2005 PANAMA'

Terra di mezzo

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Tipica imbarcazione Kuna nelle San Blas

 

Panamà è un piccolo stato centroamericano, l’ultimo del continente a raggiungere l’indipendenza. Le infrastrutture, fuori dalla capitale non consentono al turista di visitarla con facilità ma forse è per questo che ogni conquista che si ottiene, ogni luogo che si scopre assume una valenza duplice. Vi ho trascorso pochi giorni ma intensissimi in mezzo a gente sempre disponibile e sorridente. Io e Gianni, il mio amico romano con il quale ormai ho già intrapreso un certo numero di viaggi partiamo dalla Malpensa alle 11.00 in perfetto orario con un volo della americana Delta alla volta di Atlanta in Georgia dove atterriamo nove ore dopo. Ci sorbiamo l’immigrazione statunitense dopodiché attendiamo il successivo volo che ci porterà dopo 3.30 ore a Panamà city. L’aeroporto Tucumen dista una ventina di chilometri dalla capitale e copriamo il tragitto in taxi con un emiliano venuto fin qui col proposito di farvi qualche investimento in un villaggio turistico. Ad attenderlo in aeroporto c’è un suo amico, proveniente dalla remota regione del Darien. Ha già prenotato un albergo perciò ne approfittiamo per soggiornare nello stesso. La mattina seguente sveglia all’alba, alle 4.20 perché dobbiamo recarci all’aeroporto nazionale Albrook. Dall’Italia infatti ho prenotato un volo con la compagnia locale Aeroperlas per raggiungere il celeberrimo arcipelago delle San Blas dove trascorreremo due giorni in catamarano, scoprendo i vari isolotti e i suoi abitanti Kuna. Atterriamo, dopo aver sorvolato tutta la foresta della cordillera central, al villaggio di Coracao de Jesus. Sul piccolo aereo c’è niente meno che la neo eletta Miss Universo!. Gianni è particolarmente fastidioso quest’oggi e già si lamenta dei due scali intermedi che si è dovuti effettuare per raggiungere il villaggio. Devo portar pazienza ma io non ho questa dote nel mio patrimonio genetico!. A Panamà circa un quinto del territorio è occupato da popolazioni indigene che vivono in aree  denominate “comarche”, dotate d’autonomia amministrativa che nel caso dei Kuna è anche legislativa e giudiziaria. Questa comarca, creata nel 1953 comprende una striscia di terra che si estende dal golfo di San Blas fino alla Colombia. Il tempo non è un gran che ma si spera che le nuvole si possano diradare. Ad aspettarci c’è Nino, la nostra guida e skipper del Liberty III, un catamarano di quasi 10 metri ormeggiato qui vicino. Con un gommone lo raggiungiamo e dopo un ora circa si parte verso il largo con un tempo decisamente tendente al brutto. Il mare è una tavola perciò nessun problema se non fosse che Gianni  è preoccupato ora anche del tempo, della pioggia, di non so che, delle prime isole che non sono bellissime. Il quadro generale non pare gratificante ma sta sopraggiungendo la bufera. Gianni dice ora di avere anche nausea e dopo una sosta su di un isola per smaltire temporaneamente l’indisposizione, decide di saltare anche il succulento pasto a base di granchi giganteschi portati da alcuni pescatori kuna. Si perde tempo e sto cominciando a bollire. Glisso sull’imbarazzante litigio che segue il primo diverbio ma davvero non ne posso più della sua arroganza e della sua completa mancanza di rispetto verso di me e di qualsiasi altra persona. Delibero di abbandonarlo al suo destino e lo lascio a terra proseguendo il giro da solo in fantastica solitudine. Impongo a Nino di mettere la quarta e di riguadagnare l’isola da qui siamo tornati per proseguire quindi oltre, alla scoperta del magnifico arcipelago. Il tempo sta leggermente migliorando e mi faccio portare nei pressi di un reef affiorante. Una sola gorgonia tra