2023  INDIA - RAJASTHAN

India – Rajasthan

 

Dopo 25 anni, nuovamente in India, l’ultima volta avevo viaggiato nello stato dell’Orissa ed a Calcutta, ed oggi, 6 marzo 2023, eccomi atterrato all’aeroporto internazione Indira Gandhi di Delhi alle 10.35 ora locale dopo aver effettuato una scalo a Jeddah in Arabia Saudita. Sto per iniziare quello che si prospetta essere un grande viaggio, all’interno di una delle regioni più interessanti, il Rajastan. Ad attendermi, Manoj, il manager della Purvanchal rent a car che mi presenta subito colui che sarà il mio driver per tutti gli otto giorni di viaggio, Paul Rajendra, un uomo simpatico e affidabile che saprà essere un ottimo compagno di viaggio. Si parte! Dopo tanti anni, noto subito delle differenze rispetto a quando, 33 anni fa, io e Gianni guidammo da Kathmandu fino a Delhi, costantemente concentrati alla guida, per evitare l”allegra” conduzione degli autisti indiani e nepalesi. Allora percorrevamo il nord, l’Uttar Pradesh, schivando all’ultimo istante le macchine che ci venivano incontro, tranquillamente al centro della strada; ora le cose sono cambiate, e mi sembra che la guida, in generale sia più sicura, e questo è di buon auspicio. Durante il viaggio me ne renderò conto, anche se un conducente italiano potrebbe vivere momenti d’angoscia sulle strade indiane. Il limite di velocità è di 80 km/h sulle highway, e trovarsi di fronte delle mucche, che placidamente attraversano la strada, o anche una vettura in contromano è la normalità assoluta. Incontreremo migliaia di mucche e bufali, liberi di andare ovunque, nell’anarchia più totale. Investirne una vorrebbe dire pagare al suo eventuale proprietario circa 50- 60.000 rupie (più di 600 euro). Comunque, attraverso la campagna indiana e strade spesso con fondo dissestato, comincio a riprendermi, entrando in fretta nel mio personaggio, abituato a disagi d’ogni tipo. Verso mezzogiorno sostiamo in una specie di ristorante turistico dove soddisfo in fretta un certo languorino di stomaco, con un po’ di chicken tikka masala (pezzi di pollo con una delicata e cremosa salsa spezziata di colore arancione a base di pomodoro, panna e curry) e un black tea. Proseguiamo arrivando verso le 17.00 all’Aangan resort, un paio di chilometri fuori Mandawa, prima località del mio viaggio. Sistemo le mie cose e riparto subito con Paul verso il centro cittadino. Mandawa si trovava presso le principali vie commerciali. Fu fondata nel XVIII secolo e fortificata da alcune ricche famiglie di mercanti nel cuore della regione semi-arida di Shekhawati. Patrimonio dell’Unesco è caratterizzata dai suoi haveli. Haveli è una parola di origine persiana che vuol dire luogo racchiuso, dove viveva la famiglia allargata con parenti, e dove complicate decorazioni e intagli davano idea della ricchezza del proprietario. Di solito una grande porta di ingresso immette in una corte esterna dove, su un lato, si apre un salone, in cui il mercante riceveva gli ospiti, che in genere è il più sontuoso della dimora. I primi dipinti che impreziosiscono le facciate erano influenzati dall’arte moghul, con arabeschi floreali e disegni geometrici, poi si passò a vere e proprie iconografie. Domani ne ammirerò alcuni, oltre al forte, la costruzione più imponente di Mandawa. Paul mi presenta a quella che sarà la mia guida locale, che incredibilmente parla un po’ di italiano. Mi dice che in città si sta svolgendo l’Holy festival, come in tutta la regione e mi porta nella piazza principale dove della gente balla, in cerchio, sulle note di canzoni locali. E’ affascinante e sono subito rapito dall’atmosfera che si è creata. In seguito sarò quasi obbligato ad acquistare un loro abito tradizionale bianco, dato che domani si svolgerà la festa vera e propria, durante la quale si tireranno addosso delle polveri colorate, in faccia e sui vestiti, e per evitare di dover buttare poi via il tutto, sarò costretto, per non rischiare, ad indossare questo abito che poi regalerò a qualcuno. Ormai è ora di cena e su consiglio della mia guida andrò al Monika roof top restaurant dove voglio riprovare il chicken tikka masala con un ottimo green tea. La giornata è terminata e Paul mi riporta al resort dove avrò un po’ di difficoltà a prendere sonno, per via del cambio di fuso orario.

