1995 YEMEN

 Magia dell' archittettura.

 

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Il sito di Baraqish

Fino al 1962 chiuso al turismo (nel sud si è protratto fino al 1990 a causa della presenza dei sovietici) lo Yemen ha in parte conservato le stesse caratteristiche che avrà avuto nel medioevo. E’ stato un viaggio chiaramente culturale, alla scoperta di una regione in passato importantissima per essere stata crocevia del traffico dell’incenso, della mirra nonché di commerci con l’estremo oriente. Da qui le mercanzie andavano ovunque nell’allora mondo civilizzato, in Egitto come in Mesopotamia, Roma. Non esagero nel collocare lo Yemen tra i primi dieci paesi da visitare assolutamente e in uno slancio di passione lo porrei al pari del Nepal come il luogo più affascinante del mondo. Anche in questo caso il viaggio avrebbe richiesto almeno una settimana in più ma purtroppo questo attualmente non mi è concesso perciò ho dovuto visitarlo senza approfondirne troppo alcuni aspetti che mi sarebbe invece piaciuto fare. E’ il 24 di Aprile quando un volo della KLM in partenza da Linate mi porta ad Amsterdam e già alle 8,30 del mattino eccomi nell’affascinante aeroporto olandese di Schipol. Un tempo l’Olanda era una delle più floride potenze commerciali della Terra concorrendo con quella francese ed inglese. Durante la manovra di atterraggio ci si rende conto quanto la terra olandese sia stata strappata al mare e sia estremamente piatta. L’imbarco sul volo internazionale per Sana’a è alle 12.00  perciò ho tutto il tempo per recarmi nella capitale e farvi un giro. Prendo un treno che parte dall’aeroporto e in quindici minuti eccomi alla bella stazione neogotica del XIX° secolo che domina il Damrak, il lungo viale zeppo di negozi che porta al Dam, la piazza principale di Amsterdam. Già ci passeggiai con Gianni nel 91 prima di partire per il Pakistan perciò stavolta decido di regalarmi un tour con una delle barche turistiche  che navigano sui canali della città. Si parte dalla zona portuale fino ad entrare nel primo dei quattro canali concentrici famosi della città, il Princengracht. Subito balza all’occhio la caratteristica tipologia delle case, con la parte più interessante rappresentata dai frontoni che talvolta hanno stemmi molto elaborati. Ogni casa sul canale doveva pagare delle tasse a secondo della larghezza perciò più una casa era ampia, di fronte al canale, più il suo proprietario avrà dovuto essere agiato. Molto belle e colorate sono davvero uniche con quelle travi centrali in alto che consentono poi attraverso l’uso di una carrucola fare traslochi etc. Le scale interne sono piccole, quasi a chiocciola. Passiamo di fronte alla casa museo dove Anna Frank scrisse il suo famoso diario ma non posso fare a meno di notare le numerose barche ancorate alla riva che fungono da abitazioni a una parte della popolazione decisamente un po’ hippy. Ci sono miriadi di ponti e incroci di canali che fanno di questa città una capitale davvero affascinante. L’acqua, con un sistema di chiuse è cambiata cinque volte alla settimana. Ecco ora l’alta chiesa protestante della città con in cima la corona di Massimiliano d’Austria. Passo ora all’Herengracht, il canale residenziale durante il secolo d’oro della città.  I mercanti più facoltosi facevano a gara per costruirvi le loro case. Si sbocca nell’Amstel, il canale fiume che da il nome alla città e da qui si gode una bella vista sulla zona centrale. Il giro è finito ma ho ancora circa un’ora a disposizione perciò decido di raggiungere il Dam attraverso il lungo Damrak. Supero il palazzo della borsa e raggiungo la famosa piazza dove ha sede il Palazzo Reale, inaugurato nel 1655 come Municipio ma poi trasformato in sede reale da Luigi Bonaparte. Oggi la regina Beatrice lo utilizza solo poche volte all’anno per dare il benvenuto alle personalità straniere e per i ricevimenti ufficiali. Proprio di fronte all’edificio c’è una brutta giostra con una specie di disco volante che sale fino a 55 metri regalando a chi lo voglia una buona vista sulla zona ma rovinando completamente tutto il resto. Sono le 11.30 e faccio ritorno all’aeroporto giusto in tempo per l’imbarco. Il volo verso lo Yemen farà uno sbarco tecnico a Jedda in Arabia Saudita per  atterrare a Sana’a alle 22,30 dopo circa otto ore di volo. Fuori mi aspetta  un addetto della