2006 VIETNAM

Le minoranze etniche del nord e la magia di Halong Bay

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Hanoi - Traffico nel centro vecchio

E’ stato il mio primo vero viaggio nell’Estremo Oriente e posso affermare che ha saputo regalarmi tante emozioni ed un notevole incremento culturale. E’ stato organizzato appositamente per conoscere le etnie minoritarie del nord, oltre naturalmente alla realtà delle campagne. Ho potuto inserirmi nel locale quotidiano, visitando le loro abitazioni e stili di vita. Molta importanza hanno rivestito i mercati che tanto sanno dare al viaggiatore e mai potrò dimenticare la straordinaria esperienza in quello montano di Bac Ha. La seconda parte del viaggio è stata destinata ad una eccezionale escursione nella celeberrima Halong bay, dove più di duemila isolotti sorgono in modo caotico dal mare conferendo a questa parte del golfo del Tonchino un aspetto quasi magico. L’Indocina merita certamente  di essere approfondita durante altri viaggi che spero di effettuare prima o poi insieme a mia moglie Gosia. Alle 7.00 del mattino del primo giorno dell’anno mi ritrovo a Linate dove un volo della compagnia di bandiera Alitalia mi trasferirà a Roma. Alle 12.55, on time, via verso Hong Kong con la Cathay Pacific. La coincidenza è due ore più tardi e per la tratta fino ad Hanoi viaggerò con la Vietnam airlines. Ad attendermi all’aeroporto c’è un ragazzo dal nome impronunciabile che chiamerò Shoan. L’aeroporto dista solo 15 chilometri dalla città, ma ho comunque già la possibilità di ammirare  contadini curvi nelle campagne. Vengo portato all’hotel Hanoi Capital, un buco, piccolo ma decoroso che ho scelto per risparmiare sul conto generale. Sistemo tutto in un amen e rieccomi giù alla piccola reception. La prima visita è fissata con la mia guida verso le 15.00 però è mia intenzione calarmi già nelle vie di questa città che considerare caotica è solo un eufemismo. L’itinerario ideale di visita prevede un circuito ben segnalato dal mio libro e perciò mi inserisco nel flusso. Tutto intorno è un cos indescrivibile di motorini e biciclette. Tutti sembrano avere la mano appoggiata al clacson così che l’inquinamento acustico si mescola a quello atmosferico creando un mix davvero micidiale per il fisico e la psiche.  Attraversare le strade poi, gli incroci, dove non sono presenti semafori significa armarsi di sangue freddo e quasi sfidare il destino, con la speranza che tutti i motociclisti che ti schivano siano in grado di farlo. Mai vista una confusione del genere, nemmeno a Calcutta!. Il centro vecchio di Hanoi ha mille anni di storia ed al suo interno esistono marcate differenze fra vie e vie. Sono chiamate “hang” che in lingua locale significa merce e di solito il termine è seguito dal nome del prodotto che si vende in quella strada. Esplorare il dedalo di vie è affascinante e senza cartina ci si perderebbe in un quarto d’ora. La zona è nota per le case a galleria, chiamate in questo modo per le facciate strette e le camere lunghe. Questo tipo di costruzioni fu ideato per evitare di pagare troppe tasse, basate sulla superficie di facciata che dava sulla via. Rispettando l’itinerario indicato sulla mia guida cartacea inizio dal lago Hoan Kiem, uno specchio d’acqua proprio nel cuore di Hanoi dove attraverso un piccolo ponte mi reco nel tempio di Ngoc Son. Qui i buddisti si dedicano alla preghiera in mezzo al profumo dei loro incensi.. Riattraverso il ponticello dando un rapido sguardo al monumento dei martiri, eretto per commemorare coloro che morirono per l’indipendenza del paese. Qui di fronte è il teatro delle marionette e spero vivamente che Shoan nel frattempo riesca a procurarmi un buon biglietto per lo spettacolo del tardo pomeriggio. Comincia il vero e proprio tour nel dedalo di vie, iniziando dalla zona dove vendono le calzature, per cui i vietnamiti vanno pazzi. Lungo Pho Hang Bac ecco gli artigiani che intagliano le lapidi che riportano le immagini del defunto, scolpita a mano. Ora è la volta delle