pochi pesci e coralli però è francamente poco!. Si visita poi qualche bell’isolotto ed un ultimo ricco di mangrovie. La cena che segue è straordinaria, con aragoste e cangrejos giganti dopodiché io e Nino trascorriamo un paio d’ore cullati dal mare a chiacchierare nel nulla più assoluto. Fantastico!. Dopo una piacevole nottata in mezzo all’oceano, alle 7.00 si mostra a me una giornata bellissima con un sole già alto nel cielo. Dopo colazione si parte verso un gruppo di tre isole di cui una piccolissima e una poco più grande. Scendo prima su quella più grande. Ci sono solo io, la spiaggia, le palme da cocco e gli uccelli che cantano alla loro sommità. L’ambiente è vergine e sul lato opposto ci sono delle conchiglie enormi. Gli alberi talvolta sono collassati in acqua schizzando cartoline molto suggestive così mi siedo in completa solitudine ad ammirare questa natura meravigliosa. Entro in acqua felice come un bambino. La sabbia è soffice, bianca. Le onde delicate e smorzate. Una piacevolezza unica!. Mi faccio poi portare col gommone su quella piccola prendendone pieno possesso. Sono solo in questi 50 metri di circonferenza dell’isola. Mai provata una cosa simile!. I colori del mare sono da delirio. Resto qui quasi un ora, alla Robinson Crosue. Non ricordo di aver mai goduto una simbiosi marina così perfetta con la natura circostante. Faccio segno a Nino di venirmi a prendere ma prima mi fa notare un banco corallino sotto di noi che non mi faccio pregare di esplorare. Bei coralli cervello, molli e sotto, alla base di un grande corallo un incredibile pesce lungo circa 130 centimetri. E’ uno squalo!. Sono quasi paralizzato dalla libidine. E’ fermo di fronte a me, a due metri, forse meno. E’ uno squalo, uno squalo vero e me lo sta ammirando, quasi fosse un pesce farfalla!. E’ la prima volta dopo le Galapagos  che ne vedo uno ma stavolta è qui vicino, quasi lo tocco!. Sul muso ha due baffoni e non ne vuole sapere di fuggire, scappare. Chiamo Nino che è a breve distanza, sul gommone. Gli passo la maschera e mi informa che è uno squalo enfermera, la femmina del Tintorera. In seguito non riuscirò più a ritrovarlo. La corrente mi ha spostato e non riesco a scovarlo. Che disdetta!. Rimane comunque il più grande incontro marino mai fatto. Mi faccio ora portare sull’isolotto di fronte che percorro per tutto il suo perimetro. Anche questa sarà una grande esperienza!. In alcuni ci sono affioramenti corallini con piccoli granchi rossi che creano piacevole contrasto con lo scuro delle rocce. Ritorno in barca a pranzare dopodiché ci dirigiamo verso un altro gruppo composto  da cinque isole. Delle barche sono ormeggiate nei paraggi a dimostrazione della pregevolezza della zona. Mi faccio portare in una di queste percorrendone ancora in solitudine l’intero perimetro. Ci sono punti in cui in acqua ci sono grovigli caotici di palme cadute ed altri in cui il bagno è un esperienza sopraffina. Cullato dalle onde vi trascorro momenti intrasferibili. Con Nino raggiungo più tardi un mercantile, arenatosi al largo sul reef. Ha uno squarcio sullo scafo. Su un altro minuscolo isolotto trascorro un ennesima mezzora da sogno nuotando alla scoperta di un altro fondale corallino con gorgonie, coralli neri e di fuoco. Questo arcipelago è veramente meritevole di una settimana di vacanza data la sua vastità e bellezza ma purtroppo non si può ottenere tutto.  