1992 VENEZUELA
Un paese ... mille bellezze.
Pochi giorni prima della nostra partenza il Venezuela stava vivendo una pagina triste della sua storia recente ma per fortuna il colpo di stato tentato dai militari non ha avuto successo ed il presidente è sopravvissuto ad un attacco da parte dell’aeronautica ribelle. Il 5 di Dicembre partiamo dalla Malpensa con un boeing della Viasa, destinazione l’aeroporto Simon Bolivar nella capitale Caracas. In verità non siamo proprio nella capitale ma a Maquetia sul litorale atlantico. Sono le 18.40 ora locale, atterrato con un ora di ritardo. Siamo attesi da Conchita, una corrispondente del tour operator col quale abbiamo prenotato dei servizi in questo paese. Raggiungiamo l’hotel Karibic e si va a nanna. La mattina seguente è dedicata completamente alla visita della capitale raggiungendo in metropolitana la fermata Capitolio. Incredibile a dirsi la linea metro è tutto il contrario della città, ordinata e precisa come una linea svizzera. Non una scritta o un pezzo di carta per terra. Pare incredibile!. Saliti in superficie ecco la piazza col palazzo del Governo Gli edifici di Caracas sono moderni e non conferiscono al turista nessun emozione. La piazza più nota porta il nome del Libertador Simon Bolivar e racchiude in se una sola chiesa assolutamente anonima. Si prosegue verso nord salendo all’unico quartiere un po’ interessante della capitale, quello coloniale con la sola chiesa della Pastora dove sostiamo un attimo. Quindi scendiamo verso Plaza Ibarra ed il Parco. Mangiamo in un localino delle arepas (panini di mais) e due batidos de fruta. Prendiamo il taxi per andare al famoso teleferico ma è rotto, quindi optiamo per una passeggiata nella via dello shopping, la Lincoln. Cena anonima per poi raggiungere il nostro albergo e riposare dato che domattina la sveglia sarà alle 3.30. Abbiamo infatti un volo interno per Puerto Ordaz, nella parte est del paese. Tutto si svolgerà in perfetto orario trasferendoci in questa città sul grande fiume Orinoco dove ci aspetta un escursione in barca sino alle foci del grande fiume. Questa zona si chiama Delta Amacuro e la dovremo visitare con un certo signor Cordoba che ci aspetta a Piacoa. Purtroppo la giornata non risponderà alle nostre aspettative dato che un inconveniente gli impedirà di presenziare e tutto è rinviato a domani quando egli stesso ci verrà a prendere in albergo. Per fortuna Jairo Cordoba arriva puntuale alle sei e con lui prendiamo il ferry boat che ci porta sull’altro lato del fiume, l’ottavo al mondo per lunghezza. Da li a si raggiunge casa sua dove prende le provviste e saranno due ore di tragitto in un ambiente incantevole impreziosito da molti voli di uccelli dai coloro sgargianti. Il tempo è soleggiato ma non dobbiamo illuderci perché nel Delta Amacuro è la stagione delle piogge. Si parte lungo il fiume con la sua barca e dopo tre ore di navigazione sotto una pioggia battente che nel frattempo si è sostituita al sole Jairo sosta in una capanna dove un india ci prepara un caffè. L’ambiente è vero, incontaminato. Tutto intorno un mondo prevalentemente acquatico. Ripartiamo, ed ecco le prime palafitte Warao direttamente sul fiume. Vengono costruite con pali che vengono piantati con la bassa marea.. Finalmente ecco il campamento Kamaro, nostra destinazione di base dove sistemiamo le nostre quattro cose in una stanza di legno comunicante dall’alto con le altre. Stasera le zanzare faranno scempio di noi!. Intorno, dei Warao con le loro canoe ricavate da un solo albero che slittano sulle acque del fiume, con calma irreale, in un mondo del resto irreale. Qui siamo fuori dal mondo in un contesto acquatico totale. Suoni di uccelli misteriosi dalla foresta vicina e la luce che sta scemando per far spazio alla sera. Pagaio un po’ con la canoa di un simpatico indio con il quale scambio quattro chiacchiere. Dice che è stanco di vivere in questo posto e gli piacerebbe vivere in un pueblo