2015  bosnia

In bus per i Balcani

 

E’ la mia seconda volta nei Balcani, ma ora la visita è stata più approfondita, coinvolgente. Parto da Malpensa, con leggero ritardo, alle 7.30 e dopo un ora e un quarto di volo atterro al Cilipi airport di Dubrovnik. Una navetta mi porta fino alla main bus station di Gruz. Non voglio dar inizio alla scoperta della famosa città vecchia senza aver prima acquistato il biglietto per Mostar di domani. Risalgo su uno dei tanti bus che convergono tutti a Porta Pile, l’ingresso principale alla famosa cinta muraria. E’ il maggior vanto della città e considerata la più bella del mondo. Costruita tra il XIII e il XVI secolo, racchiude l’intera città vecchia in una cintura protettiva lunga più di due chilometri, alta fino a 25 metri, con due torri rotonde e 14 torri quadrate. Dopo aver ammirato la fontana di Onofrio, costruita nel 1438, facente parte di un sistema di approvvigionamento idrico che portava in città l’acqua prelevata a 12 km di distanza, percorro lo stupendo Stradun, la strada principale, lastricata in marmo e piena di bei edifici barocchi. Al termine è l’affascinante Palazzo Ponza, in origine ufficio della dogana, poi zecca. In seguito banca, ora ospita gli archivi di Stato. Nel mezzo della piazzetta è presente la Colonna di Orlando, luogo dove un tempo venivano proclamati gli editti. Devio ad angolo retto nella bella Pred Dvorom fino al magnifico Palazzo del Rettore che presenta un bel portico con sei arcate sostenute da colonne e capitelli intagliati. Al secondo livello otto bifore cuspidate, stile veneziano. Non si deve scordare che solo nel XIV secolo Dubrovnik si liberò dal giogo veneziano diventando una repubblica indipendente e sua principale rivale marittima  grazie ai commerci con l’Egitto, la Siria, la Spagna, la Francia. Poco più avanti è la Cattedrale cittadina, barocca e ultimata nel 1713. A tre navate, non detiene alcunché di interessante perciò mi dirigo all’estremità nord orientale della cittadella entrando nel Monastero Domenicano, un imponente struttura trecentesca simile ad una fortezza. Il chiostro è molto bello, con un pozzo centrale in pietra. La chiesa, a una navata con tetto in legno, presenta delle vetrate policrome moderniste. Lateralmente, due tele di Francesco di Mario (1633) e una discesa dello Spirito Santo di Pruzzimus del 1833. Il locale museo detiene molti pezzi di pregio fra cui, nella prima sala, un quadro di Tiziano e tele di pittori locali del 18° secolo. Nella successiva c’è un bellissimo dittico del tedesco Memling, Cristo e la Madonna; una Sacra Famiglia di Lorenzo di Credi, oltre ad ornamenti, gioielli, calici e reliquiari. Per finire tre tele di Bozidanovic e un trittico di Hamric. E’ giunta l’ora di percorrere per completo i bastioni. E’ l’una in punto, il sole punta proprio in direzione delle teste e fa un caldo terribile. Un minuto di raccoglimento a ricordo di ciò che passai in Mali e in Dancalia, in quei forni da 52 gradi e, di colpo, la temperatura si fa più tollerabile. Salgo in cima ai bastioni e comincio ad ammirare la sottostante cittadella con i suoi 824 edifici di cui il 56% fu danneggiato dai bombardamenti dell’esercito e della Marina jugoslave che l’avevano presa d’assedio. Dettagliare del problema balcanico non è semplice neppure per gli addetti ai lavori. Diverse le motivazioni che sono alla base di questi conflitti. La più importante è il nazionalismo imperante nelle diverse repubbliche a cavallo fra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, in particolare in Serbia, Croazia, Kosovo. Influenti anche le motivazioni economiche, gli interessi e le ambizioni personali dei leader politici coinvolti e la contrapposizione spesso frontale fra etnie e religioni diverse (musulmani e ortodossi), fra le popolazioni delle fasce urbane e le genti delle aree rurali e montane, oltre che gli interessi di alcune entità politiche e religiose (anche esterne) a porre fine all'esperienza della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Dopo