Universal tour che mi accompagna al Sun City hotel. Non dormirò un gran che stanotte e domani si partirà per un faticosissimo tour che mi porterà alla conoscenza degli svariati aspetti di questo paese incantevole, appoggiato ancora per una gamba nel medioevo. Alle sei del mattino sono già al quinto piano dell’hotel per fare la colazione. Dalle ampie vetrate dell’albergo si gode una bella vista sulla città. Sana’a come Shibam nell’Hadrhamaut, è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Arriva la mia guida con una Land Cruiser a passo lungo tutta per me. Lui si chiama Shaif e dopo le presentazioni si parte fuori città in direzione di Marib. Come tutti i maschi adulti del paese anche Shaif indossa la jambija, un pugnale ricurvo con la sua fodera all’interno di un cinturone a contatto con la pancia. E’ un vanto, una tradizione vivissima negli yemeniti. Gli uomini vestono quasi sempre una giacca con un gonnone bianco che scende fino alle caviglie. Usciti dalla città già si possono ammirare begli esempi di architettura in pietra. Sono costruzioni recenti ma ricalcano comunque la tipicità dei palazzi di qui con decorazioni in gesso molto elaborate nei piani alti ed intorno alle finestre. La strada sale ed ecco presentarsi un problema che si rinnoverà spesso durante il viaggio: il rifornimento di qat. Il qat è un arbusto che cresce solo qui ed in parte del Corno d’Africa. Produce foglie che se masticate danno uno stato di benessere apparente alla gente. Ci si sente più presenti, svegli e nello stesso tempo ha un leggerissimo effetto allucinogeno. E’ come una droga anche se molto blanda e gli yemeniti ne consumano in quantità industriale. Probabilmente non c’è uomo nello Yemen del nord dove viene coltivato che non sperperi il 20-30-40% di ciò che guadagna in qat che masticherà dalle 14.00 in poi  nelle ore più calde quando la gente qui tira un po’ i remi in barca. La coltivazione del qat è molto redditizia e perciò gli agricoltori ne convertono le originali colture. Nel frattempo abbiamo superato un passo  scendendo quindi dall’altipiano. Già si notano accampamenti di nomadi beduini fino a qualche anno fa pericolosi perché fermavano le auto, rubavano o chiedevano un pedaggio. Ora non è più così ed il presidente del paese, uomo forte da 15 anni, tale Abdullah Saleh ha dislocato blocchi di polizia ovunque nel paese e loro non possono più fare il bello e cattivo tempo. Chiedo a Shaif di poter visitare qualche accampamento ma dice che è davvero molto pericoloso perciò restiamo sulla strada evitando pericolo gratuiti. Stiamo percorrendo una zona desertica in direzione del sito archeologico di Baraqish che già si nota in lontananza, in posizione dominante. Questo sito è un esempio molto bello di storia antica essendo stata per molto tempo capitale del regno Mineo qualcosa come 2.500-2.800 anni fa. Era una città fortezza, con mura alte fino a 14 metri che più per significato difensivo erano costruite per ostentazione di ricchezza. Il regno dei Minei era anch’esso sulla rotta dell’incenso e come quello dei Sabei qui vicino ricavava molto vantaggio dai dazi che faceva praticare alle carovane che vi  transitavano. I regni sul cui territorio passavano le carovane si arricchivano notevolmente e così quello mineo che differenziò un notevole grado di cultura gareggiando in importanza, anche se per breve periodo con quello molto più noto di Saba fino ad essere conquistato da quest’ultimo. Entro all’interno delle mura dove è una guida militare armata di kalashnikov. Ora è un ammasso di rovine tuttavia alcune parti sono rimaste abbastanza integre come una torretta di avvistamento esterno ed il portico di una piccola moschea vicino ad un pozzo profondissimo. Qua e la pietre con iscrizioni in particolarissimi caratteri minei. Molto di ciò che si può ammirare e specialmente le mura esterne sono state ricostruite in epoca successiva ecco il perché della moschea e di altri dettagli più recenti. Ripartiamo  ritornando sui nostri passi per un tratto per poi imboccare di nuovo la strada per Marib ma  prima pranziamo in un localino all’esterno che sarebbe un pugno allo stomaco di qualsiasi igienista convinto. Sistemiamo poi le nostre cose in un albergo vicino per poi visitare la zona che 2.500 anni fa  era una delle più ricche del pianeta. Chi non ha mai sentito parlare del regno di Saba e di