata dura oggi ma la mia tecnica di respirazione cadenzata mi ha aiutato. Si comincia anche a sentire la mancanza di ossigeno. I trekkers hanno tutti un andatura calma, moderata ed anche Chendu non è un leprotto. Siamo partiti presto stamattina ed accadrà sempre così proprio per mia scelta. Il tempo, nella prima parte della giornata è migliore e poi si ha più chance di godersi le meraviglie paesaggistiche. Dopo ancora mezzora ecco il Kondge Ri  che svetta proprio di fronte a Namche Bazar. Siamo a 3.440 metri ed ho perso un po’ il ritmo della respirazione. Ora, a causa delle salite ripide, faccio un inspirazione ogni due passi ma mi mancano le forze alle gambe. Sono cinque ore che marciamo e quando vedo Namche sono davvero alla frutta. Namche Bazar è il più grande centro del Kumbu con tutti gli abitati disposti ad anfiteatro di fronte a quella stupenda montagna che è il Kondge. Chendu trova una stanza al Sherpa trekkers e subito penso ad una doccia. Parlo al gestore che mentre io mi sistemo prepara l’acqua calda in cucina che poi, attraverso un tubo arriverà fino alla stanzina dove è una doccia rudimentale. L’ambiente è freddo e per giunta un vetro è parzialmente rotto. Sto attento a non prendere spifferi che potrebbero pregiudicarmi il viaggio. Siamo a 3.445 m. e le gambe finora hanno retto bene. Visito la località ricca di negozietti per turisti. Scendo costeggiando un ruscello fino  ad una meckha che gira col movimento dell’acqua. Molte bandierine con il mantra ed un muro-mani. Assisto alla semina delle patate da parte di alcuni sherpa. Ogni tanto qualche yak entra nel campo a rubare qualche tubero e viene regolarmente scacciato. I campi sono delimitati da cumuli di sassi che impediscono a questi animali di saccheggiarli. Le patate sono l’alimento principe degli sherpa e sono presenti in quasi tutti i piatti  locali. Comincia intanto a vedersi bene anche il Tramserku(6.608 m.) ed il Kusum Kanguru(6.369 m.). Me ne vado alla ricerca delle “tzi” che sono delle pietre  preziose locali. Sulle bancarelle ci sono solo imitazioni ma chiedendo in giro trovo due negozianti che me le vanno a prendere dal retro. Sono pietre che si trovano solo in Tibet nel corso dei fiumi ed un tempo le avevano tutte le tibetane al collo. Ora gli occidentali si sono accorti della loro bellezza ed i prezzi sono lievitati costando dai 1.000 US$ in su. Io spero di trovarne una piccola magari a 400 dollari ma non si riesce. Pazienza! Ritorno al lodge cenando con momo al formaggio ed un filetto di bufalo. Vado a dormire intrufolandomi nel mio sacco a pelo. In camera ci sono circa 5 – 7°C.  Domani è in programma una giornata di acclimatamento qui a Namche . Bisogna stare molto attenti al mal di montagna perché può venire anche ad atleti e non dipende dalla forma fisica. Compare con mal di testa, nausea, vertigini e può portare fino alla perdita di conoscenza e quindi alla morte. Appena ci si accorge del suo sopraggiungere bisogna subito ridiscendere ad altezze inferiori. Non ci sono altre cure. E’ un male pericolosissimo e ieri sera un francese, di ritorno dai laghi di Gokyo, mi parlò dei problemi derivati dall’altitudine che hanno avuto i suoi due compagni di viaggio. Oggi voglio salire fino all’hotel Everestv view a 3.800 metri per acclimatarmi meglio. Non c’è infatti modo migliore che salire e poi dormire più a basso. Dopo colazione si parte fino alla parte alta di Namche e poi su, dritti lungo la collina invece che prendere il normale sentiero. E’ durissima questa via diretta ma la sofferenza patita mi servirà nelle tappe a venire. Sostiamo spesso dato che ci sono molti bei panorami da ammirare come il Kumbuila che si erge di fronte a noi. Siamo partiti solo io e Chendu mentre il portatore è rimasto a Namche. Di colpo, dietro ad una svolta, il panorama dei panorami e senza dubbio il migliore della mia vita. Davanti a me ci sono alcune delle montagne più belle del mondo. C’è la