gioiellerie e poi quella dei negozi di abbigliamento, sino a raggiungere il tempio di Bac Ma. Proseguo nelle vie che vendono stuoie e funi fino a Pho Hang Ma. Il nome significa “via contraffatta” e qui infatti si vendono le banconote false che vengono bruciate durante le cerimonie buddiste. Quindi la via dei fabbri per poi tornare in hotel a vedere che gli ha preso alla telecamera che ha smesso di funzionare. Il problema è serio ed aspetto Shoan con la speranza conosca qualche negozio per sistemarla in tempo utile. Ripararla fuori da Hanoi sarebbe impossibile!. Per fortuna con lui ci si reca in un minuscolo laboratorio dove è un artigiano che dice di saperla aggiustare. Andrò a ritirarla dopo lo spettacolo delle marionette. Ora Shoan ferma un conduttore di biciclette a tre ruote e gli chiede di farmi fare un giro di questa parte della città. Francamente vedere il povero diavolo che pedala come un mulo davanti a me è imbarazzante, ma da queste parti funziona così ed i “turistoti” sono quasi costretti a subire queste pacchianate. Si procede in mezzo ad un frastuono pazzesco, percorrendo molte vie che già ho conosciuto poco fa, fino alla bella cattedrale neogotica di San Giuseppe, inaugurata nel 1886. Si ritorna da Shoan che mi accompagna al famoso Thang Long, il Water puppet theathre dove assisto allo spettacolo delle marionette sull’acqua, antica arte sconosciuta al di fuori del Vietnam fino al 1960. Si utilizza come palcoscenico una vasca quadrata piena d’acqua appositamente torbida per nascondere i meccanismi che azionano le marionette. I pupazzi hanno una vita media di pochi mesi se utilizzati continuamente. Ogni show comporta la presenza di undici marionettisti che devono avere una pratica di almeno tre anni. Loro sono nascosti nell’acqua dietro ad uno schermo di bambù. Le tecniche per i  movimenti sono tramandati di padre in figlio e tenute segrete. La musica è suonata dal vivo. Ci sono cantori e musicisti che rappresentano scene pastorali e di episodi leggendari. La cena seguente non sarà un gran che, ma per fortuna la telecamera pare riparata ed è questo ciò che conta. L’indomani mi sveglio presto per essere pronto all’appuntamento con Shoan alle 7.15. C’è anche l’autista con il quale si parte fra un incredibile fila di motorini strombazzanti. Ci sono circa quattro milioni di abitanti ad Hanoi, città restata immersa in un sonno profondo da quando il Vietnam è stato diviso nel 1954 fino agli effetti delle riforme economiche, percepiti una quarantina di anni fa ed è sopravissuta alle bombe americane prima e agli urbanisti sovietici poi. Il suo ingresso nell’industria del turismo è stato lento, a causa della diffidenza delle autorità verso le riforme economiche e l’influenza degli stranieri. Lasciato alle spalle il caos cittadino eccomi finalmente godere del ritmo lento delle campagne. Lavandaie sciacquano i panni e  poco distante due mulini ad acqua che pescano dal fiume portando il prezioso liquido ai canali che irrigheranno i campi coltivati. Cominciano a vedersi i primi villaggi di “montagnards”. Mentre i gruppi di etnia vietnamita e cinese abitano prevalentemente i centri urbani, il restante dieci per cento è concentrato nelle aree montane. Fra queste minoranze alcune contano fino ad un milione di persone, altre solo un centinaio di unità. Il mio viaggio in Vietnam è dedicato a loro, alle minoranze etniche del nord del paese. La maggior parte dei”montagnards”, come li chiamarono i francesi è formata da comunità seminomadi che coltivano il riso a secco e ricavano nuovi terreni da coltivare con la tecnica del taglia e brucia. Queste minoranze godono di autonomia e nel programma politico di Hanoi c’è di lasciare loro sufficiente libertà, anche se nei primi anni del 2000 non sono stati pochi gli scontri contro la “vietnamizzazione”. Nel frattempo Shoan scorge un villaggio H’Mong che ora andremo a visitare. Le donne indossano un gonnellino sgargiante ed al collo diverse monete e collane d’argento. Gli uomini hanno pantaloni neri. E’ uno dei gruppi etnici più numerosi e giunsero dalla Cina nel XIX secolo. Sono diffusi un po’ in tutto il nord ed in special modo a Sapa e Bac Ha che visiteremo nei prossimi giorni. Si distinguono in vari sotto gruppi  tra i quali i Black H’Mong con copricapo cilindrico e gonna color indaco e i Flowers H’Mong, specie a Bac Ha. Dopo un frugale pranzo con carne di manzo a pezzi e riso, serviti in una ciotola, proseguiamo fra colline a forma conica fra le quali secondo Shoan sono nascosti molti soldati, a controllo della frontiera con il Laos, con il quale i rapporti non sono proprio idilliaci. Il traffico è minimale e solo nei rari villaggi si rifanno vedere i motorini. Costano 300$ e sono fabbricati a Taiwan. Raggiungiamo nel pomeriggio la cittadina di San La che visito a piedi per un oretta senza tuttavia ricavarne grande impressione. Di ristoranti non se ne parla perciò questa sera cenerò nel nostro piccolo hotel. L’indomani partiamo alle 7.30, orario di apertura del locale museo, un tempo colonia penale francese in cui venivano rinchiusi i rivoluzionari anticolonialisti. Ora della prigione restano solo alcuni resti, dato che fu distrutta dagli scarichi di ordigni inutilizzati dagli aerei da guerra americani che tornavano alla loro base dopo i bombardamenti. All’interno sono esposti oggetti e capi d’abbigliamento delle tribù di montagna. E’ una bella giornata di sole e ripartiamo fra paesaggi collinari, ammirando le palafitte dei Thay che anch’essi abitavano la Cina Meridionale. Sono animasti ed adorano una varietà di spiriti. Anche fra di loro esistono sottogruppi, i Thay rossi, neri e bianchi. L’interno delle loro abitazioni, come quella che ora stiamo visitando dopo aver chiesto l’autorizzazione alla proprietaria, è un ambiente unico con la zona cucina dove sono presenti grossi pentole sul fuoco di legna. Sopra è un ripiano dove pongono i cibi ad affumicare. All’esterno una Thay sta grattugiando la cassava per farla meglio seccare al sole. Questo tubero verrà poi consumato in vari tipi di preparazioni. Ripartiamo lungo una strada che talvolta ci obbliga a delle soste per via di alcune frane che stanno per essere rimosse dalle ruspe. Il paesaggio si perde a vista d’occhio con colline a forma conica bellissime. In un villaggio Shoan mi fa notare un locale, per la verità di aspetto lugubre, nel quale si serve la carne di cane(è scritto “thit cho”). Prima di partire mi ero ripromesso di testarla, ma poi ho preferito rinunciarvi. Tutto ha un limite!. Entreremo in seguito in un altra piccola comunità di H’Mong. Hanno tutto ciò che serve loro per vivere dato che oltre alle coltivazioni di riso e verdure tengono maiali ed animali da cortile. Inoltre spesso si incontrano delle grandi pozze piene d’acqua. Loro comprano del pesce vivo immettendolo in seguito all’interno della stessa. La natura fa poi il resto e loro si moltiplicano, garantendo ulteriore apporto proteico alla popolazione. In una abitazione un anziana donna sta mescolando una zuppa di zucca in una grande pentola con vicino un bimbo semiaddormentato. Poco più avanti sostiamo in un ristorantino per pranzare con carne di maiale e riso. Loro non possono mangiare carne intera. Il cibo deve essere sempre a tocchetti in modo da poterlo raccogliere con i loro bastoncini. Non sono molto comodi, ma sto cominciando ad imparare ad usarli. Ripartiamo lungo la vallata ammirando fantastiche risaie dove le mondine si spezzano la schiena, chine per inserire nel terreno le piantine di riso. E’ una scena suggestiva che mi impone una sosta per vedere da più vicino le operazioni. E’ affascinante vederle intente in questo lavoro d’altri tempi, mentre ridacchiano alle mie spalle. In seguito, prima di raggiungere la nostra destinazione finale, chiedo al mio driver una deviazione non prevista per andare visitare il bunker del generale Giap attraversando verdi campagne in mezzo a villaggi Thay. Giap era il comandante vietnamita della campagna militare di Dien Bien Phu, località dove è prevista la sosta e famosa in tutto il mondo per essere stata teatro di una di quelle battaglie che possono a ragione essere considerate decisive. Le forze coloniali francesi qui furono duramente sconfitte dal Viet Minh, ponendo fine al colonialismo nell’intera Indocina.  