la ricostruzione, quello che si presenta dinnanzi agli occhi del visitatore è qualcosa di unico. Una selva di vicoli che, dalla parte pianeggiante intorno allo Stradun, sale con gradini inondati dal sole fino a sfiorare i bastioni. Ogni 10-20 metri mi devo fermare per ammirare uno scorcio sempre differente finché giungo alla fine del percorso. Proseguo le visite con la Cattedrale Ortodossa, niente di ché; anche la iconostasi è di fattura recente. Riguadagno i pressi di Porta Pile dove entro nella chiesa barocca di Sant’Ignazio, ad una navata con sull’altare la statua di Cristo fra 4 colonne a torciglione. Gli altari delle cappelle laterali hanno pale abbastanza antiche ma non di pregio rilevabile. Entro ora nel Monastero Francescano, col suo bellissimo chiostro trecentesco. Nel portico, sostenuto da coppie di colonnine con capitelli intagliati, ci sono una serie di lunette affrescate. Nel museo interno si ammirano crocefissi intarsiati, calici d’oro e pietre preziose del XV secolo, reliquiari e qualche dipinto di pregio come un Ecce Homo di  Francesco Francia. E’ giunta l’ora di uscire dalla Porta Pile verso la partenza della cable car, la funivia che porta da un punto subito a nord della cinta muraria fino in cima al monte SRD. Da quì si gode una vista complessiva del gioiello architettonico di Dubrovnik, inserita dall’Unesco fra i patrimoni dell’umanità. Solo verso sud si intravede qualche minuscola spiaggia, per il resto la costa non è adatta alla balneazione. Ritornato a Porta Pile dove passano la maggior parte dei bus, prendo l’8 che in tre fermate mi porta nei pressi della mia Brada guest house dove lascio le cose in eccesso. Ritorno, questa volta a piedi, in centro, passeggiando fra i vicoli pieni zeppi di locali, bar e negozi di souvenir. Centinaia di turisti sono presenti ovunque, alcuni fanno escursioni agli isolotti vicini o per vedere lo skiline della città dal mare. Alle 19.30 mi presento al ristorante Taj Mahal, prenotato durante le visite in mattinata. La cena bosniaca sarà squisita: il Cevapi, salsicciotti di carne macinata serviti in un pane fresco di nome somun con kajmak (densa crema di latte semi-acida) lo bagnerò con una birra bionda locale, la Sarajewski premium. L’indomani, dopo colazione alla main bus station, parto con un bus della Eurolines verso Mostar. Il tragitto sarà interessante, svolto nella prima parte lungo la costa frastagliata che solo talvolta si apre in una spiaggia di sabbia-ciottoli. Il mare ha sfumature multicolori dovute alla giornata, come ieri soleggiata e sgombra di nuvole. Si dovranno presentare ben tre volte i passaporti alle dogane che s’incontreranno, la prima volta dalla Croazia alla Bosnia, poi ancora in un tratto di terra croata per poi ritornare definitivamente in Bosnia, addentrandosi fra le montagne balcaniche. Il territorio è aspro, tutto curve. Dopo 3 ore e 45 minuti eccomi giunto alla bus station di Mostar.  Mostar significa “custode del ponte” e, infatti, l’attraversamento del fiume Neretva in questo punto costituisce da sempre la ragion d’essere della città. Un tempo era crocevia fondamentale per i trasporti all’interno dell’impero ottomano. Nel 1557 Solimano il Magnifico ordinò la costruzione di un imponente arco in pietra in sostituzione di un ponte sospeso sulle acque impetuose della Neretva. Fu considerato un capolavoro dell’ingegneria dell’epoca, poi cadde, colpito da una bomba dell’artiglieria croato–bosniaca nel novembre del 1993. Nel 1995 la città era semi distrutta con 26 delle 27 moschee ottomane rase al suolo. Grazie agli aiuti internazionali è stato possibile ricostruire sia il ponte che l’intero centro storico annoverandolo nel patrimonio dell’Unesco, e ora è tutto qua, dinnanzi a me. Nei pressi del primo ponte osservo le rovine dell’hotel Neretva e poi scendo attraverso l’arteria principale che poi diventa pedonale, ricca di negozi turistici, di bar e ristoranti. La prima moschea, Roznamedzi Ibrahimefendi, dell’inizio