parete ovest dell’Ama Dablan, quella sud del Lotse, il Nuptse e l’Everest. Incominciamo a vedere anche il Kantaiga attaccato al Tramserku. Saliamo ancora fino al famosissimo Everest view da dove è possibile ammirare il paesaggio seduti comodamente in terrazza. L’albergo è quanto di meglio ci sia in tutto il Kumbu ed è stato costruito dai giapponesi per i loro concittadini facoltosi. A pranzo in una guest house gusto per la prima volta uno yak steak con patatine e poi torno al lodge per sistemare i miei zaini. Da domani si farà sul serio e l’adrenalina mi sta salendo incontrollabile, E’ il primo Aprile quando lasciamo Namche  costeggiando una lunga dorsale abbastanza facile dirigendoci verso il villaggio di Punki Tangka. Il percorso domina dall’alto il corso del Dudh Kosi regalandoci dei bei panorami sul Tramserku e l’Ama Dablan. Si comincia a vedere anche il monastero di Tengboche in cima ad una collina in fondo alla vallata. Intravedo un thar himalayano(sorta di capra selvatica) e abbiamo anche l’occasione di ammirare meglio la bella flora presente come i pini e le betulle rosse che hanno la caratteristica di avere i tronchi ed i rami che si squamano in sottili lamelle rosse.. Anche i ginepri cominciano ad essere numerosi. A Punki Tangka ci sono molte chucka, ruote di preghiera mosse dall’acqua. Si pranza con una frittatina di un uovo e attraversato il Dudh Kosi si comincia a salire ripidi attraverso un sentiero impegnativo fino a sbucare dopo circa ¾ d’ora sulla dorsale che permette di vedere dal suo punto migliore  il Tramserku e il Kangtaiga. Da qui la salita è più facile ma io sono stanco, ho caldo e dovrò tirare fuori proprio tutte le mie forze per riuscire ad arrivare fino in alto al monastero. Da sopra la vista è eccezionale. Il monastero originale fu distrutto da un terremoto e questo è stato costruito da poco. Ci sono in giro molti monaci tibetani. Fare la vita del monaco non è semplice perché costa mantenersi e mentre i giovani ricevono i denari dai genitori i più vecchi aspettano sempre le eredità dei loro parenti che muoiono. Nessuno vive all’interno del monastero ma ognuno ha una piccola casetta. Il monastero serve per il culto, la preghiera e qualche manifestazione religiosa. Sono combattuto se rimanere qui anche domani dato che dovrebbe arrivare il famoso scalatore sir Edmund Hillary che per primo scalò l’Everest con un altro notissimo sherpa di nome Terzing. Ci sarà una festa in suo onore per il 40° anniversario della scalata ma io non posso permettermi di gettare una giornata che potrebbe servirmi in previsione futura. Cerchiamo una stanza singola ma sono tutte occupate perciò si decide di proseguire fino a Deboche ma prima visitiamo il Gompa, con tutte le sue reliquie, trombe tibetane, statue di Buddha, sculture, tappeti, lampade votive, testi sacri ed un mandala bellissimo che attira la mia attenzione. All’interno del monastero invece molti quadri con figure terrifiche e non, che confermano come il buddismo e l’induismo si uniscano talvolta formando una cosmogonia molto particolare. Terminata la visita scendiamo lungo un sentierino scivoloso fino a Deboche. Mi aiuto aggrappandomi a rami ed alberi per non rischiare di scivolare a valle. Dopo 20 minuti eccoci al lodge ma anche qui niente singole e mi devo accontentare della camerata. Sistemo lo zaino sul mio letto e mi prenoto per la doccia che faccio fuori all’aperto in un gabbiotto sopra il quale c’è l’arrivo del tubo dell’acqua calda che proviene dalla cucina. Siamo a 3.800 metri e fare una doccia all’esterno è un’esperienza da raccomandare a qualche nemico. Torno dentro ma con mia grande sorpresa Chendu mi avverte che il mio portatore ha troppo freddo e vuole tornare indietro. In effetti il suo abbigliamento già dal principio l’ho considerato un po’ approssimativo specie nelle calzature davvero leggerissime e mezze rotte. Poco male!. Chendu dice che porterà lui il mio zaino