Bilqish, la sua famosissima regina!. Sono le due del pomeriggio e fa un caldo torrido mentre visitiamo il primo dei siti chiamato Mahram Bilquis. Shaif ferma la Land e ci inoltriamo per circa 200 metri nel deserto fino a delle colonne che si ergono dalla sabbia. Sono otto e circondate da altre più piccole che danno l’idea di una grande costruzione. Chissà quanto rimane da scoprire ancora occultato sotto la sabbia che possa chiarire  il mistero che tuttora circonda questa costruzione infatti anche se gli yemeniti lo considerano come il tempio di Bilquis è molto probabile che nell’antichità avesse un'altra funzione. Vengo circondato da bambini che cominciano a fare mille domande. Uno di loro ha addirittura un mitragliatore!. Un altro costume di questa gente è infatti di andarsene in giro armati ed almeno uno su tre imbraccia fucili o kalashnikov. Fanno davvero una certa impressione ma… paese che vai usanze che trovi. Non molto distante da qui è un altro sito archeologico che chiamano Arsh Bilquis ovvero il trono di Bilquis ma anche in questo caso sembra invece essere un vecchio tempio dedicato alla dea luna. Questo secondo sito è molto più bello e meglio conservato del primo ma purtroppo è recintato ed è impossibile entrarvi. Lo si può ammirare solo dall’esterno. Ripartiamo per raggiungere le celeberrime rovine della diga di Marib, la grande diga che ha reso possibile la stabilità di un regno  che durò 1000 anni. Grazie alla floridezza dovuta ad un traffico sempre maggiore di merci si ebbe la possibilità di imbrigliare le acque di uno wadi che quando piove scorre in una valle qua vicino. Si costruì una diga enorme che per i tempi di allora era un opera di ingegneria ciclopica. Da un lato all’altro era larga parecchio  e misurava 350 metri fino ad incastrarsi sulla montagna. Da li partivano due canali che portavano l’acqua e quindi la vita ad un numero elevatissimo di altri canali più piccoli rendendo fertile una zona enorme di deserto. Sono visibile le scanalature dove scorrevano le porte che regolavano il flusso dell’acqua. Ci sono anche delle pietre che costituivano la parte iniziale dei canali con iscrizioni sabee ed il tutto, nel suo complesso, è davvero spettacolare. Quando molto tempo dopo la costruzione della diga fu scoperta la ciclicità dei monsoni tutto cambiò e da quel momento le merci che arrivavano dall’oriente e proseguivano fino a quel momento via terra verso nord incominciarono a viaggiare via mare sul Mar Rosso. L’importanza del regno sabeo comincio a declinare. Anche l’uso dell’incenso per i riti pagani dei Romani diminuì per l’avvento del Cristianesimo e tutto questo causò la mancata manutenzione della diga che subì prima dei problemi che vennero risolti ma successivamente la mancanza di fondi portò alla rottura della stessa ed alla fine di questo grande impero di cui parlò anche la Bibbia. La catastrofe fu immane e nulla più rimase di questo floridissimo regno che portò nel periodo di massimo splendore la celeberrima Bilquis (Saba) a far visita ad un altro grande di quel tempo, il famoso Salomone. Si dice anche che un figlio nato dalla loro relazione fu il capostipite della classe regnante in Etiopia (Menelik). E’ difficile paragonare la vecchia diga a quella nuova fatta costruire dal regnante di Abu Dhabi che si dice abbia avuto la discendenza in questi luoghi. Torniamo indietro fino a raggiungere le rovine della vecchia Marib. Per la verità anche se si tratta di case in rovina alcune sono ancora abitate ed è molto emozionante per me girovagare fra questa costruzioni. Sono edifici di fango e paglia dove si rintanano subito le donne quando mi vedono come se potessi far loro chissà che dolore.  Ritorno in albergo concedendomi la cena ed un sano riposo in attesa della giornata durissima di domani quando ci sveglieremo alle quattro del mattino. Alle cinque infatti si parte e ad affiancarci lungo questa difficile tappa c’è un altra jeep guidata da un altra guida questa volta beduina. Attraverseremo infatti il deserto Sabatyn, propaggine meridionale  del più famoso Rub al Kali, il deserto chiamato “il quarto vuoto”  per la sua enormità. Quello dell’Arabia Saudita è il più vasto ammasso di sabbia del mondo. Usciamo da Marib che è ancora buio ma dopo poco ecco in lontananza il bagliore dei pozzi di petrolio scoperti nella zona che potrebbero far uscire lo Yemen