Ritorniamo a Coracao de Jesus visitandone il villaggio. E’ un piccolo abitato dove sono presenti due chiese cattoliche ed una battista, una banca e la sahilatura (sorta di comune locale) sede dal sahila (sindaco). Ogni comunità di kuna è amministrata da un sahila che ha diritto di partecipare al congresso generale kuna. Strutturato in linea matrilineare, il matrimonio è monogamo e dopo le nozze il marito va a vivere in casa della moglie dove lavorerà per lei e per la sua famiglia. Si torna in barca ed il giorno seguente si riparte con l’aeroplanino, sul quale io e Gianni non ci degniamo di uno sguardo. Meglio così!. Ho intenzione di percorrere un itinerario impegnativo che con lui sarebbe pressoché impossibile portare a termine. Noleggio una Toyota Yaris e mi dirigo immediatamente verso le famose chiuse di Miraflores sul canale di Panamà. Questa opera merita un attenzione particolare dato che è  considerata l’ottava meraviglia del mondo. Appena entrato assisto al passaggio di una grande petroliera. Dopo aver ammirato per circa 40 minuti tutte le fasi orchestrate da tecnici ed operatori del luogo(questo è l’unico luogo al mondo dove i capitani delle navi devono lasciare il comando della stessa) mi reco nella sala teatro dove è proiettato un filmato che parla della sua storia, della sua realizzazione, dai primi tentativi francesi del 1878 fino alla esecuzione da parte degli americani nel 1908. Lascio il complesso di Miraflores puntando verso nord in direzione di Colon sull’Atlantico. Raggiunto Colon, la attraverso lungo la sua avenida central, alquanto caotica. E’ una città decadente, pittoresca e con forte influenza afroantillana. E’ considerata la più importante dei Carabi grazie alla sua posizione all’entrata atlantica del canale e alla “zona libre”, seconda per importanza dopo Hong Kong e dove si trovano 2000 imprese che godono di un regime che permette di importare, distribuire, lavorare, assemblare merci di ogni tipo e provenienza senza che siano soggette a formalità e costi doganali. La zona libre, con il suo traffico annuale di 10.000 milioni di dollari, ridistribuisce materie prime e macchinari in tutta l’America latina. Sarebbe bello ammirare dall’alto tutta l’area e allo scopo riesco a salire sul più alto edificio della città corrompendo il suo custode. Intorno a me una vista a 360 gradi fino all’imboccatura del canale. Girovago un po’ per Colon per poi direzionarmi verso le chiuse di Gatun. Qui le navi vengono portate dal livello dell’Atlantico, a 26 metri più in alto. Le operazioni sono ben visibili da un “mirador” con ottima vista sui locomotori che trascinano le navi per lo spazio delle chiuse. Decido quindi di recarmi sulla costa nei pressi  del fiume Chagres, lo stesso che poi forma il lago di Gatun. Nei pressi della foce è un promontorio dove è stato costruito il forte di San Lorenzo, su di una roccia che domina la foce. Dichiarato nel 1980 patrimonio dell’umanità ormai è parzialmente in rovina. Fu voluto da Filippo II di Spagna allo scopo di difendere la zona dall’attacco dei pirati. Nonostante ciò nel 1596 Francis Drake lo conquistò ed in seguito Morgan nel 1668 utilizzò la via fluviale per attaccare la città di Panamà. Mentre torno all’auto odo delle grida acutissime. Sono le scimmie urlatrice che più avanti noterò distintamente scendendo dall’auto. Oltrepasso il Forte Sherman, costruito dagli americani per difendere il terminal atlantico del canale, che nel 1999 tornò di proprietà esclusivo di Panamà. Faccio ritorno alla capitale concedendomi di tanto in tanto qualche pipa fria (succo di cocco).Vi arrivo alle 18.00 quando il sole sta ormai tramontando e per fortuna scorgo la zona del nostro primo albergo. Non ci penso un attimo a fermarmi lì dato che il traffico caotico mi ha già logorato per completo le forze. Mi faccio indicare uno dei miglior ristoranti della città, raggiungendolo in seguito col taxi. E’ il Bodegon, situato nei pressi dell’avenida Balboa. Il locale è un misto di decadenza e lusso. Pane caldo e con un ottimo Casillonero del diablo cileno ordino uno stratosferico carpaccio