1990 NEPAL / INDIA

 Raid Nepal ( Kathmandu ) - India ( New Delhy )

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Nepal - Kathmandu - Durbar square

Due settimane prima della partenza ho avuto una fondata paura che il viaggio non si potesse fare. Il Nepal, forse per la prima volta dal dopoguerra era entrato in un buio tremendo. La repressione del  despota, re Birendra, aveva soffocato con le armi le giuste pretese di multipartitismo e democrazia richieste dal suo popolo. E’ stata una carneficina e nelle strade di Kathmandu il sangue di centinaia di morti e feriti ha scritto una pagina di storia che i nepalesi non dimenticheranno mai. Alla fine ha capito che nulla poteva fare contro il volere del suo popolo. Il governo si è sciolto e sono iniziati i colloqui con il partito del congresso, il partito del popolo. Finalmente, dopo ore trascorse davanti ai telegiornali ed al telefono con i responsabili della Safariland si parte. L’ambasciatore ha garantito che il pericolo è terminato ed ora, un aereo della Lufthansa mi sta portando a Francoforte. Qui ritrovo il mio amico Gianni di Roma con il quale avevo diviso la straordinaria esperienza dell’avventura brasiliana nella “rua do inferno”. Arriviamo a New Delhy alle 2.30 di notte. Trafile burocratiche prima di recarci a riposare in un albergo vicino all’aeroporto. Ci risvegliamo alle cinque  e con un nuovo volo, questa volta con la Royal Nepal airlines atterriamo alla mitica Kathmandu. L’aeroporto è distante dieci chilometri dal centro dove è il nostro Everest hotel. Un paio di ore di sonno e via in città  verso Durbar square, la piazza più ricca di monumenti. Oggi c’è un mercato di prodotti d’artigianato immerso in un contesto affascinante di templi. Ogni arco, ogni finestra parla di storia e di cultura ma purtroppo a Milano non ho avuto tempo di studiare come avrei dovuto per questo viaggio e mi ritrovo in un mondo da favola senza la giusta preparazione. Con l’aiuto di una guida cartacea ci districhiamo fra templi dedicati a Shiva e ad altri appartenenti il Pantheon induista. Le vie che si dipartono caotiche tutte intorno alla piazza sono una continua sorpresa. Sotto un grande spiazzo coperto c’è un bramino che sta parlando ad una folla di un centinaio di persone. La maggioranza degli induisti è shivaita ma si incontrano anche molti Visnuiti col caratteristico segno distintivo sulla fronte. Li vicino, un’anziana si sta facendo spidocchiare da un altra donna ed un sadhu chiede l’elemosina alla gente. Visitiamo l’Hanuman Dhoka, il palazzo reale, all’entrata del quale c’è la statua del dio scimmia Hanumam che si suppone favorisca il buon esito delle imprese militari. Ogni mattina, come nel resto dei templi, si offrono monete ed ogni tipo di cibo come dono agli dei. All’interno del palazzo ci sono vari cortili in un dei quali, nel Njal chowk avviene l’incoronazione dei reali. All’usciti siamo testimoni di un'altra cruda realtà di questi luoghi. Un lebbroso si avvicina a noi chiedendoci l’elemosina. Ha il naso deformato dalla malattia. Gli diamo qualche rupia che lui afferra con entrambe le mani ormai ridotte a due moncherini. Ritorniamo col rickshow in albergo e riposiamo fino alle 20 quando scendiamo nella hall. Sono arrivati i partecipanti del primo raid che partiti da New Delhy sono entrati oggi nella capitale nepalese e chiediamo loro le prime impressioni ricevendo notizie preoccupanti sul caos che troveremo sulle strade indiane. Vedremo!. Intanto io e Gianni usciamo con un taxi verso il Sunkosi restaurant che offre piatti tibetani e nepalesi. Si trova nella via delle ambasciate ed è abbastanza distante dall’albergo. In strada c’è poca gente. Al ritorno prendiamo un rickshow notando che in giro non c’è proprio nessuno. Per forza! E’ stato indetto il coprifuoco e durante il tragitto noteremo solo un gruppetto di giovani con dei bastoni. La mattina seguente, dopo colazione partecipiamo al breefing della Safariland che illustrerà il percorso. Ci informano inoltre che stanotte ci sono stati dei disordini con sei morti nella capitale. Decidiamo di partecipare ad una gita