legandoci sopra il suo. Ho fame e chiedo un momo meat steamed. Sistemo poi per bene lo zaino in vista di domani e cerco di dormire tutto circondato da tedeschi ed americani. La mattina seguente sono il primo a svegliarmi, alle 5.30 ed una toilette fuori nei campi è letteralmente “agghiacciante”. Colazione e via fra foreste di ginepri e rododendri. Il tempo si è fatto nuvoloso ma fino ad ora non posso davvero lamentarmi. Pioggia o neve avrebbero mutato tutto il discorso del trekking. Si discende per un quarto d’ora fino al fiume. Oltrepassato si sale poi fino a Pangboche fra molti muro-mani e chorten.  All’entrato del piccolo villaggio ecco il monastero di Pangboche dove è conservato lo scalpo dello yeti. Questo reperto è una volgare contraffazione infatti Hillary lo fece portare negli States dove lo esaminarono e risultò essere solo pelle di un antilope locale. Nonostante ciò migliaia di visitatori ogni anno si fanno fotografare col teschio in mano regalando poi un obolo ai monaci.. Purtroppo il monastero è chiuso per la visita di Hillary a Tengboche. In seguito noteremo svolazzare un elicottero nel cielo del Kumbu e credo dovrà essere stato lui. C’è un po’ di nuvolosità ma ora il Tevoche(6.367 m.), il Tramserku(6.608 m.) e l’Ama Dablan(6.856 m.) si vedono benissimo. Il sentiero non è molto faticoso ma certo non una passeggiata  Sosta di tanto in tanto per ammirare il panorama in una calma che regna assoluta e persino il mio spirito si eleva in questo paradiso naturale. La flora ora è molto diradata dovuto all’ altitudine. I panorami si fanno imperiosi. Il Nuptze(7.879 m.) si staglia ormai netto di fronte a noi con le sue apparenti striature inconfondibili e l’Ama Dablan domina grandioso sopra Tengboche. Ecco finalmente in lontananza Periche dove sosteremo per la notte. Fa molto freddo ora e c’è anche vento. Un grifone himalayano svetta sopra di noi volando con leggiadria quasi senza apparenti movimenti alari, lasciandosi trasportare dal vento. Da qui si spazia lungo tutta la piana di Periche scorgendo in fondo lo sbocco della vallata dove vedremo il ghiacciaio dell’Everest, il Kumbu glacier.  Da qui in poi ragazzi sarà storia per quanto riguarda la mia vita. Ogni tanto esce qualche raggio di sole ed approfitto per farmi la barba all’aperto con una bacinella di acqua calda. Periche si tri trova a 4.243 metri e nel piccolo lodge più che spartano c’è posto solo in camerata ma dopo un po’ di insistenza Chendu riesce a trovarmi una sistemazione migliore nella stanza delle provviste dove c’è un letto. Sono le 14.00 e l’unico posto un po’ al caldo è la cucina dove consumo una omelette ed una zuppa. Un po’ di lettura, una breve passeggiata e quindi mi rintano nel mio stanzino. Via via arrivano molti altri trekkers che si sistemano chi in  tenda chi nei pochi lodge disponibili. Ora fa davvero freddo e mi sono coperto più possibile con la calzamaglia, due paia di calzini, i pantaloni da trekking e due maglie di lana. Dopo avere messo due candele vicino al letto ed aver puntato la svegli mi infilo nel sacco a pelo e mi copro anche con una coperta presente. La stanza è ormai diventata un freezer e senza dubbio siamo sotto zero. Mi alzo verso le otto di sera e mi accorgo che fuori sta nevicando e c’è un vento molto forte. Sono molto preoccupato per le due ultime tappe. Il vento, il freddo, l’altitudine potrebbero davvero rovinare tutto sul più bello. Qui a Periche, durante la stagione migliore è in funzione un piccolo ospedale per la cura del mal di montagna. Durante la notte il tempo migliora consegnandoci una mattina di tempo sereno che più non si potrebbe. Fa però un freddo cane e comincio ad attrezzarmi per l’alta montagna montando il piumino al giaccone in Goratex, calzando un ulteriore berretto oltre a quello del giaccone ed un paio di guanti di lana di yak che comprai ieri. Seguiamo il corso dell’Inja Khola che guadiamo più volte saltando sui sassi. Si vedono