La mattina seguente visiteremo per primo il locale museo che spiega nei dettagli la vittoria del generale Giap con l’utilizzo di mappe e mostrando le armi dei rispettivi eserciti. Fuori sono in mostra un tank ed un aereo parzialmente distrutti. Puntiamo in seguito verso la cosiddetta”collina 1” dove si svolsero i combattimenti più aspri e dove è stato ricreato l’elaborato sistema di trincee nel cuore della difesa francese. Si riparte verso le montagne in direzione nord, notando numerosi H’Mong e Flowers H’Mong. Pranzato con “pho”, tagliolini con pezzi di carne(forse troppo grassa). La strada prosegue con centinaia di curve ed alla fine mi viene un po’ di nausea. Non vedo l’ora di arrivare a destinazione e dopo un ulteriore visita ad un altro villaggio H’Mong con alcune donne sedute a cucire, ecco finalmente il nostro hotel dove potrò per la prima volta cenare in modo decoroso. Il tempo finora si è mantenuto buono, ma domattina dovremo salire verso Sapa dove si dice piova quasi sempre. E’ la cittadina più interessante lungo il nostro percorso e dopo aver valicato il Tram Ton pass(il passo più alto del paese) coperto di nebbia, comincia a scendere una fastidiosa pioggia. E’ un peccato perché da qui si potrebbe godere di un bellissimo panorama. Si scende velocemente fino a raggiungere Sapa, la più famosa stazione montana del paese, dominata dal Fansipan, la montagna più alta del Vietnam, alta 3.143 metri. Tutto intorno verdissime terrazze coltivate a riso immerse nella foschia. Le valli ed i villaggi intorno a Sapa sono popolate da diverse comunità tribali di montagna che vengono in città per comprare o vendere.  Le varie guerre con la Francia, gli Stati Uniti e la Cina non sono state clementi con Sapa e nel 1980 tutti gli alberghi erano caduti in rovina. Il boom turistico ne ha per loro fortuna risollevato le sorti. Sistemato il bagaglio nel mio alberghetto, mi reco con Shoan al mercato. Quello più importante si tiene di Sabato,  ma in realtà tutti i giorni è possibile ammirare fra i vari banchetti montagnards di differenti gruppi etnici come Thay, H’Mong e Dao. I capi d’abbigliamento costano davvero poco come il cibo che occupa una intera sezione. Si acquistano verdure, frutta, carne a tocchi ed anche pesce, costretto ad asfissiare stipato in impropri catini. Dopo pranzo riparto questa volta da solo alla scoperta di questa importante località percorrendola praticamente tutta sotto la continua minaccia di pioggia che scende in fondo piacevole, sotto forma quasi nebulizzata. Anche la giornata di domani sarà dedicata completamente a Sapa, ma durante la mattinata si decide anche di visitare un villaggio lontano qualche chilometro, scoprendo con la calma necessaria quello che è la loro vita quotidiana, i lori tempi e occupazioni. Il pomeriggio è dedicato nuovamente alla scoperta degli angoli nascosti di Sapa. Di tanto in tanto è bello prendersela comoda e contemplare le località entrando quasi in sintonia con loro. L’ottavo giorno di viaggio si affaccia come una fotocopia dei due precedenti. Pare davvero che qui il tempo sia sempre umido. Scendendo dall’altro versante della montagna, ci stiamo dirigendo verso la città di confine di Lao Cai. Ha 35.000 abitanti ed è separata dal vicino colosso cinese da un ponte sul Red river. Prima di entrarci abbiamo incontrato una fila di auto con polizia al seguito. Qui infatti ha appena terminato di svolgersi un raduno politico ed alcuni esponenti del governo stanno per tornare ad Hanoi. Lao Cai è ricca di alti palazzi e noto anche un grande centro commerciale in costruzione nei pressi del ponte. Si riparte costeggiando il confine cinese per un lungo tratto salendo lungo una strada coperta dalla nebbia. Improvvisamente, nei pressi di Bac Ha noto una moltitudine di