dall’arretratezza. La pista si fa sempre più pista fino ad un punto dove improvvisamente, svoltando a destra ci si trova di fronte al deserto e ad infinite dune di sabbia. Sia Shaif che il beduino fermano per controllare i rispettivi mezzi e per sgonfiare parzialmente le gomme. Stanno per iniziare 150 chilometri di deserto e solitudine. Mai provata in vita mia un esperienza simile. Si parte e subito mi rendo conto che senza una guida che conosca il deserto si corre il rischio di terminare l’avventura umana. Si va abbastanza spediti e Shaif si tiene alla distanza di circa un chilometro dalla guida. Appena possibile il beduino sfrutta delle traiettorie lineari e piatte bordate lateralmente da dune. Il fondo sabbioso permette di mantenere una buona velocità. Talvolta si lascia una traiettoria lineare e piatta e si sale sulle dune lungo percorsi apparentemente incogniti e segnati solo dalle tracce lasciate dalla jeep del beduino. E’ emozionante e sto vivendo il vero deserto senza alcuna contaminazione con altri turisti. In questo punto si va con 4x4 e sembra di violare la sacralità del deserto mentre si sfreccia lungo le citate piste fra le dune, pare di volare nell’infinito!. Prosegue così ancora per molto ed il panorama di dune non cambia fino a modificarsi e le dune spariscono. Si crea un grande spazio a sinistra e a destra non c’è più nulla ma solo la sagoma di rocce lontane. Qui si provano sensazioni diverse da quelle del deserto dove le dune in qualche modo quasi sempre limitano lo spazio visivo. Ora andiamo a 100 km/h nel nulla e come in un illusione ottica, in lontananza sembrano esserci dei laghi ma in realtà sono solo i giochi del sole, i miraggi. Si prosegue in questa landa desolata per molto tempo fino a che in lontananza prendono forma gruppi di rocce e quasi di colpo ecco le rovine di Shabwa, un antica capitale della zona. Più avanti sostiamo ad una miniera di salgemma a cielo aperto dove dei lavoratori spaccano la roccia coi picconi per estrarvi il sale che messo poi in sacchi verrà mandato su dei camion nell’Hadrhamawt. Dopo Shabwa il paesaggio cambia in uno scenario lunare di una vastità senza orizzonti. Ogni tanto il segno della guerra civile che ha insanguinato lo Yemen l’estate scorsa. Mezzi centrati da bombe, carri armati come bruciati in mezzo al nulla. La storia di questo paese è stata abbastanza travagliata e dopo dominazioni da parte dei turchi ottomani subì un'altra sconfitta questa volta ancora più subdola con la dittatura degli Imam, capi religiosi che tenevano lo Yemen chiuso nella morsa del tempo. Le comunicazioni non esistevano, automobili neppure e così fino al 1962 il paese si trovava arretrato e con pochissime risorse se non le rimesse degli emigranti in Arabia e nel Golfo Persico. Scoppio la rivoluzione e l’Imam Yahya fu costretto a fuggire a Londra in esilio dove morì. Uno de due figli fu assassinato e l’altro vive ancora nella capitale inglese. Sono forse stati tra gli ultimi regnanti del medioevo. Nacque la repubblica dello Yemen. Il sud si staccò e finì in mano ai russi perché così potevano controllare un porto importantissimo come quello di Aden. Con i russi entrò anche l’alcool che cambiò le loro abitudini di vita. Dopo la Perestrojka la Russia si rese conto che non poteva più tenere questo paese e lo abbandono. Poco tempo dopo lo Yemen si unì ma erano così diversi gli stili di vita!. Il nord era capitalista e filo saudita mentre il sud socialista  e forse anche a causa della scoperta del petrolio scoppiò la guerra nell’estate del 94. Vinse il nord con Saleh. Proseguiamo intanto nel nulla, bersagliati da sensazioni uniche dove si intuisce la grandezza del mondo e la piccolezza dell’uomo.  In lontananza ecco ora delle montagne aspre. Fra un po’ entreremo nell’Hadrhamawt ma prima una sosta per rifocillarci. A questo punto il beduino tornerà indietro a Marib e noi proseguiremo da soli. Subito una bella fabbrica artigianale di mattoni di fango argilloso e paglia stesi a cuocere al sole. E’ con questi mattoni di circa 20 cm di lunghezza che vengono costruite le case su fondamenta di pietra. L’hadrhamawt è un sogno per un viaggiatore perché fino a cinque anni fa nessun turista era mai entrato qui e poi non esiste in nessun altro luogo al mondo un architettura come quella che esiste in questi luoghi. Ogni tanto caratteristici villaggi