programmata dall’organizzazione verso un paese poco distante dove visiteremo il più alto stupa del paese. Gli stupa sono dei reliquiari buddisti ed in questo caso è posto nel mezzo con tutto intorno piacevoli negozi d’artigianato locale dove acquisteremo due fantastici corni tibetani e una thangka (dipinto religioso su pergamena). Poste esternamente alla struttura religiosa sono delle ruote della preghiera che nella tradizione buddista basta far ruotare perché le preghiere incise sui rulli si disperdano nel vento. Si prosegue il tour verso il Bagnati river, il fiume sacro nei pressi della capitale dove avvengono le purificazioni e le cremazioni. Dopo un breve percorso a piedi ci avviciniamo alla riva destra che appare un po’ in secca. Ci sono delle scimmie che vagano fra le acque basse ma i fedeli induisti praticano le loro abluzioni come se niente fosse. L’acqua del Bagnati è sacra anche se ai miei occhi appare solo come una putrida latrina. Ci sono dei santoni in preghiera e sull’altra sponda, sopra i ghats (scalinate) stanno bruciando dei corpi sulle pire funerarie. Mi allontano dal resto del gruppo avvicinandomi più possibile allo scopo di filmarle meglio. C’è un tanfo insopportabile mentre assisto impietrito a tutto il rito. Mi accorgo che si stanno preparando per un altra. C’è un bramino che dirige le operazioni e due panda (addetti alla cremazione) facenti parte della casta degli intoccabili che stanno adempiendo a tutti i riti necessari. Alla fine le polveri saranno disperse nel fiume sacro. Riprendiamo il pulmann raggiungendo la cittadina di Baktapur. Io e Gianni ci stanchiamo un po’ del gregge ed entriamo in una scuola. Le aule sono misere, essenziali ma decorose e si crea subito scompiglio tra la scolaresca. Baktapur è vecchia e tutto lo testimonia. Ci inoltriamo in vicoli bui e silenziosi. In uno di questi incontriamo una madre con un bambino che gioca con nulla ed ha il kanjal sopra gli occhi. Molti se lo mettono e non è a scopo di bellezza ma per motivi propiziatori. Ammiriamo palazzi molto belli e templi originali dopodiché si ritorna in albergo. In città ci sono dei disordini ma spacciandoci per giornalisti tentiamo di raggiungere il centro. Saremo fermati molto prima e nemmeno il nostro autista se la sentirà di tentare un'altra opzione anche perché alle sette comincia il coprifuoco ed a quell’ora l’autista dovrà essere già tornato a casa Visitiamo una piazza che ha più di 1000 anni dove vediamo all’opera due maestri  vasai che con perizia lavorano la creta ricavandone dei prodotti eccellenti. Ora è tardi e si torna in albergo dove sappiamo da Ferri, il capo, bruttissime notizie. Il nostro patron ha incontrato l’ambasciatore il quale afferma  che l’aeroporto è chiuso e di solito quando si chiudono le aerostazioni si chiudono anche le frontiere. Non si sa cosa fare e si pensa anche di ritardare la partenza del raid. Noi intanto per domattina abbiamo preso appuntamento con un taxista per visitare una cittadina sulla collina: Kitipur. Sveglia presto e via verso la città che vede già i suoi fedeli indù ai templi per le offerte. Visitiamo il palazzo della Kumarì che qui in Nepal è considerata una specie di dea vivente. Abita in un edificio dove a pagamento lei appare ad una finestra ma è assolutamente proibito filmarla o fotografarla. Viene scelta fra tutte le bambine appartenenti al clan Sakya, degli orafi e argentieri. Il suo corpo deve essere conforme a 32 requisiti e una volta scelta non potrà più uscire dal suo palazzo se non per occasioni speciali. Lasciamo la città entrando nel villaggio di Kitipur dove siamo spettatori di una umanità che ci lascia davvero perplessi. Fra questi una donna che sta offrendo un uovo a Ganesh, il dio con testa di elefante figlio di Shiva. Riprendiamo la via della capitale dove notiamo evidenti i risultati degli scontri di questa notte. Un’auto è capovolta ed un'altra sta ancora bruciando. Ci sono vari mattoni sparsi in giro e l’esercito presidia gli angoli delle vie. Raggiungiamo l’albergo dove le nostre Fiat Panda che parteciperanno al raid sono già pronte di fuori per la