persone che stanno camminando verso il locale mercato, considerato il più ruspante del paese. Preso possesso della mia camera d’albergo, lascio in fretta le mie cose sul letto ed esco di corsa per recarmi in quello che considererò una vera magia etnico - culturale. Intuisco d’immediato che si tratta di un luogo vero, genuino, nonostante sia farcito anche qui di turisti occidentali. Inizio la visita con calma, assaporandone tutti gli aspetti. E’ certamente uno dei mercati più interessanti che abbia mai ammirato ed è pieno di appartenenti dell’etnia Flowers H’Mong, con le loro gonne e bluse sgargianti, multicolori. Come tutti i mercati è diviso in sezioni e comincio da quella più vicina alla periferia dove vengono proposti souvenirs ed oggetti per turisti. Più avanti, in una specie di piazzale fangoso si vendono cani, galline e maiali stipati in gabbie realizzate con fibre vegetali. Gli animali sono pigiati in condizioni pietose. Spesso i suini hanno le zampe legate e producono suoni strazianti prima di essere inseriti in queste minuscole galere, calpestando gli altri che sono già dentro. Nessuna pietà o diritti qui per gli animali!. Molto interessante è il reparto della carne, venduta a tocchetti anche se la maggior parte è solo grasso con pochissima fibre muscolari. Ci sono delle bacchette con le quali la persona indica i pezzi che desidera i quali vengono n seguito pesati ed infilati in sacchetti. Si vendono anche frattaglie ed il tutto in condizioni di igiene imbarazzanti. Interessantissimi sono poi i luoghi dove la gente sosta in banchetti per consumare i pasti. Non potrò mai dimenticare un H’Mong mentre indica con la bacchetta tre pezzetti di “solo duro grasso” che con un gesto della mano indica la donna alla quale dovrà essere servito. E’ sua moglie, trattata come una bestia e mezza sdentata che aspetta con l’acquolina in bocca, mentre l’ambulante prende i pezzi e glieli taglia grossolanamente per poi friggerli ed inserirli in una ciotola. Vi verserà poi del brodo, recuperato da un pentola inquietante e per completare il piatto, una mestolata di riso(un blocco) preso da un sacchetto di plastica e posto anch’esso all’interno della ciotola. La scena che ne segue vede questa donna quasi sorridere al cibo, mentre mastica con gli unici due denti rimasti i blocchetti di grasso e nervi. Il tutto sarebbe da filmare, ma mi trattengo!. Girovagare nei mercati è uno spettacolo imperdibile per un viaggiatore e in essi ci si deve soffermare per cogliere i piccoli gesti che talvolta fanno comprendere grandi cose, insieme ad abitudini e costumi locali. Talvolta mi fermerò per minuti ad ammirare una determinata scena e ne rimarrò come fagocitato in interesse. Visito quindi la sezione dei pesci, anche qui stipati in condizioni impressionanti, delle verdure, della frutta, dei fabbri, delle calzature e dei vestiti. Assisto ad una lite fra un ambulante che vende canna da zucchero ed una H’Mong, accusata di essersene appropriata senza pagarla. Torno in albergo a pranzare dopodiché ritorno ad immergermi in questa realtà così affascinante fino a che le bancarelle vengono smantellate. Il giorno seguente si parte alle 8.00 ritornando sui nostri passi fino a raggiungere la periferia di Lao Cai. Si devia quindi verso sud per ritornare ad Hanoi. Il tempo migliora e lungo la strada sosterrò per ammirare le coltivazioni di the. Come al solito il driver guida con estrema prudenza, come avesse esagerata paura delle eventuali sorprese che possa riservargli la strada a causa di animali o attraversamenti improvvisi di umani. Questo corrisponde a verità, ma il rischio che correremo a breve sarà causato da un motociclista che avrà allargato a dismisura una curva finendo quasi completamente nella nostra corsia. Per evitarlo siamo quasi usciti nei campi e ci siamo prodotti anche in un testacoda. Qui guidano tutti come matti e spesso non hanno le capacità per permetterselo. Questo provoca frequenti incidenti che coinvolgono ad esempio pesanti automezzi, ma anche auto e