sempre meglio il Tavoche (6.367 m.) ed il Chola, con la morena del suo ghiacciaio. Si sale, si sale, ed il respiro non è più quello di ieri, ma controllando alla perfezione il passo e la respirazione me la cavo benino raggiungendo Dughla a 4.630 metri. Sostiamo ad ammirare il paesaggio maestoso e per bere. Siamo solo noi e le quattro casupole intorno. Dopo un buon tè ci aspetta una vera sfacchinata per arrivare lassù in cima alla collinetta. Saremo ora a circa 4.800 metri. Yak e sherpa salgono insieme a noi in mezzo ad un ambiente assolutamente incredibile. E’ il più bel paesaggio visto in tutta la mia vita. Il cielo è limpidissimo e ci regala tutto quello che c’è intorno nel modo più nitido. Davanti a noi ecco il Lobuche(6.145 m.) il Meru peak, il Nuptse, il Lotse(8.516 m.) e dietro, un anfiteatro di montagne da brividi. Questo è un luogo da sogno. Per la prima volta scorgo da lontano il mitico Pumori. Dietro c’è il Tibet. La neve comincia a farsi vedere sul terreno ma per ora c’è una piccola traccia che evita di sprofondarci. Ci sono dei chorten eretti in memoria  degli sherpa uccisi da una valanga mentre seguivano una spedizione di giapponesi. Si riparte quasi in piano, attenti a non far entrare neve negli scarponi. Se finiscono nell’acqua gelata sei fritto!. Arriviamo finalmente a Lobuche dopo un ultima asperità. Qualche piccolo lodge e delle casettine. Intorno un panorama incantevole. C’è posto solo in camerata e mi scelgo un giaciglio tra quelli superiori vicino alla parete di legno. In mezzo allo stanzone c’è una stufa che funziona con sterco di yak. Esco  per fare una passeggiata ma fa troppo freddo perciò dopo un quarto d’ora rientro Abbiamo camminato anche oggi per cinque ore facendo molta fatica ma è andata bene e sono contento. Me la sono cavata discretamente e sono soddisfatto di me stesso. Qui sono a 4.900 metri, più in alto del Monte Bianco. Incredibile!. Sto in cucina per un paio d’ore come anche un’altra decina di trekkinisti ma per la maggior parte sono giovani. Quelli un po’ più adulti sono diminuiti in numero anche se qualcuno veramente ammirevole c’è sempre. Scrivo al caldo le mie memorie, mi rilasso un po’ mentre seguo le mosse del ragazzo cuoco, zozzo da far paura che mi sta preparando uno yak steak e patatine. Mangio con gusto, tè e sigaretta. Questa è senza dubbio la giornata più emozionante della mia vita. Sistemo alla perfezione le cose nel mio zaino piccolo perché quello grande lo lascerò qui. Domani sarà una giornata campale e spero che il tempo tenga. Sarebbe un vero peccato non ammirare forse il panorama montano più bello del mondo!. Dopo una nottata allucinante con un leggero mal di testa forse dovuto alla posizione scomoda mi alzo alle 3.50. Fuori non si vede ad un palmo e fa un freddo glaciale. Espleto il mio bisogno fisiologico in tempo olimpionico e rientro subito. Ero stato io a convincere Chendu a partire molto presto perché sapevo che nella tarda mattinata sarebbe soffiato il vento. Succede sempre così mi aveva detto una addetta ai lavori di Milano. Dobbiamo raggiungere Kala Pattar e poi tornare qui a Lobuche per un totale di sette ore circa terrificanti. Si parte alle 4.20 completamente intabarrati. Fa davvero freddo e si cammina  su un sentiero strettissimo nella neve e ghiaccio. Non c’è anima viva. Tutti dormono. Il silenzio, davvero imponente è rotto dalla dolce musica dell’acqua che scorre sotto di noi. Io seguo centimetro dopo centimetro  Chendu. Ci sono delle salite ogni tanto che ammazzano. La mia tecnica della respirazione cadenzata qui va a farsi benedire perché il piede non ha l’appoggio fermo e scivola perciò proseguo confidando solo sulle forze rimastami. Costeggiamo il Kumbu glacier davanti allo spettacolo immenso del Nuptse e del Pumori e di tutto ciò che ci circonda. Non incontreremo nessuno fino a Gorakshep a 5.220 metri. Prima di scendervi la dominiamo dall’alto riuscendo ad ammirare per la