del seicento, è l’unica uscita relativamente intatta dai bombardamenti, ma è chiusa alle visite, così proseguo alla successiva Karadozbeg, la più importante di Mostar, costruita nel 1557. Completamente restaurata, ne salgo lo strettissimo minareto raggiungendo la cima da cui si gode una splendida vista sulla città e su alcuni edifici ancora distrutti. Proseguo poi fino alla moschea di Koshi, internamente come la precedente, niente di eccezionale, ma salendo anche qui in cima al minareto si ha la miglior vista in assoluto sul fiume e sul ponte vecchio, il celebre Stare Most. Il panorama è da cartolina e mi sento fortunato di poter vivere emozioni simili. La strada poi si fa più stretta in ciottolato, ai lati case di pietra caratteristiche fino al ponte, famoso in tutto il mondo. Ci sono molti caffè e locali che invitano alla sosta. Io mi compro una granita all’arancio e sosto dopo aver attraversato il ponte nei pressi dell’ufficio turistico, su una panchina al fresco. L’atmosfera è davvero infuocata e ci vuole un po’ di refrigerio. Un’altra breve passeggiata e poi raggiungo nuovamente la stazione dei bus dove alle 15.00 riparto per Sarajevo. Vi giungo alle 17.30 dopo aver viaggiato su una bellissima strada costeggiata da un ampio fiume dalle acque pulite e circondato da colline di un verde intenso. Famosa come la Gerusalemme europea, dato che le tre principali religioni del mondo vi coabitavano, Sarajevo ha subito immense devastazioni fisiche e psicologiche durante gli anni dell’assedio, il più lungo della storia bellica moderna. Il 5 aprile del 1992, la Bosnia Erzegovina veniva riconosciuta come stato indipendente dalla comunità europea, ed entrava a far parte delle nazioni unite. Nel frattempo le forze paramilitari serbo-bosniache e l’armata popolare jugoslava, cominciarono a posizionare un gran numero di materiale bellico attorno alle colline della città. Il 2 maggio del 1992, bloccarono tutte le strade d’accesso a Sarajevo, era cominciato l’assedio. Per quattro anni gli abitanti di Sarajevo sono stati privati di cibo, acqua, energia elettrica e riscaldamento, attraversando momenti drammatici, sotto i continui attacchi dell’artiglieria serba. La via Zmaja od Bosne, che conduce dalla città all’aeroporto, durante l’assedio di Sarajevo, fu soprannominata “viale dei cecchini”. Nascosti nelle colline dei dintorni, i cecchini serbi, sparavano ai civili che uscivano per la strada. Ratko Mladic, comandante delle forze serbe, ordinò di sparare ad oltranza e di mirare ai civili, con lo scopo di ridurli alla follia. Ancora oggi si possono vedere i segni dei proiettili sulle facciate delle case che si affacciano sul viale che ora sto percorrendo col tram n°3 da cui scendo nei pressi del centro valutando di avere ancora il tempo per visitare la famosa moschea Gazi Husrevbey, fatta costruire dall’omonimo governatore ottomano. Il minareto a pianta circolare crea un bel contrasto con l’elegante torre dell’orologio vicina. All’esterno, donne e uomini musulmani pregano in sezioni separate. Con una guida entro all’interno ammirando un bel minbar (pulpito della moschea) e mihrab (la piccola abside che indica la qibla, l’esatta direzione della Mecca). Bene, ora posso girovagare piacevolmente fra le sue vie più caratteristiche, ricchissime di negozietti turistici e di artigianato locale percorrendo la pedonale Saraci e sbucando nei pressi della Bascarsija Dzamija, una moschea del XVI secolo circondata da verdi giardini. Sono all’interno del quartiere turco, un dedalo di cortili e vicoli pieni di laboratori per la lavorazione del rame, gioiellerie e ristoranti dall’aspetto invitante. Non pare d’essere in Europa, ma in quartiere di Istanbul. Giungo alla piazza soprannominata dei piccioni per la nutrita presenza di questi volatili. Al centro è la fontana Sebilj, un elaborata fontana del 1891 con acqua potabile. Dalla piazza mi inoltro nell’affascinante vicolo dei calderai, il Kazandziluk. In due ore ho già visitato la maggior parte