7 marzo, 2° giorno di viaggio – Dopo colazione alle 7.00, Paul mi riporta in centro di Mandawa all’appuntamento con la mia guida. Fin dalla metà del XIX secolo gli abitanti di Shekhawati svilupparono l’arte dell’affresco. Prima furono i Rajput a commissionarli per le stanze dei loro palazzi, ma poi anche i Marwari, la comunità mercantile. Le strade di questa regione venivano percorse dai commercianti che provenivano dall’Europa, dall’Africa, dalla Persia. Gli affreschi dei primi haveli risalgono al 1800, ma la maggioranza tra il 1860 e il 1900. I primi rappresentavano temi religiosi, poi decorativi e alla fine anche litografie europee. Parcheggiamo l’auto nei pressi del Forte di Mandawa, ora trasformato in un hotel, patrimonio del Rajasthan. Ovviamente non si può visitarne l’interno, posso solo ammirarlo dal cortile dello stesso. A piedi proseguiamo poi verso il primo haveli, il Radhika, anch’esso ora hotel di ottima categoria. Già sulle pareti esterne, affreschi in ottimo stato di conservazione, pregevole il cortile interno dedicato alle donne (di solito quello più bello degli haveli). Il prossimo sarà il Gulab Raj haveli, costruito nell'anno 1870, che possiede alcuni dei migliori murales di Shekhawati, sia sulle pareti esterne che interne, con elefanti e cammelli sulla facciata. Sono affascinato dalle ottime miniature che ammirerò, di cui Mandawa è giustamente orgogliosa. Questo haveli è stato comprato da una francese e a dicembre diventerà anch’esso un albergo. Proseguiamo le visite col Chow Khan double haveli, ora chiuso, ma dei pregevoli affreschi ne decorano la facciata. Nei pressi è il pozzo di Harlalka, attualmente in disuso e riconoscibile dalla vecchia puleggia e la rampa per i cammelli, c’è anche l’antico lavatoio. Questo pozzo leggendario è più profondo dell'oceano e la gente del posto crede anche che qualunque cosa tu desideri vicino a questo pozzo, si avvererà. Quindi si prosegue con il Jhunjhunwala haveli dove, a destra nel cortile principale, c’è una sala con affreschi dipinti a foglie d’oro. Poi l’Hanuman Prasad Goenka haveli dove viene raffigurato Shiva che cavalca il toro Nandi, e Indra su di un elefante. L'haveli è famoso per le sue bellissime opere d'arte e gli intricati intagli sulle pareti e sui pilastri. Era servito da palazzo per vari reali Rajput e quindi esemplifica perfettamente l'antico stile di vita Rajputana. Le antiche opere d'arte, i murales e le porte ad arco splendidamente scolpite sono sicuramente una delle attrazioni importanti per tutti i visitatori. L'Haveli riproduce anche varie creature mitologiche, tra cui alcuni dei e dee che riflettono l'antica fede e le credenze dei Rajput. Successivamente il Murmaria haveli che raffigura un treno e i suoi binari affollati, mentre un corvo vola basso proprio sopra la vettura. Le immagini, come Krishna, con le mucche, nel cortile inglese, con una giovane Nehru su un cavallo e la bandiera nazionale, mescolano oriente ed occidente. Il prossimo sarà il Goenka Double haveli, costruito nel 1890. Ha una facciata monumentale con affreschi di elefanti e cavalli che ne decorano la facciata, con balconi e nicchie e piani superiori sporgenti con dipinti e disegni raffiguranti donne del Rajastan in abiti tradizionali e motivi religiosi. Per ultimo il Bansidhar Newatia haveli, costruito nel 1921, che combina affreschi tradizionali di cavalli ed elefanti con quelli raffiguranti un ragazzo che usa un telefono, un auto da turismo e l'aereo dei fratelli Wright. E’ anche arricchito con balconi, nicchie e piani superiori sporgenti con disegni e dipinti raffiguranti donne rajastane coi loro abiti. Il city tour è terminato ed ora è il momento di raggiungere la main road, per assistere alla celebrazione dell’Holy festival. Man mano che ci avviciniamo udiamo sempre più forti le note di musiche ad alto volume provenienti da enormi altoparlanti, e infine, orde di persone che cantano e ballano, coi loro costumi saturi di ogni tipo di colore. Mi infiltro tra la folla, fotografando e filmando, ma nessuno osa gettarmi addosso dei colori, meglio così. E’ ora