più popolato. Sui volti degli anziani si notano nitidi i segni della perdita della loro identità e loro sanno che i loro figli prima o poi lasceranno questo luogo annullando la loro cultura. Di notte non c’è lenzuolo che salva e le zanzare banchettano col nostro sangue. La mattina seguente, dopo un abbondante colazione con arepas via con la lancia per l’escursione nella selva. Raggiungiamo l’altra riva e dopo esser saliti su di una canoa più piccola ci addentriamo attraverso un cano all’interno della vegetazione. E’ appena finito di piovere ma dalla vegetazione lussureggiante cadono gocce sulla lisca superficie dell’acqua. Data la recente pioggia le scimmie sono nascoste per il freddo ma l’esperienza è comunque bella e tutto intorno a noi è natura inviolata. Ci si rende conto quanto camminare nella foresta dopo la pioggia sia un impresa titanica dato che tutto diventa fanghiglia ed ogni passo richiede sforzi immani. La marea intanto sta scendendo e se non faremo in fretta resteremo intrappolati qui dentro perciò torniamo al campamento a pranzare. Gusteremo un tubercolo di nome yucca che assaggeremo fritto e bollito. Verso le 14.30 si riparte, ricomincia a piovere ma dopo due ore di navigazione ecco le famose foci dell’Orinoco. Le onde dell’oceano scuotono la lancia e dietro di noi è solo foresta vergine. Torniamo indietro fino nei pressi di una palafitta dove si vende carburante Si prosegue fino alla missione di San Francisco de Guayo dove vivono nel villaggio adiacente circa 1.500 indios Warao. Qui c’è un piccolo ospedale che funge da pronto soccorso. Parliamo un poco con il sacerdote che gestisce la missione e poi ripartiamo. Ormai le tenebre si sono impossessate dell’ambiente e non si vedono altro che le luci prodotte dai pochi generatori elettrici di alcune capanne. Individueremo un paio di coccodrilli con l’utilizzo della torcia ma non riusciremo ad avvicinarli. Facciamo ritorno al campamento contenti di una giornata davvero speciale. Il giorno seguente, dopo colazione si riparte tornando a Puerto Ordaz dove arriviamo alle 19.00 concedendoci un ottima cena a base di pesce con pargo e sierra. Il nostro prossimo tour sarà in una zona a sud del Venezuela chiamata Gran Sabana e per questo saremo in compagnia di altre tre turisti, tutti tedeschi. La nostra guida è Diego e con lui partiamo alla volta del parco di Puerto Ordaz alla confluenza fra il Rio Caronì e l’Orinoco dove è una pregevole cascata Aggregati i tedeschi percorriamo la strada che porta verso sud svoltando verso la foresta in direzione di una miniera d’oro a cielo aperto Si tenta in fuoristrada una salita impossibile ed infatti rimaniamo infangati fino alle portiere. Siamo costretti ad uscire col fango che ci arriva alle caviglie mentre si avvicinano degli uomini armati che difendono la sicurezza del luogo e dei loro padroni. Ogni miniera è in appalto a persone che poi assolderanno uomini e venderà poi l’oro al governo. Uno di questo lo conosciamo ed è un italiano di Frosinone, un avventuriero venuto fin qui col miraggio della ricchezza. Varie tecnologie sono utilizzate per l’estrazione ma quella più usata risulta quella della pressione dell’acqua per far separare l’oro dalla terra. Qui c’è un umidità altissima, caldo e rischi di malattie. Fra poco inizierà il secondo turno di lavoro, nella notte alla luce delle lampade. Tutta la zona è piena di poliziotti che controllano il contrabbando di cocaina ed anche le rivolte popolari dato che la vita è molto costosa per l’alto numero di poveri presenti. Si sosta per la notte al campamento Anaconda e chiudiamo la serata girovagando per il villaggio li vicino assistendo all’interno di un piccolo bar ad un simpaticissimo spettacolo di cantanti llaneros(degli llanos, le sterminate pianure locali). Di mattina, partenza lungo una strada in mezzo alla foresta e dopo una sosta per vedere la pietra de la Virgen passeggiamo per un tratto al suo interno per ammirare