prima volta la collinetta di Kala Pattar(Montagna nera). Da qui non sembra già una facile scalata ma dopo ragazzi!. Ho un freddo cane e nell’unico tea shop di Gorakshep prendiamo una omelette con tè. Ci sono due tedeschi che devono avere dormito qui e andranno poi al campo base dell’Everest, dall’altro lato del Kala Pattar. Da qui infatti si può raggiungere anche il primo campo base dell’Everest che però è ad una altezza inferiore della montagna nera Abbiamo impiegato tre ore per arrivare fin qui e sono stanchissimo, direi quasi cotto. Ho abbandonato tutte le tecniche e per ultimo le energie hanno abbandonato me ma ormai sono di fronte alla “montagna nera” e dovrò arrivare in cima. Attraversiamo una piana per poi incominciare la ripida ascesa. Da lontano sembrava più facile ma in realtà si sale col 40% di pendenza ed io non ho più forze. Devo stare molto attento perché non riesco più a respirare bene sotto sforzo e quando, dopo una grossa fatica per superare un pendio mi fermo per ritrovare il respiro non mi riesce più di aprire i polmoni bene. Mi rendo subito conto che se faccio stupidate potrei anche perdere i sensi perciò salgo ascoltando il mio fisico come non mai. Davanti a noi cominciano a stagliarsi colossi himalayani ma aspetto di arrivare in cima per godere meglio, se ci arriverò. Ogni tanto, lungo l’ascesa ci sono dei tratti innevati nei quali si sprofonda di 30 - 40 centimetri ed il fiato viene completamente spezzato. La fatica a cui il mio fisico è sottoposto è per le mie possibilità terrificante ed oramai mi fermo ogni cinque minuti. Non ce la faccio più, mi mancano le forze ed il fiato. Mi sento fiacco ma mano a mano che tutte queste forze diminuiscono sento crescere dentro di me sempre più la forza di volontà vedendo la vetta che si avvicina. Ma è sempre meno vicina di quella che è realmente vista dal basso. E non sono poche le volte che mi sento talmente stremato da dubitare della riuscita finale del trekking. Lungo tutta la salita mi sarò fermato 15 volte ma finalmente ecco le rocce, gli ultimi venti metri da scalare ad una altezza da mozzafiato. Alzare le gambe per saltare da un masso all’altro fino alla cima sarà durissimo ma ormai sono arrivato ed anche a costo dell’infarto al Kala Pattar arriverò. Sono in cima!,a 5.575 metri. Non ci posso credere!. Ho detto a Chendu di filmare i miei ultimi momenti di salita perché possano essere e rimanere indelebili oltre che nella mia memoria anche nel filmato che ho fatto. Sono al settimo cielo in tutti i sensi. Felice!. Il panorama è mozzafiato e questo Kala Pattar sembra messo proprio per godere di una vista indimenticabile. Siamo solo noi qui sopra e pare di essere in cima al mondo. Ci si sente piccoli piccoli davanti a questa immensità di ghiaccio e di montagne. Cerco di stare calmo per filmare e fotografare tutto per bene ma sono eccitato come un ragazzino al primo amore. Ho paura che qualche montagna improvvisamente mi sparisca coperta dalle nubi. Incomincio dal triangolo magico dell’Everest con il suo immancabile cappellino di nuvole. I Nepalesi lo chiamano Sagarmatha ed i tibetani Chomolungma ma per tutti è la regina delle montagne. Spunta dietro al maestoso Nuptse((7.879 m.) la cui parete ovest,  quella visibile da qui è come graffiata da un gigante con mille linee caotiche. Dal Nuptse cadono degli stupendi icefalls e durante la discesa vedremo anche una slavina. A sinistra del Nuptse scende il Kumbu glacier che poi si scarica  la morena lungo tutta la vallata dalla quale siamo saliti. Più a sinistra il magnifico triangolo del Changtse(7.550.m.) e poi ancora  il Lingstren(6.697 m.) con il magnifico Pumori proprio sopra la mia testa con i suoi 7.145 metri. Sono a dir poco drogato da libidine diffusa. E’ un panorama inimmaginabile, nella più completa solitudine himalayana e senz’altro ho raggiunto oltre che il massimo di quello che il mio fisico mi consente di raggiungere anche il