di ripartire, ma prima mi riportano al resort, consigliandomi di non cambiarmi d’abito, dato che per entrare al tempio di Karni Mata di Deshnoke, riuscirò meglio a confondermi, con uno dei loro abiti tradizionali. Mi do solo una sciacquata veloci e si riparte. Lungo la strada, attraversiamo il villaggio di Fatehpur dove chiedo a Paul di informarsi riguardo a due haveli che mi ero annotati e che erano considerati importanti. Infatti, il Devra Haveli Singhania è una degli haveli meglio conservati, una vera galleria d’arte a cielo aperto di proprietà di un riccone che ora abita a Mumbai. Affreschi ottimamente conservati e modanature in legno pregevolmente intarsiate, come le porte. Il successivo, e forse più importante haveli sarà il Nadine le Prince. Nel periodo di massimo splendore della Via della Seta del XIX secolo la famiglia Nand Lal Devra costruì nel 1802 una ricca dimora. I mercanti dell’epoca costruivano le loro case con le fortune guadagnate con l’agricoltura, le miniere di pietra, i tessuti, il commercio e talvolta l’oppio. L’haveli fu abbandonata negli anni Cinquanta, quando il commercio della regione si spostò verso i grandi porti dell’India, fino al 1998. Anno in cui fu acquistata dalla pittrice francese Nadine Le Prince, attratta dalla malinconica bellezza dell’architettura marwari. La storia del Rajastan è davvero affascinante, è lo Stato federato più grande dell'India (342.239 km², il 10,4% dell'area totale del Paese) ed è, con i suoi 68 milioni (2011) di abitanti, l'ottavo Stato più popolato. Comprende gran parte del vasto e inospitale deserto del Thar. Si è formato il 30 marzo 1949 quando la storica regione del Rajputana, dominio della dinastia Rajput venne fatta confluire nel Dominion of India. Terra un tempo divisa tra i principati dei raja in guerra fra loro, di pastori nomadi, fortezze, tradizioni antiche, è un baluardo del tradizionalismo e conservatorismo indiano. Il momento più glorioso di questa regione fu la nascita dei clan guerrieri, i Rajput che dominarono per secoli. Il primo di tutti sembra essere stato il casato di Chauhan ad Ajmer, che dovettero, intorno al XII secolo subire l’invasione dei musulmani provenienti dall’Asia Centrale (Turkistan) che poi dominarono la zona per secoli. Ma nel 1526 arrivò dall’Asia Centrale un altro musulmano, Babur che lo sconfisse ed iniziò l’era dei Moghul. Con la nascita del sultanato di Delhi la storia degli stati Rajput si lega indissolubilmente a esso. Tra i due nacquero molte contese e guerre, ma alla fine nel 1526 il sultano Akbar vinse definitivamente e poi lasciò dopo 50 anni il suo impero al figli Jahangir. Akbar diede libertà religiosa e capì poi che se avesse dato un certo potere anche alla classe dominante locali il suo impero sarebbe stato più stabile. Gli inglesi erano arrivati in India nel XVII secolo insieme ad altri mercanti, attratti dalla fama dei tessuti indiani di cotone e seta e loro dalle nuove armi introdotte dagli europei. Strinsero accordi coi vari Rajput e dopo la fine della prima guerra mondiale, che aveva avuto nell’India un fedele alleato all’Inghilterra, cominciò a muoversi un movimento popolare che sfociò nell’indipendenza, dove al Rajastan venne chiesto se aderire all’India o al Pakistan musulmano. Quando nel 1858 gli inglesi assunsero il controllo del Paese concessero ai re del Rajasthan (maharaja) di conservare titoli e privilegi. Con le elezioni del 1952 anche in Rajasthan arrivò la democrazia. Negli anni Settanta Indira Gandhi abolì titoli, appannaggi, e confiscò proprietà. Così che i maharaja trasformarono le loro fortezze in musei e resort di lusso. Dopo circa 200 chilometri eccoci arrivati nella cittadina di Deshnoke. Non posso nascondere di essere un po’ preoccupato. Nonostante durante i miei viaggi ne abbia viste davvero di tutti i colori, l’esperienza che sto per fare qui si prospetta come una delle più raccapriccianti. Quello che sto ammirando esternamente è il tempio di Karni Mata (reincarnazione della dea Durga), con il suo pregevole portale di ingresso in marmo, intarsiato con disegni floreali. Delle