motociclisti. Raggiunta Hanoi ed il mio albergo, alle 15.45 riprendo dove lo avevo interrotto il percorso indicato nella mia guida cartacea. L’itinerario mi porta a visitare i fabbricanti di scatole di latta, di specchi e quelle vie dove si vendono articoli religiosi buddisti. Ho fame e dopo aver sostato per gustare in un fast food una pizza, riprendo fino alla cattedrale di San Giuseppe. Si sta svolgendo la messa e vi assisto per qualche minuto. Di fronte ci sono bei locali, bar e ristoranti che sfociano nei pressi del lago Hoan Kien. La giornata è terminata, ma non voglio ancora tornare in albergo così mi reco all’ultimo piano di un bel palazzo dove c’è una terrazza bar. Un ottimo cocktail Margarita di fronte ad una delle piazze più famose e trafficate della capitale e quindi a dormire. Domani è in programma una straordinaria escursione e con l’auto si punta verso la costa, nel Golfo del Tonchino. Raggiunto il porto di Halong bay mi imbarco con Shoan su una delle tante barche di giunco che fanno navigazione nella baia. Oltre all’equipaggio ci sono tre coppie di turisti, una di inglesi, di francesi e di tedeschi con le loro rispettive guide. Questa imbarcazione può ospitare fino a 40 persone, ma siamo solo in sette turisti. La cosa è allettante infatti siamo coccolati già dall’inizio con un ottimo cocktail di benvenuto e subito dopo, mentre si sta navigando verso i luoghi di interesse ci viene servito un ottimo pranzo bagnato con del vino francese. Per finire, come frutta un incredibile “dragon fruit” mai assaggiato finora. Si tratta di un frutto che cresce solo in Indocina, simile come forma al mango, ma con polpa bianca e punteggiato di minuscoli semini neri. Una delizia, mentre ci muoviamo in un paesaggio mozzafiato. Questa è senza dubbio la principale meraviglia naturale del Vietnam. Sono più di duemila isole, sparse qua e la nelle acque calme del Golfo del Tonchino. Nel 1994 questo sito è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. E’ un paesaggio magico di isolotti che sorgono caotici dalle acque. Alcuni sono abbelliti da spiagge e grotte create dai venti e coperte da vegetazione dove talvolta riecheggia il canto degli uccelli. Ogni tanti si incrocia qualche altra barca di locali, proveniente da agglomerati di palafitte vicine alle isole più grandi. Sono comunità che vivono di pesca e vendono il loro pesce alla Cina e ad Halong bay. Siamo tutti estasiasti dalla magnifica esperienza. Si raggiunge poi una baia che pare disegnata dalla mente di un pittore del Rinascimento. Attracchiamo, salendo in seguito alcuni ripidi scaloni fino all’entrata di una profonda, grande caverna, la Sung Sot cave. E’ una delle più famose ed è formata da tre magnifiche sale, nella seconda delle quali si trova una sorprendente roccia di forma fallica illuminata da luce artificiale. Ci sono stalattiti e stalagmiti, non di ghiaccio ma di calcare. Ripartiamo in direzione di T.Top island. Il tempo sta migliorando e fa capolino un pallido sole, ideale per apprezzare al meglio il paesaggio sontuoso che si gode dalla cima di questa isola dove è stata costruita una piccola pagoda. La luce sta inondando la baia come fosse una bacchetta magica, perché è una magia naturale quella che conquista l’occhio e lo spirito. Mi fermo ad ammirare il panorama da tutti i punti di vista, cercando di immortalare il momento con la telecamera. Sull’isola è presenta anche una spiaggia, ma l’acqua è troppo fredda per realizzare ipotesi di bagno. Ritorniamo a bordo e dopo un po’ di navigazione sostiamo in una baia, realizzando insieme alle altre imbarcazioni una sorta di semicerchio, penso per ragioni di sicurezza. L’oscurità sta prendendo il sopravvento e rimango sul ponte fino a cena quando serviranno un altro ottimo pasto a base di gamberoni ed altri crostacei. Mi pare d’essere in paradiso e quale miglior modo di terminare questa favolosa giornata, se non tornando sul ponte, sdraiato su una sedia a rimirare la sagoma delle varie isole!. La sveglia, domattina sarà molto