con moschee i cui minareti si alzano verso il loro Allah. Incontriamo molte donne che lavorano nei campi e portano un copricapo particolarissimo che le fa assomigliare  a delle vere streghe dei fumetti. Ogni tanto qualcuna la si incontra che traina carretti. Di tanto in tanto appaiono dei veri gioielli di villaggi alla base di montagne aspre Mi ricordo in particolare Hawra e Quat ma ce ne sono a decine, grandi e piccoli. La strada è sempre bruttina ed è ormai parecchio che stiamo percorrendo questa valle ma ecco improvvisamente brillare da lontano con la luce del sole che lo inonda Shibam, con Sana’a la più famosa città araba islamica costruita in stile tradizionale. Il paese ha una fitta serie di circa 500 edifici in un aerea di forse mezzo chilometro quadrato. E’ soprannominata la Manhattan del deserto con palazzi alti anche otto piani. I primi grattacieli della storia sono stati costruiti qui. Shibam è una città molto antica ed era già capitale dell’Hadrhamawt nel III° secolo dopo la caduta di Shabwa. E’ circondata da mura di terra. Numerose case sono danneggiate per l’incuria e per le inondazioni che ogni tanto subisce ma l’Unesco tenta di custodire  questo incredibile gioiello dell’umanità. Alloggio intanto nella guest house a 20 metri dall’unica porta d’ingresso nella città. Sistemo le mie cose ed esco subito alla scoperta di questo mondo. Tutto intorno a me, a 360 gradi, edifici di fango con finestre di legno intarsiato. I piani alti sono abbelliti col bianco del gesso e talvolta nelle case più belle ci sono delle sorte di protuberanze esterne alle finestre anch’esse in legno che formano come una gabbia chiamata Mashrabija dove le donne possono vedere quello che succede senza essere scorte. Girovago qui e la ma notando particolari bellissime come anche alcune serrature in legno. La maggior parte dei palazzi risale al XVI° secolo e molti sono stati ricostruiti 100 anni più tardi. Ormai è tardi, sono davvero sfinito e dopo una cena come al solito frugale mi ritiro nella mia camera ma non prima di un buon tè sotto un tetto di stelle da sogno. Il quarto giorno di viaggio inizia un po’ più tardi, alle 8.00. Quest’oggi è in programma la visita di alcune tra le città più famose. Arriviamo a Seyun in circa un ora e parcheggiata la Toyota me ne vado in giro alla scoperta della città. Sayun è il più grande centro della valle con 35.000 abitanti ed era capitale del protettorato settentrionale dell’Hadrhamat negli ultimi anni del dominio britannico. Coniava monete che si possono vedere, insieme ad altri reperti, nel museo del palazzo del Sultano. Dal 1500 vi si insidiò una tribù di nord yemeniti che è rimasta fino ad ora. Naturalmente la visita della città si concentra all’interno del palazzo prima citato, il più sfarzoso degli edifici presenti. La sa visita dura un ora ed è una buona occasione per scattare qualche foto anche dalla sua moschea principale. Passeggiata fra le bancarelle nel vicino mercato e poi si riparte verso Tarim altra grande città qui nei dintorni dove sono state contate 365 moschee. Fa molto caldo e dopo la visita durante la quale noto anche delle costruzioni dall’evidente influsso indonesiano ci rifugiamo nel miglior posto di ristoro di Tarim. Ci servono della carne di cammello che certo non esalta il palato ma è pur sempre un esperienza. Dopo un successivo giro della città ritorniamo sui nostri passi visitando anche una specie di caldaia costruita in un campo ed alimentata a legna. Sulla sua sommità sono poste delle pietre prese dalla montagna che ad altissime temperature diventano gesso, blocchi di gesso. Arriviamo nuovamente  a Shibam e mi rituffo nell’affascinante dedalo delle sue stradine. Con Shaif riesco a visitare l’interno di una delle case . Ogni palazzo è di proprietà di una famiglia che vive da sola o con parte della discendenza perciò le case più alte sono o sono state di dignitari. Di solito il piano terra funge da ricovero per animali, fieno e più sopra ci sono i magazzini, le stanze degli oggetti e poi l’harem, dove le donne hanno la loro privacy che può essere violata solo dal padrone di casa. Sopra infine all’ultimo piano, il mafray, il regno dell’uomo dove si rifugia per masticare il qat. Fuori sta soffiando un vento molto forte e dal tetto si ha un colpo d’occhio impareggiabile sulla campagna semidesertica circostante. Decido di