porte in argento massiccio sono state fatte costruire dal Maharaja Ganga Singh con pannelli raffiguranti le varie leggende della Dea, la cui immagine è custodita nel sancta sanctorum. Ma è chiamato anche il “tempio dei topi”. La leggenda narra che Lakshman, figlio di Karni Mata, annegò in uno stagno mentre tentava di abbeverarsi. Karni Mata implorò Yama, il dio della morte, di rianimarlo. Prima rifiutò, ma alla fine Yama cedette, permettendo a Lakshman e a tutti i figli maschi di Karni Mata di reincarnarsi come topi. Mangiare cibo che è stato rosicchiato dai topi, bere il latte a loro destinato è considerato un "alto onore". E’ divieto assoluto di calpestarli. Se uno di loro viene ucciso, deve essere sostituito con un altro di argento massiccio, naturalmente pagato dall’assassino. Questo è Karni Mata, signori, uno dei 30 posti più sporchi del mondo. Lasciate le scarpe, infilatomi delle ulteriori calze pesanti, entro accompagnato da Paul, che invece è a piedi nudi, come la maggior parte dei fedeli all’interno. Un breve tratto obbligato mi porta, alla fine, dopo una decina di metri, di fronte al sancta santorum, luogo a cui non si può accedere e dove comincio a vedere i primi topi che scorazzano liberi al suo interno, con alcuni fedeli in religiosa osservanza della loro “santità”. E’ da questo momento, lasciata questa zona, che entrerò in una sorta di “incubo”. Percorrerò ogni sorta di recesso, aperto o chiuso di questo tempio della pazzia umana, anche nella sua parte superiore. E’ notizia confermata da più fonti che siano presenti circa 20.000 (ventimila) topi. Non ho dubbi che possa essere vero! Ce ne sono ovunque, e nei tratti più stretti che mi porteranno da un breve corridoio ad un altro, alcuni mi saliranno persino sui piedi. Sto attento a non calpestarne alcuno mentre cammino su un pavimento zeppo fino all’incredibile di deiezioni e di alcuni topi morti. Sono come in trans. Alcuni passaggi sono chiusi, e mi trovo alla fine costretto a tornare sui miei passi, imprigionato fra decine di topi che molto spesso lottano fra loro, spiccando salti che inquietano. Ce n’è ovunque, alcuni filano su corrimano, ad altezza d’uomo, e il mio istinto di filmaker mi impone di riprenderli e fotografarli da più vicino possibile, anche a 20 centimetri. In un anfratto, al termine di un tratto buio, e chiuso, c’è una sorta di galleria piena di pezzi di legno con decine e decine di loro, si vedono poco, Paul illumina l’anfratto col suo cellulare, e si sentono, Dio quanto si sentono. Mi vengono i brividi al solo pensiero di entrare la dentro, di sicuro l’inferno sarà così. Un poliziotto mi fa vedere di aver fotografato, proprio in questo luogo un topo albino, fatto considerato di buon auspicio per il proprio futuro. Delle grandi tazze ripiene di latte sono sparse in diversi angoli, mi apposto vicino per foto e film e mi sembra impossibile di trovarmi sulla Terra, in un luogo simile. Ho visto in internet dei filmati dove alcuni fedeli bevono il latte insieme ai topi o mangiano verdure, ortaggi, prima rosicchiati da loro. Dopo le fosse comuni in Zaire, questa è l’esperienza più raccapricciante che abbia fatto. E’ proprio anche l’ambiente che opprime, inquietante, tetro, sporco, angosciante, lugubre. Dopo averne percorso per quasi un ora ogni angolo, esco e prendo finalmente una boccata d’aria, rimuovo con la punta delle dita i calzini di sicurezza e li getto via. Credevo di essermi preparato psicologicamente a questo luogo, ma la realtà ha ampiamente superato le mie aspettative. E’ stata davvero un esperienza allucinante. Dopo un tè e una sigaretta, ripartiamo per Bikaner, la fine della seconda tappa, dove Paul mi lascia all’Harasar haveli hotel, non molto distante dall’attrazione principale della città, lo Junagarh fort. Cenerò al vicino ristorante Desert Winds con la specialità rajastani del Papad ki Sabzi che è un piatto simbolo dello Stato. Una cialda croccante con curcuma, lenticchie, coriandolo in un ricco sugo cotto a fuoco lento insieme a papad (sorta di cialda croccante) e del pane del nord chiamato Lakhha Paratha.