partenza. Pieno di acqua, consegna delle chiavi e via lungo la prima tappa che ci vede scendere verso la verde valle di Kathmandu. Ci sono colline coltivate a terrazzamenti e mondine che piantano il riso con metodi antichi. Attraversiamo i primi insediamenti, villaggi dove tutta la vita, come sempre capita si svolge sulla strada. Bambini che giocano innocenti e adulti calmi e tranquilli, lontani anni luci dallo stress della nostra vita occidentale. I nepalesi vivono la loro povertà con dignità e danno impressione di essere un popolo felice, sereno. Cominciamo ad avere dei guai alla marmitta che il mio compagno di viaggio risolve con le sue innati dote di “modifica”. Alle nove di sera arriviamo a Pokhara al Fish tail lodge. Domattina alle cinque tutti noi partecipanti al raid ci sveglieremo e la speranza è una sola. Riuscire a vedere l’Annapurna, uno degli 8.000 che nelle giornate serene si può ammirare da qui. Purtroppo c’è un po’ di foschia ma se ne riescono a scorgere i contorni. Si parte per la seconda tappa che questa volta ci porta verso sud. Le caratteristiche del territorio mutano ed iniziano a delinearsi i tipici aspetti della confusione indiana. Anche la fisionomia delle gente cambia. Lungo la strada notiamo spesso delle scimmie, vervet monkyes, sulle cima degli alberi. Eccoci arrivati al Royal Chitwan national park, il più grande ed importante parco nepalese. Lasciamo la statale imboccando una stradina sterrata con qualche insediamento umano. La gente vive in capanne poverissime. Qualche coltivazione fino a guadare il Narayani dopo di che è parco. Ecco il ritrovo in uno spazio affittato dalla Safariland. Il parco non è molto attrezzato ma noi abbiamo le tende sul tetto delle auto e siamo a posto. Qui dicono essere pieno di serpenti con persino i king cobra. In men che non si dica ho già preso appuntamento con due ragazzi locali con i quali stasera andremo a scovarli. Nel frattempo, dato che è presto si parla di escursioni. Riesco a strappare un buon prezzo per andare a cercare le tigri del Bengala ma ci vuole molto tempo e si potrebbe tornare addirittura domattina perciò la mia proposta rimane inevasa. Si opta per andare a vedere i rinoceronti bianchi con un solo corno. Ne esistono pochi esemplari al mondo ed uno dei posti in cui si possono ammirare è qui. Si parte ammassati in sette per ogni jeep. Incontriamo sulla strada due elefanti che qui vengono anche utilizzati per trasportare i turisti che si collocano sopra la groppa dentro un baldacchino. Fra la boscaglia intravediamo un rinoceronte che però fugge ma subito ecco un altro gruppo di tre. E’ eccitazione generale con una raffica di clic fotografici. A me viene un idea migliore e dopo aver chiesto alla guida scendo dalla jeep per fotografarli da più vicino sotto gli occhi esterrefatti di tutti gli altri. Sono ora dietro un albero a circa 50 metri da loro e ho l’occasione di ammirarli bene. Purtroppo il tempo peggiora ed al campo cade un acquazzone. Con questo tempo la ricerca dei cobra è un suicidio perché escono tutti dalle tane e potrebbe essere davvero pericoloso perciò dobbiamo dire addio a questa esperienza. Il sesto giorno partiamo presto ed il percorso si snoda pianeggiante senza scossoni emozionali. Solo alcune scimmie si fanno osservare nelle loro evoluzioni sugli alberi. I villaggi si fanno più numerosi e d'altronde qui siamo in pianura e l’agricoltura consente raccolti migliori. Il traffico aumenta fino a diventare caotico alla frontiera nepalese di Birguny dove però espletiamo le formalità abbastanza in fretta. C’è una notevole fila di camion ed un frastuono pazzesco. L’ufficio doganale ha del ridicolo e a turno siamo seduti ad un grosso tavolo con l’autorità locale. Non ho mai visto in vita mia un caos così infernale di strombazzamenti, camion, pedoni, biciclette e rickshow. Dopo l’ennesima coda per sdoganare le auto ripartiamo finalmente in territorio indiano ma impieghiamo ¾ d’ora per uscire dall’ingorgo pazzesco. Le strade sono in stato pietoso ma noi dovremo comunque mantenere una certa andatura per rispettare i tempi di tappa. Si deve prestare