recarmi sulla montagna di fronte alla città dove si dice si possano fare ottime foto su Shibam e attraversato il wadi asciutto mi reco dall’altra parte dove in prossimità dell’acquedotto si ha una visione superba. Sto un ora a contemplare il luogo ed il paesaggio da fiaba. E’ un momento magico. La giornata è finita ma domani sveglia prestissimo, alle quattro, con partenza alle cinque. La tappa sarà durissima e dopo essere tornati indietro per una ventina di chilometri imbocchiamo una pista che percorre il Wadi Doan. E’ una lunghissima vallata desertica circondata ai lati da piccole e grande montagne. Pare di essere in Arizona ma questo è un ambiente incontaminato che il turismo ha toccato marginalmente. Mi viene un idea e per ammirare meglio lo stupendo paesaggio salgo sul portapacchi e telecamera in mano mi faccio tutto il percorso così, padrone del mondo. Sarà un ora e mezzo indimenticabile. Quando voglio che si rallenti picchio sulla carrozzeria ma in alcuni punti a briglia sciolta si va  anche a 60-70 km/h e sopra sto provando delle libidine da liberta incredibili. I paesi, i villaggi che si ammirano sono gli stessi da secoli arroccati alcuni sulle pendici delle montagne. Questo è un tuffo vero nella vera, antica realtà delle cose. Ora sono immerso nel medioevo, io solo in un atmosfera da ritorno al passato. Non si può descrivere!. Eccezionale. Ogni tanto la pista entra in qualche villaggio e vengo preso come un marziano. Talvolta qualche palazzo magnifico di proprietà del personaggio influente della zona. Anche qui le vecchie autorità credo siano riuscite a mantenere nei confronti dello stato una certa autonomia. La valle, il wadi Doan è terminato e il mio sedere a furia di colpi non lo sento più. Inizia la strada asfaltata mentre saliamo verso l’altipiano in mezzo ad un paesaggio affascinate. Sopra poi il nulla. Vegetazione quasi inesistente, vita umana pure. E’ un deserto pietroso che percorriamo per circa 100 chilometri. L’ambiente si spacca talvolta in piccoli canyon e in altri punti dimostra con rocce laviche la sua  origine. Ecco un posto di blocco!. L’altipiano è finito ed ora si scenderà. Ogni tanto qualche tank arrugginito ma non ci si può fermare per documentare perché la polizia potrebbe essere su in alto, su qualche montagna e potrei passare un guaio. Finalmente in fondo ecco il mare. Raggiunta la costa dalla quale ci manteniamo a 300 metri circa continuiamo per altri 50 chilometri fino a raggiungere la città portuale di Mukalla. Ci si ferma un po’ prima, all’hotel Hadrhamawt. Sono cotto dalla stanchezza e la doccia è d’obbligo. Di sera, con un amico di Shaif, si va in città a cenare in un locale tipico all’aperto e finalmente sarà un esperienza culinaria superba. Il pesce lo aprono, spezziano e poi cuociono nello stesso forno sotterraneo dove si prepara il pane. Intendiamoci, il servizio è quello che è, e la tovaglia come sempre finora è un semplice foglio di giornale ma la cena sarà indimenticabile. In una piazza caotica che sembra essere il ritrovo serale di Mukalla tè in un altro localino esterno alla piazza e poi in albergo a dormire perché domattina sarà un'altra levataccia addirittura alle 3.15. Alle 4.00 si riparte dato che dobbiamo tornare alla capitale. Solo alle cinque si vedrà qualcosa della costa che prima frastagliata ora è desertica. Da un lato c’è la spiaggia e dall’altro il deserto. Il paesaggio muta quando lasciamo la costa dello stato di Shabwa per salire in quota. Ad un certo punto, quasi di colpo ecco il primo villaggio di pietra. Per ora li lasciamo perdere dato che domani mi dedicherò solo a loro. Finalmente Shaif acquista il suo qat e lo vedo più felice. Masticherà queste foglie per quattro ore. Ormai sono le cinque del pomeriggio e gli concedo un tè in un localino dove tutti fumano e masticano. Hanno un bolo in bocca in un lato e mentre fumano lo conservano sfoggiando nel frattempo fucili e mitragliatori. C’è uno che assomiglia ad un marine da combattimento. Ha un potente kalashnikov a tracolla, una jambija dentro la cintura ed un cinturino zeppo di pallottole e caricatori di mitra. Se questo si arrabbia fa la strage degli innocenti. Bisogna sapere che ogni agenzia turistica ferma le proprie auto al calar del sole ed invece noi siamo qui a percorrere una bruttissima strada trafficata in condizioni di visibilità pessime. Saranno due i camion che vedremo semicapovolti lungo la strada. Arriviamo a Sana’a alle 21.30 giusto in tempo per gustare un buon filet mignon al ristorante del mio albergo. Sono devastato dalla fatica e non oso immaginare le condizioni di Shaif. Il giorno seguente si parte ad un orario più umano ma sempre alle 7.30 verso i villaggi di montagna.  