8 marzo, 3° giorno di viaggio – Paul mi viene a prendere dopo colazione, alle 7.45, perché prima dell’incontro con la mia guida locale voglio andare a vedere il vicino Lalgard Palace, palazzo e hotel storico, costruito tra il 1902 e il 1926 in stile indo-saraceno. L'edificio fu commissionato dalla reggenza controllata dagli inglesi per Maharaja Ganga Singh. Il complesso a tre piani è rivestito in arenaria rossa estratta dal deserto del Thar. Nella sala d’ingresso ci sono le statue della regina Vittoria e di Edoardo VII, contiene anche la quarta biblioteca privata più grande del mondo. In un'ala del palazzo risiede la famiglia Reale di Bikaner. Li vicino c’è anche il Palazzo Laxmi Niwas. Si tratta di un hotel di lusso, di proprietà della Golden Triangle Fort & Palace. Passeggio nel porticato interno del Lalgard, ammirando le foto del maharaja, insieme ad ospiti illustri. Ripartiamo verso il tempio di Ratan Mehari, costruito nel 1846 dal sovrano di Bikaner in stile indo - moghul utilizzando marmo bianco, pregevolmente poi traforato. Dedicato al dio indù Krishna, l’interno è meno appariscente della parte esterna, così ci dirigiamo verso il seguente tempio di Laxminath, uno dei più antichi di Bikaner, dedicato a Lord Vishnu e alla sua consorte, la dea Laxmi. Fu costruito dal Maharaja Rao Lunakaran, tra il 1504 e il 1526 d.C. Il tempio è fatto di marmo e pietra rossa importata da Jaisalmer. L'opera d'arte in argento sulla porta è estremamente bella. Il trono di Lord Laxminath si trova nel tempio, che possiede anche un idolo della dea Lakshmi e Lord Vishnu in uno stato di abbraccio. Quindi l’adiacente tempio giainista di Bhandeshwar costruito da Bhandasa Oswal nel XII secolo. Sorge su un alta base con l’ingresso principale sormontato da una bassa cupola sul modello delle musulmane. Il buio santuario è circondato da colonne di legno scolpito con figure che danzano e da variegati disegni dorati. Dentro il mahavir di marmo luccicano migliaia di specchi. Il mandap (padiglione) circolare è decorato da miniature molto ben conservate raffiguranti battaglie, avvenimenti storici locali e parate di elefanti e cammelli.Vorrei descrivere brevemente qualcosa riguardo questa setta religiosa. Mahavira, il fondatore nacque nel 599 a.c. Anche lui, come Buddha apparteneva ad una famiglia facoltosa. Lasciò tutto per predicare il messaggio della non violenza. Andava in giro nudo per testimoniare il suo distacco dalle cose del mondo. Per raggiungere il nirvana (l’interruzione del ciclo della rinascita e della morte) i giainisti praticano il triplice gioiello (giusta fede, corretta condotta e corretta conoscenza). I monaci e le monache Jain pronunciano cinque voti: non essere violento, essere sincero, non rubare, essere distaccato dai beni materiali e celibato. Mahavira si lasciò morire di fame all’età di 72 anni. La sua dottrina dice che tutti gli esseri viventi hanno un anima e sono degni dello stesso rispetto che hanno gli umani. I Jain ritengono che l’universo funzioni secondo una legge eterna di progresso e di declino e quindi non adorano nessuna divinità. Sono vegetariani, ma non coltivano la terra, per non rischiare di uccidere animali. Molti si coprono la bocca per evitare addirittura che insetti ci finiscano dentro, rispettando così tutti gli esseri viventi. Con la guida locale, che ci ha raggiunti, si va ora al forte di Junagarh, dove Paul parcheggia all’interno. Fatto in arenaria rossa, il forte, i palazzi, i templi sono conservati come musei e forniscono informazioni sul grandioso stile di vita del passato Maharana del Rajasthan. Dotato di 37 bastione e sette porte, incominciamo dalla Suraj pol (la porta del Sole), costruita in arenaria color oro o gialla, a differenza delle altre porte ed edifici costruiti in arenaria rossa. Le porte di questo ingresso sono rinforzate con punte e borchie di ferro per impedire lo speronamento degli elefanti di guerra durante un attacco. I palazzi Junagarh hanno un gran numero di stanze, poiché ogni re costruiva il proprio appartamento, non volendo vivere nelle stanze dei suoi predecessori. Queste