di tonno, marinato con olive nere e scaglie di parmigiano quindi una frittura di mariscos (frutti di mare) che mi manderà in orbita gustativa. Ritorno al mio hotel Montreal e dopo un po’ di televisione mi addormento felice. Domattina sarà una levataccia alle 4.00. Dovrò raggiungere il ponte de las Americas, all’entrata pacifica del canale e decodificare molti segnali di località che non conosco ancora, immerso nel buio della notte. E’ l‘unico modo per riuscire forse a raggiungere la zona di Bocas del Toro, punto di partenza per le barche che fanno visitare quest’altro bellissimo arcipelago. Mi dirigo verso ovest macinando chilometri fino a vedere il sole pian piano comparire all’orizzonte. Il mio scopo è di ammirare la costa e poter fare qualche bagno in una delle località balneari sulla strada. Giungo al villaggio di San Carlos dove la vita scorre serena, tranquilla. La spiaggia è enorme ma ora c’è la bassa marea e si sa che nel Pacifico può salire di oltre 100 metri. Sono presenti alcuni uccelli spazzino da un lato  ed in prossimità della riva una decina di aironi. Il quadro generale mette in pace col mondo. Si respira libertà a profusione!. Riprendo l’auto proseguendo lungo l’unica strada che taglia Panamà raggiungendo Santa Clara dove è una spiaggia di sabbia bianca molto bella. Per accedervi devo pagare un dollaro ma ne vale la pena!. Le onde sono impetuose ma superate le prime si nuota senza problemi. Doccia e riprendo la interamericana giungendo a Nata, un paesino fondato nel 1522(una delle prime città fondate dagli spagnoli). A testimonianza resta la chiesa coloniale, dichiarata monumento nazionale. Gradevole è il pulpito e le stazioni della via Crucis che ammiro dopo che una signora apre le porte dell’edificio religioso, appositamente per consentirmi la visita. Le abitazioni di Nata sono impreziosite da verde, fiori che gli conferiscono leggiadria, una sorta di piacevolezza di vivere. Riparto lunga la strada che sta diventando un po’ noiosa fino a arrivare alla spiaggia di Las Lajas, lunga e con fondale basso che entra in profondità, un po’ come in Adriatico. Trascorro qui una mezzora per poi pranzare in un localino all’aperto gestito da un italiano. Il pargo a la plancia è delizioso e costa due lire. E’ ancora presto e forse riuscirò a raggiungere Chiriqui Grande, quasi all’altro capo di Panamà di fronte al famosissimo arcipelago di Bocas del Toro. Attraverso la cordillera central con una nebbia fitta per ridiscendere poi verso il lato atlantico. Arrivo alle 16.45 ma il villaggio non mi pare un gran che e il porticciolo è minimale. Come farò a farmi portare alle isole che avrei intenzione di visitare?. L’ideale sarebbe stato spingersi ad Almirante  dove poi il tratto da coprire in barca sarebbe stato minore, ma per raggiungere il villaggio necessito ancora di un ora e trenta e col buio mi sarebbe difficile poi trovare qualcuno per organizzare un escursione il giorno dopo. E’ ora perciò di darsi da fare!. Comincio a chiedere al mercato in prossimità del porto e alla fine, persona dopo persona, mi viene presentato un tale il quale afferma che l’itinerario(pur impegnativo che ho in mente) si può fare. Deve solo chiedere a suo fratello, il proprietario della barca. Alla fine risolverò ogni dettaglio e se domattina alle 6.00 tutto andrà liscio sarà grandioso e mi sarò regalato anche questa incredibile esperienza. Forse ci spingeremo addirittura alla lontana isla Bastimento!. Vedremo!. Per intanto trovo una sistemazione, l’unica confortevole e mi concedo poi una cenetta spartana in un piccolo locale lì vicino. L’indomani mattina mi vengono a prendere all’alba, alle 5.45 e ci rechiamo al piccolo porto. E’ necessaria molta benzina per fare tutto il giro. Per