del bello di Sarajevo compresa la galerja Esfahan, ricca di mercanti di tappeti. Ora è meglio che mi presenti all’hotel Hayat. Ne esco pochi minuti dopo decidendo di salire fino ad un lookout da cui si può ammirare tutta la zona centrale. Sono stanco e affamato perciò scendo nei pressi di un ponte sul fiume Miljacka dov’è il ristorante Inat Kuca. E’ un istituzione di Sarajevo e occupa un classico edificio di epoca ottomana, arredi antichi ed un gradevole dehors con vista sul fiume dove occupo un tavolo. Ordino una Sarajewska corba (zuppa) con pezzi di carne di vitello, baccelli di una pianta di verdure di nome okra e spezie. Poi un mix di specialità bosniache fra cui i sitni cevapi(pezzetti di carne speziata, carote e riso), dolma (involtini di carne macinata con riso e spezie). Il tutto con la solita Sarajewski premium. Mentre ceno sono vezzeggiato dal rumore delle acque del sottostante fiume e dalle note dei muezzin che richiamano alla preghiera. E’ un momento magnifico che voglio impreziosire, al termine della cena, ammirando prima il vicino Vijecnica con le sue facciate fiabesche in stile neomoresco, l’edificio più bello di Sarajevo, di epoca austro-ungarica. Nato come palazzo municipale, Francesco Ferdinando proveniva da qui quando Princip gli sparò nel 1914 causando la prima guerra mondiale. Divenne in seguito biblioteca nazionale bosniaca, ma durante l’assedio fu deliberatamente colpita da una bomba incendiaria che distrusse circa il 90% della sua collezione di pezzi unici tra manoscritti e libri bosniaci. Quindi completo la visita della zona pedonale, percorrendo la Farhadija, con la sua profusione di locali pieni di giovani e ritorno in hotel. Alle 22.45 altro richiamo alla preghiera che trancia di netto il sonno appena conquistato. Martedì, terzo giorno, dopo una rapida colazione torno sulla Farhadija con la speranza di trovare aperta la Cattedrale Cattolica, di nuova costruzione, con volta a crociera. Carino il presbiterio dove spicca l’altare con nicchie e statue di santi e anche i 5 finestroni istoriati dell’abside. Nulla più! Capto d’essere in giornata fortunata e mi reco anche alla Cattedrale Ortodossa. Anch’essa aperta, nonostante siano solo le otto del mattino. Risalente al 1872 non presenta alcuna sezione di pregio, nemmeno l’iconostasi, ma almeno l’ho vista. Il climax della mattinata era però il famoso tunnel e così, prendendo il tram 3 mi spingo direttamente fino al lontano capolinea di Ilidza dove prendo un taxi che mi porta al piccolo museo del Tunnel. Sarajevo restò praticamente del tutto circondata dall’esercito serbo nei primi anni ’90, tranne il quartiere di Butmir che rimase sotto il controllo dei bosniaci musulmani. Tra Butmir e Sarajevo però correva la pista dell’aeroporto che, sebbene dovesse essere considerata zona neutrale sotto il debole controllo delle Nazione Unite, non si poteva attraversare senza il rischio d’essere uccisi. L’unica soluzione fu costruire una galleria sotto la pista per garantire i rifornimenti di armi e cibo alla città. Oggi il tunnel è in gran parte crollato, ma questo museo ne preserva un tratto di 20 metri che percorro completamente. All’interno della casa sono esposte fotografie che ben illustrano gli orrori di quei 44 mesi di assedio, ed un filmato di 20 minuti che mostra i bombardamenti di Sarajevo e l’uso del tunnel durante la guerra. Bene! Ho visto tutto quello che di importante c’era da vedere, potrei restare anche fino a sera ma, col tempo che mi è rimasto, voglio provare a concedermi un ultima chicca, così riprendo il taxi e poi il tram 3 fino alla bus station dove alle 11.30 riparto con un bus sino a Mostar che raggiungo alle 14.00. Con un altro taxi, per far prima, mi faccio portare fino all’altra bus station, la western, dove salgo su un bus, direzione Medugorje distante solo una ventina di chilometri. Il 24 giugno 1981 sei ragazzi locali ebbero un apparizione nella quale credettero di riconoscere la Madonna. Fu così che il misero villaggio di