strutture erano considerate alla pari di quelle della Francia di Luigi XIV o della Russia imperiale. Eccomi nel cortile delle cerimonie, su alcune finestre delle belle piastrelle olandesi di Delft. Da qui si dipartono le entrate di diversi palazzi. Il primo sarà l’Anup Mahal (palazzo), una struttura a più piani, che fungeva da quartier generale amministrativo del regno. Ha soffitti in legno decorati con specchi intarsiati, piastrelle italiane, finestre e balconi a grata fine e alcuni dipinti in foglia d'oro. Il più raro tesoro conservato qui è il Pugal, il trono di legno di sandalo dei re Kanauj, forse il mobile più antico in India . Un altro cimelio è il piccolo letto dai piedi d’argento di Bikaji. Passiamo al cortile del Gaj Mandir Shees Mahal (sala degli specchi), arredata con un letto intarsiato d’avorio, sedie d’argento e credenze di legno. Altri palazzi interessanti saranno il Karan Mahal (con la sala delle udienze pubbliche). È considerato uno dei palazzi più raffinati, con finestre in vetro colorato e balconi finemente intagliati costruiti in pietra. Le mura sono dipinte con lamine d’oro. Il Phool Mahal (Palazzo dei fiori) è la parte più antica del palazzo, e decorato con una elaborata lavorazione di specchi, mentre il Chandra Mahal ha la stanza più lussuosa, che ospita divinità placcate in oro e dipinti intarsiati con pietre preziose. Nella camera da letto reale, ci sono specchi posizionati strategicamente in modo che il maharajah potesse vedere, dal suo letto, qualsiasi intruso che entrasse nella sua stanza. Per finire visito il museo del forte che conserva manoscritti miniati sanscriti e persiani e altre miniature. Molto interessante la collezione di armi storiche, armature e spade con pietre preziose coi nomi di imperatori moghul. Tra questi l’enorme spada a doppio taglio di Rajkumar Padam Singh. Usciti dal museo mi concedo un sandwich al formaggio e un black tea. Saluto la guida e con Paul usciamo da Bikaner puntando dritti per Jaisalmer, la nostra prossima destinazione. Saranno 330 km che copriremo in più di cinque ore. Giunti al Jaisalmer resort, sistemo le mie cose e poi riesco, questa volta con Paul offrendogli la cena al the Golden Fort in centro, da dove si gode una splendida vista sul forte. Ordinerò un chicken tandoori (tandoori è un forno particolare, realizzato in argilla, di forma cilindrica oppure a campana rovesciata) e black tea.

9 marzo, 4° giorno di viaggio – Paul mi viene a prendere alle 8.45 e mi porta all’incontro con la guida, al Gadisar lake, un lago artificiale risalente al XIV secolo. Lungo la riva si possono osservare vari ghat (scalinate sacre che scendono verso l'acqua) e padiglioni a cupola. E’ circondato da piccoli templi e santuari e caravanserragli usati un tempo per ospitare pellegrini. Proseguiamo fino in centro dove lasciamo Paul iniziando la salita verso il forte di Jaisalmer. Costruito nell'anno 1156 da Rawal Jaisal, è arroccato su una collina alta 80 metri, che ospita l'intera cittadina all'interno dei suoi bastioni, il forte dai colori dorati si erge come una sentinella nel desolato paesaggio desertico. È l'unico forte vivente in India, e all'interno dei suoi bastioni ha un'incantevole ragnatela di stradine strette punteggiate da alcuni incantevoli havelis, palazzi e templi Jain splendidamente scolpiti del XII-XV secolo. Jaisalmer è una delle città fortificate meglio conservate al mondo, le sue mura e bastioni si snodano per cinque chilometri e un quarto circa della popolazione ci vive dentro. La salita verso la città vecchia di Jaisalmer e l'ingresso nella fortezza, attraverso il Gopa Chowk, avviene lungo una ripida stradina lastricata che attraversa quattro maestose porte della rocca. Passiamo la prima porta, la Akhey pol, quindi la Suray pol e la Ganesh pol. Si cominciano a vedere dei palazzi stupendi con balconate incredibilmente intarsiate. Infine la Hava pol (la porta del vento), come una sentinella ai palazzi reali, la quale conduce al cortile delle udienze pubbliche. La Chaugan Puda, la piazza principale del forte di fianco al Palazzo del Maharaja. Sulla