Ce ne sono a decine ma decido di visitarne tre tra i meglio conservati ed alla fine sarò soddisfatto della scelta fatta. Ecco Shibam del nord e sopra la fortezza arroccata di Kawkaban. Iniziamo dall’ultimo in programma che si apre davanti a noi dopo venti chilometri di salita bella e suggestiva. E’ At Tawila, un piccolo villaggio appoggiato ad un pendio costruito con massi imponenti. Effettuerò una visita accurata salendo sui ripidi sentieri di montagna fino ad avere una visione spettacolare del villaggio. Vago solitario dove voglio permeandomi in un ambiente da medioevo. Scendo poi nella parte vecchia del villaggio con case bellissime di pietre dalle diverse forme che le danno un aspetto variegato. Sono degli edifici splendidi, unici e immersi in un dedalo di viuzze d’altri tempi dove personaggi d’altri tempi sono tutti dediti ad i loro traffici. E’ un esperienza esaltante. Sono emozioni uniche in un ambiente come era di certo un secolo fa. Uomini armati fino  ai denti come al solito. E’ un tuffo indietro nel tempo. Ritorno all’appuntamento con Shaif e ridiscendiamo per poi risalire fino alla fortezza di Kawkaban a 3.000 metri di altitudine. C’è una porta d’ingresso che immette in questa cittadina edificata per servire da fortificazione al paese sottostante di Shibam. Durante i periodi di pericolo gli abitanti venivano evacuati verso la fortezza. Numerose cisterne  scolpite nella roccia raccoglievano l’acqua delle rare piogge e silos venivano riempiti di granaglie durante gli anni di pace. La popolazione era in grado di sopravvivere a crisi di qualsiasi durata. L’unica via per giungere alla fortezza, il ripido sentiero che sale da Shibam veniva difesa facilmente e molti aggressori subivano l’inutilità dei loro fucili davanti alla popolazione che gettava sassi dai dirupi. Fu solo durante la guerra civile degli anni 60 che Kawkaban fu sconfitta come altre fortezze montane dello Yemen. La maggior parte dei suoi edifici fu bombardata dagli aeroplani ed oggi la città è parzialmente distrutta anche se, girovagando, spesso si incontrano palazzi e cisterne intatte.  Ecco un fonduk, un tipico edificio locale riadattato ad alberghetto per ospitare i pochi turisti. Vicino alla porta d’ingresso del villaggio una visione d’altri tempi. Un fabbro sta fabbricando delle forbici e resto 10 minuti ad osservarlo al lavoro. Gliene compro un paio ed ora puntiamo verso Shibam dove pranziamo in un localino. La successiva visita  non mi impressiona più di tanto tranne che per le numerose grotte troglodite che si ammirano arroccate sulle montagne. Il tempo si sta guastando ma riesco ugualmente a convincere Shaif a portarmi a Thula. Intanto a Shibam ho fatto il mio acquisto. Un fucile a canne mozze del 1884, fabbricazione francese. E’ funzionante e un gioiellino. E’ stato fornito dai francesi agli yemeniti per combattere gli inglesi che erano ad Aden. A Thula la pioggia sembra fortunatamente finire ed all’entrata del paese è un affascinante arco di pietra con una delle pietre centrali incise. Anche qui si può vedere una fortezza in cima alla montagna, che serviva agli abitanti del villaggio nei momenti di crisi. Thula è un raro esempio di città degli altipiani dalle case a torri di pietra perfettamente conservata. Non fu mai conquistata nemmeno dai turchi ottomani. Entrato dalla porta occidentale subito mi imbatto in una cisterna d’acqua splendidamente scolpita in una cornice di edifici di una bellezza da pietrificare. Conserverò per tutta la vita questa visione come una delle più suggestive dei miei viaggi. Mi si avvicina un bambino simpaticissimo che mi farà da guida invitandomi persino a casa sua. Non c’e luce elettrica e nel piano inferiore è un tanfo da morire ma salendo tutto ritorna alla normalità. Le stanze sono anonime fino a che mi porta al grazioso mafray. Sbuca anche sua madre con il viso scoperto. Sono tutti e due miti ma consci che non possono farsi sfuggire l’occasione di vendermi qualcosa e così  acquisto loro una kiffa che simpaticamente mi