intanto si parte con la loro barca. In centro c’è una comoda sedia di legno fissata al fondo sulla quale mi accomodo. Mi pare di essere un re mentre l’imbarcazione mi porta fuori, in mare aperto. E’ una stupenda giornata di sole e qui all’arcipelago, specie in questo periodo dell’anno si contano sulle dita di una mano. Una fortuna incredibile!. A buona velocità ci si dirige  verso il canale tra l’isla Popa e l’isla Cayo Agua, all’interno della grande laguna di Chiriquì. Lo scopo è di raggiungere le lontane Cayos Zapatilla di cui ho sentito un gran parlare. Dopo un ora e mezzo di navigazione eccole. Sono all’interno del parco marino Bastimento e sono due belle isole di sabbia bianca, circondate da un fondale corallino adatto però a esplorazioni da parte di soli subacquei.  Sostiamo prima a Zapatilla mayor che presenta una vegetazione rigogliosa. C’è un guardaparco il quale afferma che le tartarughe si possono vedere solo nel mese di Giugno così, dopo una rapida visita, ci dirigiamo verso la più bella Zapatilla minor. Approdati sull’isola, percorriamo tutta la costa sud sino ad arrivare nel punto più bello. Qui infatti il mare, la spiaggia, la sabbia sono da favola e impongono una sosta di almeno mezzora. Qua è presente una struttura usata dagli scienziati per studiare la rara tartaruga verde. Si riparte in direzione di isla Popa dove esploro per un po’un bel banco di corallo quindi si decide di puntare verso l‘isla Bastimento dove faccio chiedere informazioni sulla rara “rana roja”(rossa). Attraversiamo una zona di mangrovie straordinarie e in una piccola baia noto dei delfini che escono dall’acqua per poi sparire. Li rivedrò altre volte ma quando raggiungiamo il punto e mi tuffo con la speranza di star vicino, toccarli, giocare con loro, baciarli non ricompariranno più. Pazienza!. Mi sarebbe piaciuto fare questa straordinaria esperienza!.  Giungiamo infine in un sito dove se avremo fortuna ammireremo la rana roja, rarissima, unica al mondo. Dicono siano velenose anche se non mortali. Entriamo nella foresta scortati da un ragazzo locale che ci aiuta ad individuarle ma non è facile!. Sembrano impossibile da trovare ma alla fine una delle mie due guide mi chiama. Eccola!. E’ grande non più di 2 - 2.5 cm. ed è rossa con piccoli punti neri. Si trovano prevalentemente fra i rami marcescenti. Ne avvisteremo  in seguito altre cinque o sei. Quest’oggi è andato proprio tutto alla perfezione e ritornati nei pressi dell’isla Popa mi concedo un ultimo bagno in un sito corallino. Ora voglio tornare dato che, se sarò fortunato e riuscirò a valicare la cordillera in tempo potrei anche raggiungere la zona di Horconcitos della quale mi hanno parlato molto bene ed organizzare una eventuale escursione in barca da farsi domani, sulle isoli al largo. Ritornati in porto e dopo un frugale pasto riattraverso la catena montuosa ma raggiunta la località sperata mi accorgo che è solo un piccolo villaggio, molto lontano dalla costa che devo raggiungere attraverso un sentiero sconnesso dove un’auto normale potrebbe anche farsi del male. Delibero di abbandonare l’idea proprio quando mi accorgo di aver bucato. Dopo informazioni sosto ad una stazione di benzina per riparare il guasto. Chiedo anche dritte per un hotel ma sembra che non ce ne siano fino alla città di Santiago. Nel frattempo comincia anche a piovere a dirotto e la visibilità si riduce notevolmente ma riesco a coprire comunque la distanza di cento chilometri con la speranza di una cena che sappia terminare in bellezza la giornata. A Santiago trovo un albergo modico e poi mi dedico al ristorante, ma sono stanco morto e perciò decido di accontentarmi di uno normale dove ordino un filetto al pepe verde con patatine. Il sonno arriva ristoratore