molta attenzione alle mucche che ti si possono parare di fronte all’improvviso. Se dovesse capitare di abbatterne una sarebbe tragedia nazionale. Inoltre ci sono le biciclette che sfrecciano senza rispettare alcuna regola, bambini che giocano ai margini della strada e degli autentici killer che sono i camion a cui dobbiamo stare attenti Questi ultimi non cedono la strada nemmeno sotto tortura. Almeno ogni 50 km incontriamo sul ciglio della strada un camion ribaltato. Superato un passaggio a livello notiamo un villaggio e decidiamo di entrarci. Sarà un esperienza molto toccante perché tutti gli abitanti ci si faranno incontro in una atmosfera d’altri tempi. Siamo in piena campagna, molto lontani dalla più vicina città di Gorakpur nella regione dell’Huttar Pradesh, florida rispetto a molte altre. Qui ci sono fiumi che rendono fertile la terra eppure sembra di essere entrati nel medioevo. Usciamo dall’auto cercando un contatto subito amichevole, affettuoso. Le casupole sono fatte di fango e hanno uno spesso strato di sterco di vacca sulle pareti allo scopo di tener lontano gli insetti. Chiedo il permesso di filmare, ma alcune donne me lo rifiutano. Visitiamo il piccolo villaggio che possiede solo qualche vacca e pochi strumenti di lavoro. Che esperienza toccante!. Ripartiamo e poco avanti, sulla strada siamo testimoni della celebrazione di un matrimonio. C’è una ballerina che intrattiene un centinaio di persone e poco distante il marito su di un rickshow. La danza è molto particolare, come lo è il rito che precede il matrimonio fatto probabilmente dalla suocera dello sposo. Riprendiamo l’auto raggiungendo il noto sito di Kushinagar, uno dei luoghi sacri buddisti. Qui il Buddha  fece il suo primo sermone e si dice fu cremato. Visitiamo lo stupa fatto erigere dai buddisti giapponesi alla memoria e poi il sito dove sono conservate le sue  ceneri anche se in India altri luoghi si fregiano di questa convinzione. Ormai il sole sta calando, si riparte in fretta ma sbagliamo a leggere il nostro rood book finendo addirittura dalla parte sbagliata. Finalmente riusciamo a trovare il ritrovo ed affoghiamo la stanchezza con una sontuosa cena a base di spaghetti cucinati dal cuoco del campo. L’indomani visiteremo il famoso tempio di Goraknath con i suoi bei giardini e costruzioni in marmo. Si parte quindi lungo la strada per il luogo più spettacolare di tutta l’India: Varanasi o Benares. Attraversiamo un lungo ponte dove per la prima volta ammiriamo il sacro Gange. C’è un interessante villaggio sulle sue rive e decidiamo di sostarvi. Sarà un idea della quale non ci pentiremo. In esso assaporiamo i tipici aspetti della cultura indiana in un ambiente ruspante ma sereno, piacevole. Camminiamo lungo la stradina principale avvicinati dai bambini, stupiti dalla nostra presenza. Dopo un po’ intorno a noi c’è una nuvola umana schiamazzante. Pare di essere esploratori da come ci guardano!. Scopriamo vicoli suggestivi con artigiani e mercanti alle prese nel i loro lavori. Tutti vogliono essere fotografati e dovrò far finta di farlo per decine di volte perché altrimenti avrei dovuto scattare decine di foto. Ripartiamo fra la delusione generale. Se fossimo stati ancora due ore ci avrebbero conferito la chiave onoraria del villaggio. Che emozione!. La strada che ci porta a Benares sarà ancora ricca di sorprese che ci convincerà ancora di più sul grado di arretratezza in cui versa molta parte della popolazione. Dei buoi girono legati intorno ad un pozzo per portare in superficie l’acqua, essenziale per la sopravvivenza. Arriviamo alla tanta agognata Varanasi. L’avevo sempre sognata questa città ed ora sono qui, alla sua periferia. Raggiungiamo il nostro Ashok hotel e subito dopo via per una gita organizzata. Si va al tempio Bharat Mata passando dagli edifici dell’università, la più grande sede di cultura orientale e si ritiene sia la più grande università residenziale dell’intera Asia. Il tempio è bello ma per l’amor di Dio basta templi!. Voglio vedere la gente, i riti, voglio vivere le atmosfere!. Spesso in India ci si scontra col segno della svastica, simbolo