massimo di ciò che avrei potuto godere da questo viaggio. Lontano, dietro il Pumori è il Giachung Kang(7.922.m.) con il suo ghiacciaio che scende giù dietro di noi unendosi a quelli di altre grandi montagne ed a quello dell’Everest formando un oceano di ghiacci dai mille riflessi azzurrognoli non producibili in foto o film ma che sconvolgono per la immane bellezza che emanano sotto di noi. Dalla cima del Kala Pattar si gode di una vista che non può essere descritta con nessun aggettivo presente nei dizionari. E’ qualcosa di più, che entra forzatamente anche nella spiritualità della gente, sconvolgendo e modificando. Ancora più a sinistra la sagoma inconfondibile del Tevoche(6.367 m.) e poi, lontanissimi l’Ama Dablan ma senz’altro centinaia di altri picchi da 6.000 - 7.000 metri.  Scendo con un po’ di nostalgia ma felice del successo del mio trekking. Sono spossato dall’agitazione, dal mal di testa che forse è dovuto ad un inizio di montagna, dalla stanchezza, dalla mancanza di ossigino. A Gorakshep sono quasi cotto e dopo un tè ci rimettiamo in marcia alla volta di Lobuche. Nel tea shop c’erano già 5 o 6 trekkinisti ma lungo tutto il percorso di ritorno ne incontreremo si e no altrettanti e ciò vuol dire che non tutti aggiungeranno il Kala Pattar. Io ormai non ragiono più e sembro un paralitico che cammina. Sto facendo una fatica disumana ed anche per fare 10 metri di salita alle volte mi fermo. Questa è stata la giornata più faticosa, bella e terribile della mia vita. C’è anche il vento ed il tempo sta peggiorando. Ho fatto bene a partire presto!. Arrivo a Lobuche solo con la forza degli spiriti dei miei antenati. Vado subito a letto. Dalle 13.00, ora del nostro arrivo, mi sveglio alle 16.00 e dopo quattro chiacchiere mi concedo un rara noodle per cena e poi di nuovo a dormire. L’indomani sveglia alle 6.30 e di buona lena scendiamo verso Periche. A Dukla c’è un gruppo di 15 trekkinisti, 30 portatori e 5 guide sherpa. Che divertimento c’è!. Mi piacerebbe fare una deviazione ora verso est all’Island peak o ad ovest verso i laghi di Gokyo dove si può vedere il Cho Oyu(8.201 m. ) ma decido di non abusare oltremodo della fortuna avuta. Quello dello yeti è una leggenda, ma trova alle volte dei fondamenti di verità dato che appunto nei pressi dei laghi di Gokyo sono state trovate tracce di un animale grosso, sconosciuto alla scienza. Raggiungiamo Periche sostando nello stesso lodge dell’andata e dopo un tea con rara noodle salutiamo il padrone e proseguiamo. Io mi sente pimpante ed in forma, così arriviamo a Pangboche velocemente decidendo poi di continuare fino a Deboche coprendo in pratica due tappe in una. Al lodge trovo una camera doppia che divido con Chendu. Comoda dormita e dopo un buon chapati ed omelette  alle 7.30 si riparte. Il tempo è ancora bello ed il tratto che ci separa dal monastrero di Tengboche è meno scivoloso che all’andata per poi ridiscendere fino a Punki Tangka. Breve sosta e poi proseguiamo risalendo per ¾ d’ora e costeggiando la montagna. A Namche Bazar arriviamo alle 13.00. Decidiamo di andare a visitare il Sagarmatha museum dove tra foto, mappe  e materiale delle spedizioni si può godere di un po’ di storia sherpa dal neozelandese Hillary ai giorni nostri. L’indomani  partiamo alle 7.00 verso Jorsale e mi rendo conto di quanta fatica ho fatto all’andata in salita. Si raggiunge Pakding presto con un tempo non dei migliori che potrebbe anche riservarci qualche sorpresa negativa ma oggi sono troppo in forma a anche se magari non sarà vero mi sembra di andare più veloce di Chendu. Nelle salite il passo è forte, disteso e la fatica è minima. Non sono mai stato così in forma in vita mia anche perché non vedo l’ora di raggiungere Lukla che dovevamo raggiungere domani, ma dopo una zuppa di pollo via per altre tre ore di marcia. Tre ore sono tante ma sto andando come un treno alla bella età di 35 anni. Ogni tanto una sosta, una foto ai