faccio indossare dal bambino. Fuori ha ricominciato a piovere e insieme ad altri suoi amici arrivo ad una piazzetta affascinante. Ecco Shaif!. Sta masticando il qat mentre parla con il padrone di un negozio interessantissimo. Vi comprerò un piatto a muro di alabastro semplicemente straordinario a due lire. Un ulteriore giro sotto la pioggia nei dintorni e quindi si riparte per Sana’a. Porterò per sempre il ricordo di Thula nel cuore. Di sera in albergo sistemerò tutte le mie cose dato che domani è il mio ultimo giorno di viaggio e poi mi reco a cenare al quinto piano dell’albergo. L’ultima sveglia è alle 7.30 dopodiché si parte direzione Wadi Dhar. Usciamo da Sana’a e saliamo fino ad arrivare ad un view point sulla valle sottostante dove oltre alla bella campagna coltivata e al villaggio ecco stagliarsi il famosissimo Dar al Hajar, un sorprendente edificio in cima ad una formazione rocciosa sporgente. Fu costruito negli anni 30 dal dispotico padrone assoluto del paese, l’imam Yahya per essere adibito a residenza estiva. Questo imam mantenne il paese in un arretratezza assoluta senza strade e mezzi di trasporto, solo sentieri, muli e cammelli fino a che nel 1962 una rivoluzione di popolo lo destituì. Tutto intorno si possono vedere le torrette di avvistamento in pietra per tenere sotto controllo la valle. Ora il palazzo è di proprietà del governo e a pagamento è possibile visitarlo come faccio io. La parte esterna è la più interessante con le sue decorazioni mentre l’interno è completamente spoglio. Si torna alla capitale alle 10.30 e Shaif mi lascia in prossimità della porta di Bab al Yaman. Ci rivedremo stasera quando mi accompagnerà all’aeroporto. Percorro parte delle mura che cingono la città vecchia che è letteralmente un museo a cielo aperto. Le mura in origine erano di fango e la parte di pietra fu edificata solo nel 1990. Il mercato nei pressi della porta è un brulicare di gente che parla, urla in mezzo a suoni di clacson. Attraverso le mura ed inizio la visita un po’ a caso tanto, qualsiasi direzione si prende alla fine ci si perde. Visito pian piano suq per suq. Nelle varie parti della città non si trova mai tutto ma sono presenti suq specifici ad esempio c’è la zona delle spezie, dei prodotti d’artigianato e delle jambija, delle scarpe e degli abiti, dei calderai. Come in Nepal qui l’attrattiva è l’architettura delle case che conferiscono a Sana’a un fascino intraducibile a parole. In ogni via, vicolo si può trovare qualcosa per fermarsi ad ammirare. Cerco di scoprire il più possibile comprese le due moschee più belle ed antiche dove però è impossibile entrare. Dopo essermi rifocillato ecco un bellissimo fonduk. Parlo con il proprietario che mi fa salire attraverso i  vari piani fino al tetto e sarà un emozione notevole poter ammirare da questa posizione privilegiata il panorama della città. E’ stata davvero una bella idea. Sana’a è una città che si deve ammirare dall’alto perché i palazzi sono talmente fitti che si è sempre circondati da mura. Ritorno alla porta principale attraverso il suq dei calderai. E’ l’ora del qat e molti commercianti non hanno attenzione che per quello. Qualsiasi attività vene bloccata per la trattativa. Il qat viene trasportato ai suq dove, in una atmosfera di frenesia collettiva, lo si contratta e compra. L’avvenimento del qat è la curiosità più particolare a cui si può assistere nello Yemen. Esco ora dalla Bab al Yaman e percorro tutta la Zabayr street fino al Tay Sheba hotel. Pochi negozi sono ancora aperti perciò la camminata sotto il sole è solo sofferenza. Raggiungo il National Museum ospitato in un vecchio palazzo reale.  E’ il più importante museo del paese. Al piano terra ci sono oggetti europei, al primo piano una mostra permanente della storia dello Yemen preislamico e al secondo piano si propone lo Yemen islamico mentre nel terzo ci sono oggetti e costumi della cultura yemenita. Sono stanchissimo e con i piedi a pezzi. Raggiungo l’ albergo e dopo una tonificante doccia attendo l’arrivo di Shaif giù alla reception e quindi raggiungo l’aeroporto ritornando in Italia. Alcuni oggetti di questo straordinario paese oggi fanno bella mostra nella mia casa rispolverando dalla memoria le intense sensazione vissute nella magia di questo antico regno di Saba. Grazie Yemen!!.

 

 

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