drammatico che tutti noi conosciamo ma che qui invece assume un significato di buona fortuna ed è anche un simbolo antichissimo introdotto dagli Ari più di duemila anni fa. Più tardi si visita uno dei più importanti centri per la lavorazione della seta di tutta Benares. Bisogna sapere che la città è nota nel mondo per questa industria ed i suoi broccati intessuti di fili d’oro e d’argento sono famosissimi come del resto i sari di Benares sono i più belli di tutta l’India. Dopo avere   ammirato l’arte degli artigiani si fa ritorno in albergo dove ceniamo al suo ristorante gustando pollo tandoori e formaggio di capra. La successiva sarà una giornata fantastica. La sveglia è fissata alle quattro del mattino. E’ in programma un escursione sul Gange mentre sorge il sole. Questo momento, per un induista è magico e la città si riempie di vita a quest’ora, almeno nei pressi dei ghats, luogo che un viaggiatore non riuscirà mai a cancellare dalla memoria. Tutta la città è costruita sulla riva sinistra del grande fiume dato che la destra è considerata impura. Il pulmann ci porta a 200 metri dai  ghats dopodiché camminiamo fino alla riva fra gente che dorme ancora ed una sporcizia dilagante. Noleggiamo due barche con rematori che costeggiano le scalinate facendoci assistere al magnifico spettacolo dell’umanità che si sta affollando sempre più. Si notano dei Sadhu che pregano e meditano, bramini, persone che lavano i panni, altri che adempiono al rito dell’abluzione non immaginando nemmeno che il Gange, specie in questo punto è come una fogna a cielo aperto. Alcuni di loro si puliscono persino i denti e sciacquano la bocca. Passiamo anche dal famoso Manikarnika ghat, il più importante dei burning ghat, dove avvengono le cremazioni. A differenza del Nepal qui non si può fare fotografie. La polizia ti può sequestrare il rullino o si può andare incontro a seri problemi con i locali. La barca si accosta e saliamo i gradoni fino a inoltrarci nei vicoli i quali emanano un odore insopportabile. Santoni vivono in gabbie che danno sulla strada ed una umanità variegata offre cibo ai vari dei che richiamano logicamente una moltitudine di insetti. Tutto in India è impregnato di religiosità. A loro non importa la situazione attuale, pur degradata che sia. Sanno che accettandola e comportandosi correttamente saliranno dopo la morte in una vita migliore. Quella che stanno vivendo non è che il risultato delle vite precedenti e la tollerano senza problemi. L’atmosfera che si vive è davvero intensa anche se con tutto il nostro gruppo le emozioni si imbastardiscono. In uno dei vicoli ecco svettare il celeberrimo tempio d’oro le cui guglie si dice siano di oro zecchino. Mentre ci avviciniamo al pulmann alcuni mendicanti chiedono l’elemosina e fra loro un lebbroso che ci corre dietro senza gambe ma scorrendo su di una tavole con le rotelle. Sono scene che fanno riflettere!. Molti di questi disgraziati, storpi o senza arti sono così dalla nascita dopo che i genitori, lungimiranti, hanno pensato di creare loro un futuro da mendicanti consentendo loro almeno di sopravvivere. Non riesco a immaginare come si possa spaccare gli  arti volutamente a bambini in tenera età, accecarli o storpiarli.! Prossima tappa è il tempio dedicato alla dea Durga dedicato alle scimmie. I turisti possono visitare solo il piano superiore dove comunque è possibile veder gli indù giù dabbasso che camminano in mezzo ai primati pregando rivolti alla dea. Nel pomeriggio, con Gianni visito la zona musulmana. Non bisogna dimenticare infatti che Benares ebbe dominazioni islamiche per secoli e specie nel periodo Moghul tentarono in tutti i modo di piegare gli induisti distruggendo quasi tutti i loro templi. Quelli che sono visibili oggi infatti furono tutti costruiti nel 19° secolo. Visitiamo inoltre una fabbrica di strumenti musicali mentre con i tassisti mi sono già messo d’accordo per domattina.  