locali che in caso di problemi fisici devono esse trasportati a spalla al primo centro medico che talvolta è distante giorni di cammino. Raggiunto Lukla ci sistemiamo nei pressi dell’air strip mentre Chendu cerca di cambiare il volo di ritorno alla capitale dato che abbiamo guadagnato un giorno. E’ l’otto Aprile quando di mattina presto ci presentiamo a quello scherzo di aeroporto d’alta montagna di Lukla. Alle 10.15 arriva il nostro trappolino e per la prima volta in vita mia ho un po’ di paura. All’atto del decollo si traballa spaventosamente ma per fortuna tutto bene. A Kathmandu, nel pomeriggio mi reco all’International trekkes per ritirare il mio biglietto di ritorno e di sera vado al  grande Yak and Yeti iniziando con un drink Everest icefalls dopodiché un chiken tandoori. Questo è il miglior albergo e ristorante della città e sono contento di coronare in questo modo questo mio straordinario viaggio. Finalmente una incredibile dormita fino alle 8.00. Colazione e quindi prendo una rickshow fino a Changu Narayan. Riabituarsi alla puzza di smog non è facile ma per fortuna si esce dalla città in direzione di Baktapur che oltrepassiamo fino ad arrivare ai piedi di una collina. In cima è Changu Nayrayan, un villaggio vergine, bellissimo dove passeggio tranquillamente lungo le sue viuzze ammirando la vita locale. Molte attività si svolgono lungo la stradina principale come quello che tesse la lana e quello che taglia con un attrezzo rudimentale la paglia. Questo è il vero Nepal!. In cima visito uno dei templi più venerati di tutta la valle di Kathmandu. Risale al IV secolo anche se la costruzione attuale è del 18° secolo. Molti lavori in rame sbalzato ed una bella statua di Garuda, l’aquila mitica veicolo di Vishnu. Un lebbroso mi segue per un quarto d’ora fino a quando mi lascia perdere. La visita a Chengu è stata davvero bella. Si riparte per Baktapur sostando lungo la strada per ammirare un paio di templi minori. Baktapur è forse la città più bella del Nepal e perciò con calma passeggio partendo dalla piazza principale dove svettano i templi di Nyatapola, il più alto del Nepal. Oggi è la festa di Nyatapola e c’è molta gente oltre ad un carro colorato. Si può constatare quanto molte costruzioni siano lasciate al degrado più totale. Durante la mezza rivoluzione di tre anni fa la gente tirava contro i militari addirittura pezzi di templi. L’Unesco dovrebbe fare un po’ di più per tutelare questi patrimoni di tutti. Mi dirigo verso la periferia della cittadina ammirando la vita vera che centinaia di turisti al giorno non sono ancora riusciti a distruggere. Ammiro la piazza dei vasai per terminare poi alla famosa Durbar square dove entro anche alla National gallery che possiede una collezione ricchissima di tangka del 17° e 19° secolo. Ritorno al mio Rara lodge e di sera un buon fillet mignon allo Sherpa Hotel. Alle 8.00 del giorno seguente mi dirigo con un taxi fuori Kathmandu. Oggi è Sabato ed è il giorno giusto per assistere ai riti nel tempio di Dakshinkalì. Tanta gente in questo tempio dedicato alla dea Kalì dove vengono effettuati sacrifici di galline, capre in una sorta di eccitazione collettiva. Sembra un girone dantesco e dopo avere assistito a sgozzamenti vari mi sposto dove avviene la pulitura e spellatura degli animali dentro enormi pentoloni ripieni di acqua bollente E’ uno spettacolo per persone non facilmente impressionabili. Lascio questo martirio e mi faccio portare a Patan dove opero il solito giro dei templi e delle viuzze così caratteristiche La sera non mi sento molto bene ma riesco comunque a sistemare tutto il mio bagaglio. Domani si parte!. Mi viene a trovare Chendu che saluto affettuosamente e poi mi portano al Tribhuvan airport dove mi imbarco per New Delhy e da li a Francoforte e Milano, Linate. E stato un viaggio straordinario, che rimarrà impresso a fuoco nella mia memoria.

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