presto, all’alba, con la speranza di godere del sorgere del sole in questo ambiente da favola, tuttavia il tempo nuvoloso impedisce questo ulteriore godimento. Dopo colazione si prosegue col programma delle escursioni che prevede la visita di una piccola baia alla quale si accede attraversando un piccolo arco naturale. Le pareti sono alte ed a strapiombo. L’escursione in questo angolo di mondo sta terminando ed ora stiamo navigando nuovamente in direzione di Halong bay. Il driver ci sta aspettando all’imbarcadero ed insieme a lui si fa ritorno ad Hanoi. Questa sera voglio visitare un buon ristorante e perciò, individuato il Kim Quy, proprio di fronte al lago, mi ci reco. L’ambiente è decadente, ma elegante e con ottima vista. Il viaggio sta terminando e domani è in programma la visita dei siti importanti della città dopodiché ripartirò per l’Italia. La mattina mi reco di buon ora a fare colazione sul lago, dove ho scoperto un buon locale che propone croissant e poi ritorno in albergo ad aspettare Shoan con il quale si parte per il celeberrimo mausoleo di Ho Chi Min. Ad imitazione di quello di Stalin, Lenin e Mao, è un sarcofago di vetro collocato nelle viscere di un monumento che è meta di pellegrinaggio di un sacco di gente e posto in mezzo ad una enorme piazza. All’esterno ci rechiamo alla palafitta dove Ho Chi Min trascorse il periodo che visse in città. Quindi la vicina pagoda ad una colonna, fatta erigere da un imperatore locale circa 1000 anni fa. Prima di lasciare Hanoi nel ’54 però i francesi la distrussero e quella che si ammira è solo la ricostruzione effettuata in seguito dall’attuale governo. E’ ora di entrare al museo di Ho Chi Min, dove sono conservati reperti, documenti e fotografie che testimoniano l’evoluzione del paese verso la libertà. Ultima visita mattutina è il tempio della letteratura ed il tempio Tran Quoc. Il primo è un piacevole rifugio dalle vie di Hanoi ed un raro esempio di architettura vietnamita tradizionale. Fu fondato dall’imperatore Ly Thanh Tong, che lo consacrò a Confucio. Nel 1076 divenne sede della prima università del paese, costituita per educare i figli dei mandarini. Il secondo è situato invece sulle sponde del tranquillo laghetto Tay ed è uno dei più antichi del paese. Una stele del 1639 racconta la storia di questo sito ed all’interno l’atmosfera è mistica, con fedeli che si indirizzano ai vari Dei del fiume, della montagna. Sosta per il pranzo e subito dopo si continua recandosi al museo di storia, molto interessante, con reperti provenienti dai corridoi storici del Vietnam, cominciando dall’epoca preistorica, fino ai tempi moderni, attraverso oggetti di uso quotidiano, utensili ed ornamentali che rispecchiano l’evoluzione artistica dei vari popoli che qui si sono succeduti. Mi sono piaciute in particolare le opere in legno con intarsi in madreperla., gli stupendi vasi e gli incensari. Ci dirigiamo infine al museo etnografico, che ha ricevuto contributi dal museo dell’Homme di Parigi. Ospita una straordinaria collezione di oggetti d’arte e d’uso comune provenienti da tutto il paese, in rappresentanza di ogni gruppo etnico. Al suo interno sono presenti anche dei televisori che illustrano più delle parole, alcune usanze delle varie etnie. Fra tutte le tradizioni locali è l’importantissimo Festival del Tet, il capodanno cinese, dove tutti tornano nei rispettivi villaggi di provenienza a festeggiare e per adorare i defunti che sono sempre presenti negli altari di casa. Nel giardino, esterno al museo  ci sono rappresentate in scala naturale alcune tipiche abitazioni delle etnie vietnamite fra cui le più curiose sono le “long house” su palafitte, lunghe fino a cinquanta metri ed una strana costruzione a cono che si chiude in alto, molto in alto. Il viaggio è terminato e raggiunto l’aeroporto mi imbarco sul mio volo per Hong Kong. Il percorso prevede ora un ulteriore sosta a Parigi, prima di atterrare a Linate, felice di tutte le esperienze accumulate.  

 

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