Voglio rivivere da solo l’entusiasmante esperienza dei ghats senza il vociare continuo dei miei compagni di raid. Alle cinque del mattino corro infatti verso i ghats. Entriamo attraverso un burning ghat minore fino alla riva dove mi aspetta una barca. L’ambiente è ripugnante, infernale. C’è una pira che sta bruciando ed altri due cadaveri giacciono avvolti in sudari sui gradini in attesa della cremazione. La gente in questi ghat ha delle espressioni allucinate, terrificanti con occhi spiritati. Non è molto salutare venire qui da soli ma ormai ci sono e ci resto. Per gli indù morire a Benares  vuole dire vedersi spalancate le porte del paradiso e della fine delle reincarnazioni ecco perché gli indù di tutta l’India se appena possono mandano almeno le loro ceneri qui perché vengano buttate nel fiume sacro. I più facoltosi spediscono l’intero cadavere per la cremazione che può essere fatta nei forni elettrici (costa meno) o sulle pire (costo maggiore). Ci sono delle vere e proprie agenzie che controllano questo mercato e racket che si producono guadagni illeciti. Ecco perché dietro al sacro di Benares c’è anche il profano del denaro che offusca la mente di questa gente. Le immagini sono le stesse di ieri ma ora posso godermi il quadro in tutta tranquillità senza interferenze. Lungo il percorso, dietro ai ghats ci sono palazzi di notevole bellezza che meriterebbero visite più accurate ma il tempo è quello che è. Molti di questi edifici hanno storie secolari essendo state residenze di maharaja ma ora sono quasi tutti disabitati Alcuni fungono da pensionati per le persone che sono venute fin qui in attesa di morirci. Sono 4000 pellegrini al giorno che da tutto il paese vengono a bagnarsi nel Gange ed alcuni di loro usano il sapone anche se è vietato. Arriviamo fino alla prossimità della famosa moschea Alamgir e poi torniamo indietro. Ritorno all’Ashok in tempo per fare colazione e poi si riparte puntando l’auto verso la città di Allahabad che raggiungiamo dopo 100 chilometri. Sostiamo più avanti a Satara per ammirare un bel castello e gli ottimi templi ben conservati. Il patrimonio culturale indiano è straordinario ma non sempre i monumenti sono conservati in buono stato e si può facilmente immaginare il motivo data la povertà in cui versa il paese. Intanto il caldo si fa opprimente e sapremo dall’organizzazione che oggi abbiamo sfiorato i 50 gradi. Fuori dal finestrino ci colpisce un vento come il phon. Ecco finalmente un altra località tra le più famose di tutto il tragitto: Khajuraho, meta finale della tappa. Questa è una luogo famosissimo per i magnifici templi  in pietra arenaria che hanno più di mille anni e che visiteremo l‘indomani mattina. Sono divisi in tre distinte zone e non potendoli visitare tutti abbiamo optato per quelli della zona occidentale, più belli. Sono riccamente decorati da mille sculture e sono stati realizzati durante la dinastia Chandela. Le centinaia di bassorilievi e sculture sono state scolpite in un epoca in cui il tantrismo era nel suo momento di massimo splendore e lo si può notare nelle centinaia di raffigurazioni a sfondo esplicitamente sessuale. Durante il tragitto incontriamo un ragazzo che ci fa conoscere un Sadhu che nel momento del nostro arrivo si trova in meditazione. I ragazzi vengono da lui per imparare considerandolo un grande saggio. Si dice che riesca a curare le persone morse da cobra, numerosissimi qui intorno. Si riparte all’interno del Madhya Pradesh in un contesto che si fa sempre più arido e lungo il tragitto si notano molti aspetti della cultura e della società indiana. Raggiungiamo Orchha, un luogo sconosciuto che sembrava dapprincipio solo uno  come tanti  ma attraversata la porta d’ingresso che introduce al villaggio si notano grandi palazzi sparsi nella campagna testimoni di una interessante civiltà passata. Ne visitiamo uno che funge anche da museo. Il sito è chiuso ma ci viene aperto da una sorta di guardiano. Le parete sono ricche di dipinti anche se in stato triste di conservazione. Torniamo al ritrovo con l’organizzazione posto di fronte ad un grande palazzo adibito ad albergo. L’atmosfera trasuda di storia antica e conferisce grande fascino la visione d’insieme. Di sera ci si diverte con scherzi e canzoni. L’indomani saremo tra i primi equipaggi a