e alle 7.00 di mattina riparto con l’idea di concedermi qualche bagno di tanto in tanto e di visitare la zona di El Valle, situata all’interno. La prima spiaggia che tento di visitare è quella di Playa Blanca ma sembra che vi si acceda solo da un villaggio turistico perciò mi spingo fino a Playa Farallon, proprio di fronte all’isolotto Farallon. Parcheggio e trascorro qui mezzora di bagni e relax. Riparto in direzione di El Valle, lasciando la interamericana per salire nuovamente la cordillera. Dopo 26 km ecco la località, a circa 500 s.m. Questa zona è considerata il gioiello ecoturistico del paese ed è ubicata secondo i geologi nel cratere di un vulcano preistorico inattivo. Per tale motivo il suo clima è temperato tutto l’anno (20-28°). Di fronte al pueblo si può ammirare una montagna chiamata dell’india dormida. In effetti pare proprio assomigliare ad una persona che dorme sdraiata. El Valle è famosa anche per essere il luogo dove sono stati trovato i famosi alberi quadrati, unici al mondo. E’ una chicca che non posso lasciarmi sfuggire così mi dirigo verso l’hotel Campestre che dicono ne abbia alcuni dietro la sua proprietà. Parlando con un responsabile mi viene indicata la direzione da seguire ma dopo 10 minuti mi perdo nella foresta ed esco su di una strada dove transita una moto a tre ruote con due ragazzi sopra. Chiedo loro informazioni ma non sanno aiutarmi cosicché mi fanno la cortesia di portarmi di nuovo al Campestre. Riesco ad ottenere che uno dei due mi faccia da guida e sarà una ottima idea. Trascorrerò con lui un oretta e mi porterà a visitare le cose più interessanti della zona. Dapprima ci incamminiamo lungo un sentiero che porta ad una grande gabbia dove ho occasione di ammirare la famosa rana dorada, della stessa grandezza di quella ammirata sull’isla Bastimento. Purtroppo, a differenza della roja, sta quasi scomparendo a causa dell’inquinamento e dei bracconieri che le catturano vendendole poi a circa 800 dollari ai collezionisti. Proseguiamo lungo un sentieri ricco di suoni che deliziano le orecchie fino a notare una libellula quasi fosforescente. Magnifica!. Ecco il ponte che ci avevano indicato e superatolo, gli alberi quadrati. Intendiamoci!. Non sono completamente quadrati ma sono gli unici al mondo che presentano una base semi quadrata che sale per circa mezzo metro allo stesso modo. E’davvero incredibile. Ritorno all’auto con Jorge con il quale mi reco poi al sito de la Mesa  dove dovrebbe esserci una piscina naturale che tuttavia non mi impressiona. Lascio perdere e proseguiamo invece verso la Pintada, dove sono presenti dei graffiti preistorici che non sono ancora stati decifrati. Più in alto una piccola cascatella sotto la quale mi concedo una doccia. Saluto il mio amico accompagnandolo alla sua abitazione riconquistando in seguito l’interamericana fino alla deviazione per Punta Barco.  Dopo un paio di chilometri ecco una piacevole  spiaggia per dedicarsi ancora al nuoto e al relax nei pressi  di alcune capanne di pescatori. Sono solo io in un ambiente vero, ruspante. Dopo mezzora mi dedico ad un'altra climax della zona e per  arrivarci devio verso una lunghissima striscia di terra che si protende nel mare. Saranno 26 chilometri di pista sconnessa con timore continuo di bucare. Proprio alla punta mi trovo di fronte ad un tratto sabbioso sconfinato. C’è una sola famiglia  a circa 50 metri e null’altro per chilometri di sabbia. Uccelli si librano nel cielo in una delle zone  più selvagge che abbia mai visto. Bagno e riposo in un ambiente magico dopodiché riparto. Dopo una cena frugale a base di pollo in un localino spartano sulla strada, attraverso il ponte de las Americas trovando rapidamente la via del solito hotel Montreal. Sono davvero cotto anche oggi dopo aver percorso più di 400 chilometri, ma felice delle esperienze fatte.  