una bella veduta sulla giungla sottostante. Poco prima di Luepa di colpo la salva termina ed ha finalmente inizio la Gran Sabana. Il paesaggio muta e si fanno largo grandi distese di verde e savana. Lasciamo la strada principale per una sterrata che dopo una settantina di chilometri ci porta ad una comitiva di indios Pemon, indigeni locali. Con delle loro lanche navighiamo sulle acque del rio Apongaio fino al salto di Chinak Meru, una caduta d’acqua entusiasmante e spumeggiante che cade nella affascinante pianura di sotto. Ci sono due o tre mirador da dove è possibile rstare affiscinati il salto. Torniamo lungo la stessa via a Ibarobò, il centro Pemon. Qui abitano alcuni indigeni che traggono una qualche fonte di guadagno nel portare i turisti alle cascate. Dicono che ci sono molti pitoni e loro li cacciano prima che i serpenti lo facciano con i loro bambini. In lontananza, durante il ritorno intravediamo i primi Tepuy, antichissime formazioni geologiche che risalgono addirittura a quando il continente americano era collegato a quello africano formando il Gondwana. Arriviamo a S.Rafael de Kumoiran, un buco di poche anime con un bel salto. Più avanti ecco l’Iliu tepuy ed oltre il famoso Kukenam tepuy. Dalla sua sommità, durante la stagione delle piogge cade il salto Kukenam, la quarta cascata al mondo, ma non omologata perché non cade tutto l’anno. Più avanti lo Yuruani tepuy con il vicino salto Yuruani e, seppur in lontananza il mitico cerro Roraima sulla cui cima ci sono molti quarzi ed una flora e fauna unica al mondo. Sui molti tepuy è stata catalogata una flora in parte simile a quella di molte zone africane. Di sera si arriva alla città di frontiera con il Brasile, Santa Elena de Uairem. Nella zona numerose miniere di diamanti e d’oro che qui sono l’a,b,b dell’alfabeto. La mattina seguente si parte presto da questa terra di incalcolabili risorse minerarie. Qui siamo nella zone del mondo perduto di Conan Doyl ed a poca distanza da Santa Elena, precisamente ad Icaburù è stato trovato il favoloso diamante Libertador. Raggiungiamo Puerto Ordaz alle 20.00 salutando tutti e ritirandoci nel nostro albergo. Con molta carineria Diego, la mattina seguente ci verrà a prendere per portarci all’aeroporto dove ci imbarchiamo su di un volo Servivensa chiamato Belvedere per via dei finestrini di osservazione più larghi in direzione, la mitica Canaima. Sorvoliamo inizialmente la confluenza fra il Rio Caronì e l’Orinoco e le relative cascate e quindi la represa(diga) che ha bloccato il corso del Caronì formando una grande lago artificiale e quindi la selva, un inestricabile sequenza di verde compatto. Questo è un volo impressionante perché prima dell’atterraggio alla laguna di Canaima l’aereo percorre una rotta che fa ammirare a bassa quota lo spettacolo sinistro dei grandi tepuy della zona il più affascinante dei quali è il grande Auyan tepuy del quale riusciamo ad ammirare per ben due volte la spettacolare caduta del Salto Angel, la cascata più alta del mondo con i suoi quasi mille metri di altezza. In cima ai tepuy ci sono davvero dei microcosmi particolarissimi con laghetti quasi perenni e sorgenti dai quali cadono nel vuoto sottostante nebulizzandosi numerose cascate. Atterrati prendiamo possesso della nostra casetta e subito via alla laguna dalle acque scure e fredde. C’è anche una spiaggia qui e forma una cartolina fotografata da tutti. La giornata trascorre così, di fronte a questo paesaggio naturale unico nel suo genere. Il giorno seguente è in programma l’escursione a Kavac. Si decolla sempre con un volo Servivensa costeggiando l’Auyan tepuy con stupenda vista sulla selva sottostante, il rio Carrao ed ancora il Salto Angel. Atterriamo in un minuscolo villaggio di indios Pemon chiamato Kavac da cui il nome alle grotte. Due di loro ci accompagnano attraverso un percorso di mezzora alla grotta. Affascinante l’avvicinamento con guadi ed un tratto da percorrere in canoa o a