ripartire viaggiando senza sostare mai sino ad Agra. Alle 13.00 raggiungiamo questa importantissima località indiana. Sistemiamo le nostre cose al Mughal Sheraton, forse il più bell’ albergo mai visitato finora in vita mia. Agra possiede un monumento che tutto il mondo gli invidia e vuole visitare. Niente che io conosca attualmente può essere paragonato alla magnificenza infatti del Taj Mahal. Purtroppo quest’oggi non mi sento molto bene e rimando la visita a domani. Colazione in camera molto presto e via verso il mausoleo considerato l’ottava meraviglia del mondo. Tutto intorno solo capanne, bidonville, degrado, sporcizia ma una volta varcato il portone di ingresso sembra di entrare in una favola come del resto sembra anche il motivo che ha spinto il grandissimo imperatore moghul Shah Jahan a farlo costruire. Sua moglie era morta dando alla luce il loro quattordicesimo figlio e Shah stava morendo di dolore tanto la loro unione era marcata da profondo amore. Lei lo pregò che dopo la sua morte lui facesse costruire una tomba degna del loro sentimento. L’imperatore fece così arrivare i più grandi architetti dell’epoca, i marmi dal Rajastan, avorio, rubini e lapislazzuli. Ci fu una tale spesa per costruire questo enorme mausoleo la cui costruzione durò 22 anni che una parte degli edifici comprimari dovettero essere realizzati in mattoni ordinari. Ormai le finanze del suo grandissimo impero erano esaurite. Lo visitiamo poco dopo l’alba. Prima di arrivare al mausoleo vero e proprio si percorrono  viali bellissimi con alberi e specchi d’acqua. Finalmente si salgono le scale lasciando le scarpe in basso ed eccoci di fronte a questa meraviglia dell’ingegno umano. Tutta la costruzione in marmo è intarsiata in avorio e all’interno c’è la tomba della moglie, quella visitabile dai turisti. In realtà il vero sepolcro con i suoi resti mortali è nei sotterranei. Quella che ammiriamo però è davvero stupefacente!. Realizzata in marmo riccamente decorato è impreziosita con microscopici intarsi di madreperla, rubini, smeraldi e  lapislazzuli. E’ difficile descrivere lo splendore di questa opera che ci lascia letteralmente a bocca aperta. Il marmo è stato scavato finemente in milioni di piccoli disegni che arricchiscono tutto il Taj Mahal ed all’interno di questi disegni si è incastrato milioni di pezzettini di pietre preziose e semipreziose. Questo monumento è visitato giornalmente da migliaia di turisti provenienti da tutto i mondo. Ritorniamo al nostro Mugal facendo colazione in un bel salone del piano terra per poi ripartire non prima di avere acquistato in un negozietto un bellissimo piatto di marmo intarsiato di pietre semipreziose. Lasciamo la città attraversando altre cittadine famose come Fatepur Sikri e Mathura ma ormai il viaggio è virtualmente finito. Arriviamo a New Delhy verso le cinque di pomeriggio alloggiando al famoso Meridien. Di sera usciamo a cenare in un ristorante tipico dove assaggeremo tra le altre cose zuppa di ceci e lenticchie e tikka tandoori. Il giorno dopo sveglia presto per visitare i luoghi più importanti della capitale. Ci rechiamo al Red Fort costruito anch’esso da Shah Jahan e poi, non molto distante la Jama Mashid, la più grande moschea di tutta l’India. Qualche negozietto e si fa ritorno in albergo dove purtroppo comincerà il mio calvario dopo avere mangiato probabilmente qualcosa di avariato. Alle 22.30 partirò dal Meridien in direzione dell’aeroporto internazione completamente spossato e dopo ennesime file e burocrazie ci si imbarca su di un aereo Lufthansa. Fra i partecipanti  si parla del nuovo possibile raid in Perù ed Equador. Beh!. Vedremo!. Intanto mi sono regalato un bel pacchetto di esperienze all’interno delle magiche atmosfere che solo il favoloso mondo indiano sa regalare in questa maniera. Un giorno tornerò in questo paese per approfondirne con più calma alcuni aspetti  e per rivivere ancora sensazioni che forse in nessuna altra parte del mondo si può vivere come qui.

 

 Proprietà letteraria riservata. Copyright © 2004 Daniele Mazzardi
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