Il giorno seguente è dedicato completamente alla scoperta di Panamà city dirigendomi per primo alla Calzada de Amador/Causeway, un frangiflutti lungo circa sei chilometri che fu creato dagli americani tra gli anni 1903 e 1904 con l’obbiettivo di bloccare le correnti della baia di Panamà ed impedire in questo modo la sedimentazione all’entrata del canale. Il materiale per la creazione di questa striscia di terra  proviene dagli scavi del taglio Gallard. Da un lato si vede la baia e dall’altra l’entrata pacifica del canale. Da questa striscia si ha un colpo d’occhio straordinario sul ponte. Mi dirigo quindi verso il “casco viejo”. Nel 1673, due anni dopo il devastante incendio la città venne ricostruita nella zona oggi chiamata appunto così. Nel 1977  è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Raggiungo per prima l’iglesia della Merced, costruita nel 1860 e con una facciata interessante in stile barocco. Proseguo in seguito fino a Plaza Mayor dove  è presente l’edificio religioso più bello di tutta Panamà: Santa Maria de Antigua, la cui costruzione ebbe inizio nel 1688. La facciata è in pietra scolpita multicolore e la parte centrale è stata edificata con le pietre dell’antico convento de la Merced esistente a Panama Viejo, dopo che venne distrutta. Di fronte alla chiesa è il palazzo municipale dove al secondo piano è presente un museo che racconta la storia del paese ma oggi è domenica ed è chiuso come il vicino museo del canale interoceanico, uno dei più interessanti di questa nazione centroamericana. Camminando verso il mare sbuco nei pressi del bianco palazzo presidenziale. Da qui si gode una magnifica vista sui grattacieli di Punta Paitilla. In Plaza Bolivar ammirerò un bel monumento dedicato al “Libertador” e nelle sue vicinanze il Salon boliveriano. A fianco è la iglesia de San Francisco de Aziz,  risalente al 1673 e vicino il teatro nazionale. La decorazione dei suoi interni fu affidata ad un maestro italiano, tale Enrico Corrado che sul modello della Scala di Milano privilegiò il colore rosso granato per i velluti e l’oro per gli stucchi. Una breve passeggiata finale fra le calles per poi riprendere l’auto in direzione dell’avenida Balboa che percorro fino al monumento a Vasco Nunez de Balboa, raffigurato nell’atto di sguainare la spada verso l’oceano Pacifico che egli scoprì nel 1513.  Dall’avenida sono molti i punti dai quali si possono ammirare i grattacieli  della capitale. Purtroppo non mi riesce di salire l’hotel Intercontinental per aver un colpo d’occhio generale dato che l’ultimo piano è chiuso per lavori. Ultima visita a punta Paitilla, considerato il quartiere più prestigioso e borghese della capitale. In strada noterò molti ebrei che vivono qui e che si sono arricchiti facendo affari nella zona libre di Colon. Fuori dagli altissimi edifici vigilantes garantiscono l’assoluta inviolabilità dei luoghi. Non mi riesce di raggiungere i piani alti per fare foto nonostante le abbia davvero tentate tutte. Peccato!. E’ arrivato il momento di riconsegnare l’auto perciò ritorno all’aeroporto Albrook dove però mi  dicono di portarla in città. Digerito l’imprevisto mi congedo un altro giro nei pressi della iglesia del Carmen per poi far ritorno in albergo a sistemare tutte le mie cose, dato che domattina ripartirò per l’Italia. Di mattina dovrò svegliarmi alle 4.30 perciò opto per una cena veloce concedendomi una gustosa pizza. Raggiungo l’aeroporto Tocumen e di nuovo via per Atlanta e la Malpensa con saldato in memoria il ricordo dei magnifici giorni trascorsi in questa … “Terra di mezzo”.

 

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