nuoto fino allo spettacolo della cascata che cade in una gola profonda. E’ d’obbligo la nuotata fin quasi sotto la caduta anche se sarà impossibile questo mio intento dato che l’acqua precipitando dall’alto crea una fortissima corrente esterna che impedisce l’avvicinamento. Molto bello però!. Si ritorna a Kavac e quindi a Canaima sorvolando l’Auyan Tepuy da un altro versante. Pina colada al bar del villaggio, filet mignon e via a dormire. La mattina seguente la trascorriamo poltrire sulla spiaggia in attesa del volo di mezzogiorno che ci riporterà a Caracas, Maiquetia dove ci aspetta Conchita che ci darà i biglietti per la successiva escursione, indimenticabile nell’arcipelago Los Roques. Purtroppo però il volo che era programmato per le 16.45 non si farà e dobbiamo ripiegare su quello di domattina. Sarà un aeroplanino della compagnia Cave che ci porterà in questo gioiello del Caribe. Si sorvola dapprima il mare blu fino a che si intravede la barriera perimetrale dell’arcipelago. Il colore del mare assume svariate colorazioni, il tempo è bello e si preannunciano tre giorni da sogno. Atterriamo nell’sola principale di Gran Roque. Ci attendono Gianni, un oriundo siciliano e la moglie Jaqueline parigina. Entrambi, qualche anno fa hanno dato un taglio alla vita cittadina e dopo una riunione in famiglia con i figli hanno deciso di lasciare Parigi e di trasferirsi qui con la barca che Gianni ha costruito praticamente da solo in circa dieci anni. In questo arcipelago, per guadagnarsi da vivere fanno charter portando turisti in giro per queste acque incontaminate. Con un canotto raggiungiamo la loro barca Eola, un due alberi di 14 metri. Ora partiremo per una zona più calma infatti dopo aver navigato per circa un’oretta eccoci in una zona chiamata tres bobos dove tutto è tranquillo. Da qui si vede la barriera corallina dell’atollo. Mi tuffo non notando però gran che anche se la solitudine del luogo conferisce emozioni ad alta tensione. Siamo solo noi quattro per decine di miglia tutto intorno. Si pranza e dopo col canotto si va verso acque più basse dove ammiriamo coralli e pesci multicolori.Di sera si mangiano le ostriche che ha pescato Gianni e non mi pare vero di gustarle così fresche. Un po’ di conversazione e poi a cuccia. Sveglia di mattino col mare piatto come una tavola e subito giù a fare una nuotata e dopo, sempre col canotto ritorniamo più o meno al punto di ieri dove però stavolta entriamo in acqua con un piccolo branco di terribili barracuda. E’ la prima volta che ci capita ed abbiamo davvero l’adrenalina nel sangue. Non sarà finita qui dato che mi accorgo che sulle gorgonie ci sono attaccate numerose ostriche che provvedo a raccogliere. Ne avrò recuperate una ventina mentre Gianni ha preso un aragosta e due triglie. Il pasto è fatto. Nel pomeriggio trasferimento a Boca del Medio con altre fantastiche esperienze marina. Lindomani trascorriamo in piacevole tranquillità un'altra mattinata di mare da sogno e nel pomeriggio si pasa da Cayo pirata per poi tuffarsi nell’isola dei pescatori con la compagnia di numerosi pellicani. Queste sono eperiienze che valgono come un tesoro. Di sera ancora ostriche e zuppa menre si dice che quella di fronte a noi sia la barca di u Rotchscild. E’ ormai il nostro sedicesimo giorno di viaggio e ne abbiamo già avute tante d gratificazioni durante tutto questo periodo ma ora si parte per un giro dell’isola di Gran Roque ,in mare aperto. Grandi onde e d una volta ritornati al punto dell’attracco ci accompagnano alla striscia d’atterraggio dal quale un altro volo Cave ci riporta a Maiquetia.dove noleggiamo subito una piccola Che vette rossa con la quale ppartiamo lungo l’auto pista a pagamento fino a raggiungere Caracas. Caratteristici i Ranchitos ,numerosi alla nostra destra seulle colline della caitale. Sono un esercito di poveracci che però non paga ne acqua ne luce(sono pagati dal governo). Ci mmettiamo suull’autostrada per Valencia