Medugorje si trasformò in una fiorente meta di pellegrinaggio, il cui sviluppo non si è mai arrestato. Decine di pullman da ogni parte d’Europa scaricano ogni giorno centinaia di fedeli sebbene la Chiesa di Roma non abbia ancora riconosciuto ufficialmente le apparizioni. Non mi permetto di dare un mio giudizio, descriverò solo quello che vi ho visto. Percorso un lungo viale arrivo alla chiesa di San Giacomo con due campanili sobri e anticipata da un bel giardino con fontane dove soddisfare la sete. Entro nella chiesa dove al momento un prete dà messa in italiano. Io sono un amante delle chiese ma ne esco dopo pochi minuti, intuendo che non ci sia proprio nulla che ne meriti una visita più minuziosa. Sul retro è presente un altare all’aperto, di fronte ad una sterminata fila di panchine, probabilmente per più di 20.000 fedeli. Dietro, uno stretto viale alberato con in fondo una statua di metallo del Cristo Risorto alta 5 metri. Talvolta, dal ginocchio destro trasuda “miracolosamente” un liquido trasparente che i pellegrini fanno la fila per raccogliere tamponando con panni appositamente predisposti, come sta facendo questa donna proprio nel momento del mio arrivo. Assisto alla scena, pare in religiosa attesa che qualcosa spurghi per raccoglierlo come una reliquia santa. Non accade nulla e la donna se ne starà sotto il sole implacabile per più di un quarto d’ora, rimanendoci persino dopo la mia partenza. Ora è il momento di farmi accompagnare con un taxi fino alla vicina Podbrdo, la collina delle apparizioni. Sceso dalla vettura comincio a salire lungo una stradina acciottolata che termina subito proseguendo in un sentiero estremamente accidentato e disseminato di pietre aguzze. Ho difficoltà nell’ascesa perché fa un caldo davvero opprimente ma, dopo 15 minuti, ecco il sito, testimoniato da una statua della Vergine recintata vicino alla quale alcuni fedeli si prostrano. Alcuni salgono fin qui a piedi scalzi, come atto di penitenza. E non sarebbe impossibile, in quel caso, che si avesse delle apparizioni. Comunque durante il tempo della mia permanenza non ne ho avute, ho assolto anche a questa visita che non mi ha regalato assolutamente nulla e così riparto, discretamente deluso dall’escursione, anche se onestamente non mi potevo aspettare nient’altro. Ma ho avvertito invece una sensazione chiara di sfruttamento commerciale. Tornato a Mostar, mi registro all’hotel Villa for you e subito dopo guadagno nuovamente la zona dello Stari Most. Scendo al Ristorante Bellavista, proprio di fronte al ponte, dove ceno con Begova corba (zuppa di pollo con verdura e riso) e ancora un Cevapi, bagnati con la birra Karlovacki. Il giorno seguente, l’ultimo, parto un po’ in ritardo rispetto all’ora prevista, alle 7.30, tornando a Dubrovnik. Giuntovi poco dopo le 11.00 prendo il solito bus fino a Porta Pile, addentrandomi per la seconda volta nel suo bel centro storico. Mi è rimasta una chicca da visitare: la War Photo limited, una mostra curata dal proprietario ed ex fotoreporter Wade Goddard che ha lavorato nei Balcani negli anni 90. La rassegna fotografica è davvero straordinaria, ottimamente organizzata fornendo opuscoli illustrati che descrivono nelle varie lingue dei turisti, una ad una le foto presenti. Si comincia con i disordini occorsi in Ucraina tra i filorussi dell’est del paese e i lealisti per poi passare a scene di guerra a Dubrovnil e a Sarajevo. Non ho mai assistito ad una mostra così ben congeniata. Dopo una pizza ritorno in aeroporto, contento di aver aggiunto altre tre perle preziose alla mia ormai sterminata collezione di luoghi meritevoli in questo mondo.

 

Proprietà letteraria riservata. Copyright © 2015 Daniele Mazzardi
Grafica, layout e testi sono di esclusiva proprietà dell’autore. Tutti i diritti di riproduzione riservati. E' vietata la copia su altri siti Web, mailing list, riviste cartacee, cd-rom  e libri senza l'autorizzazione dell’autore. Da questo divieto è esclusa la duplicazione per utilizzo personale.