e quindi per Puerto Cabelllo. Il paesaggio è sempre uguale e mentre sulla sinistra è la pianura, sulla destra ci sono colline molto ardite dopo le quali è il mare dei Carabi. A Boca Agra si cominciano a vedere spiaggie libere ma gia che ci siamo ci spiangiamo fino a Tucucas de Chichiriviche uno dei due centri più importanti per raggiungere le isole del parco Morocoy. Ci sistemiamo all’hotel Gaeta dove staremo per due notti. Usciamo per gustare al miglio ristorante cittadino ,il Venemar una zuppa du chipichipi(piccole vongole) e un buon pargo. La mattina seguente sveglia presto per andare all’imbarcadero verso le isole del parco. Contattiamo un barcaiolo che ci porterà all’isolotto corallino di Cayo Sombrero che dicono sia il più bello di tutto il parco. La partenza avviene con lo scenario superbo del volo delle regate sopra di noi. Con la lancia attraversiamo un ecosistema particolare fatto di mangrovia d infine, dopo circa mezzora di navigazione attracchiamo. La spiaggia non mi pare subito un ran che ma la migliore dicono siua sul lato opposto che infatti risulta essere bellissima. In mezzo palme, una casupola ceh e funge da bar ed alcune tende di turisti.Ben presto però verremo a conoscenza dell’incubo di queste isole.. Comincia infatti a piovviginare e per ripararci si va sotto il tetto diela casupola ma si vede che òla pioggia scatena le zanzare che cominciano a falcidiare. Finisce di piovree e si va in acua dove potremo esplorare il bel fonfale corallino ma poi ricomincia apiovere e ritornano i mosquitos. Appena uno esce dall’acqua viene puntato d atantissime zanzare e deve scappare in mare. Il empo non migliora e dovremo stare due ore ina cua per salvarci dal flagello. Stanche riguadagnamo l’altro lato dell’isola dove fortunatamente il canchero ci sta aspettando e ritorniamo così sulla terraferma. Di sera cena al Fruta de sol con un ottimo pesce rueda de caritè. L’intenzione originaria era di rimanere anche domani ma vista l’esperienza odierne si decide di ripartire verso l’altro paese di Chichiriviche che anch’esso fa parte del parco. La strada è costeggiata da acque basse salmastre con molte mangrovie ed acquitrini habitat ideale di moltoi uccelli tra quali ammiriamo gli aironi, i flamings e per la prima volta alcuni ibis scarlatti. Arrivati al paese niente di particolare cos’ proseguiamo verso san Juan dove speriamo di godere di qualche esperienza balneare meno traumatica. Niente da fare e così optiamo per Coro ,la notissima città coloniale all’entrata della penisola Paraguana-. Il percorso, molto lungao si articola su paesaggi gia conosciuto. Saliscendi atraversano zone di foresta e coltivazioni poi ed infini ecco Coro . Decidiamo di ristorarci con un ricco churrasco ed alcuni succi particolari di patilla(ccocomero) e di lechosa(papaia). Dopo una visita cialla cittadina che non appare così speciale usciamo in direzione dell’istmo che porta alla penisola Paraguana. Qui siamo all’estremo mìnord occidentale del paese e speriamo che che questo foruncolo che sboccia nel caribe possa regalaci qualche emozione. PPrima di entrare nella penisola attraversiamo il parco nazionale di Coro dove ci sono addirittura delle dune di sabbia dopodiché svoltiamo per Adiposa. Il paesaggio è solitario e discretamente affascinante.. Qualche capra ed abitazione sporadica in una landa solitaria. Niente di più! E questo comincia a preoccuparci per il discorso pernottamento. Raggiungiamo Adiposa, un pueblo con porticciolo e spiaggietta graziose ma con acque basse. Le sistemazioni locali sono simìnonimo di salasso da mosquitos perciò su indicazione proseguiamo fino a a Pueblo Nuevo. Il complesso è perciò vicino a delle saline e non ha alcuna personalità ma trascorriamo ugualmente qui la nottata. Cena ridicola a seldf service. La mattina seguente speriamo di godere del mare ma la spiaggia è battuta da un vento che da troppo fastidio
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