destra si trovano i palazzi che ospitavano regine e concubine. Entrambi realizzati in pietra arenaria gialla come il resto della città. Palazzo del Maharawal è un intricato susseguirsi di stanze e cortili, come in un insieme di scatole cinesi. Ogni volta che si ha la possibilità di osservare la facciata, non si può non restare affascinati dall'incredibile lavorazione della pietra arenaria gialla, scolpita con un tale livello di dettagli, che si potrebbe pensare di tratti di legno piuttosto che di pietra. Il Palazzo del Maharawal ospita anche il Jaisalmer Palace Museum, dove si può osservare una ricca collezione di oggetti d'epoca, come antichi troni in argento e statue risalenti al XV secolo. Varie finestre e balconate del Palazzo del Maharawal offrono pittoresche viste panoramiche sul Forte di Jaisalmer e sulla città nuova che si estende ai suoi piedi. Il colore dominante è sempre il giallo, per la pietra arenaria utilizzata sia in passato, sia attualmente. Resto incantato da questa piazza i cui palazzi sono così finemente intarsiati che richiederebbe da soli molto tempo per ammirarli appieno. In questa piazza aveva luogo la terribile pratica dello Johar, ovvero del suicidio collettivo delle donne spose e concubine del reggente che, dopo una sconfitta, si immolavano per non farsi catturare dai nemici. Sulla sinistra del Maharawal è una magnifica scalinata di marmo in cima alla quale è posto un imponente trono di marmo bianco per il monarca. Di fianco è situato il Pozzo di Jaisal che si dice sia stato costruito su una sorgente frequentata da Krishna. Scendendo la scalinata, troviamo sulla destra il tempio di Kali a cui venivano offerti sacrifici. Una via stretta fiancheggiata da bellissimi haveli ci apre la vista dei templi giainisti del forte, sono sette, e sono collegati fra loro da vari accessi, scalette interne e intricati corridori. Perseguitati dai musulmani, alcuni jainisti trovarono rifugio nel forte dove costruirono questi templi, fra il XII e il XVI secolo come il tempio di Chandra Prabu nel quale entro. Realizzato nel 1509, è dedicato all’8° Jain tirthankara (titolo che si usa nel giainismo per indicare i 24 profeti che si sono succeduti nei cicli storici per rivelare il giainismo stesso all'umanità e indicano la strada per l’illuminazione) Chandraprabhu e sormontato da numerose cupole chiamate shikara. L’interno è raccolto intorno ad una stanza sferica abbellita da un colonnato. Sulla cupola emergono statue di giovani danzatrici in coppia. C’è anche una piccola stanza dedicata al culto dai monaci. Molte belle le sculture con le ragazze danzanti (absara). Vicino è il Adinath temple adornato da statue quasi a grandezza naturale. Quindi Il Parsvanatha temple il 23° tirthankara. I torana ad arco tra i pilastri, con la loro incredibile bellezza architettonica, affascinano, con i disegni simmetrici dei pilastri e le sculture ornate su di essi. Uno spettacolo mozzafiato. Uscendo, passeggio fra le strette vie del forte, col naso all’insù ad ammirare gli splendidi palazzi dai balconi e finestre splendidamente intarsiati. Sosta alla casa della mia guida per un tea, per poi proseguire visitando un altro tempio giainista, il Kunthunatha temple (17° tirthankara) che ha una struttura maestosa, col suo idolo in marmo scolpito di Kunthunatha. Interessanti incisioni raffigurano storie della mitologia giainista e idoli finemente scolpiti di ballerini e ballerine, absara, musicisti in pose danzanti e pose meditative, come sculture di elefanti e colonne scolpite. Una scaletta porta al Shantinath temple, costruito nel 1536 (16° tirthankara). Il suo idolo è magnificamente scolpito nel marmo. Come in altri templi, anche qui ci sono delicate sculture di elefanti e altre creature mitiche, ballerini, absara e pilastri finemente scolpiti. Il successivo sarà il Shitalnath temple, dedicato al 10° tirthankara. Questo tempio sembra piccolo rispetto agli altri templi di Jaisalmer Fort, ma ha gli stessi pilastri delicatamente scolpiti, con sculture scolpite nella pietra. L'idolo è composto da otto metalli preziosi. Ritornati sulla Chaugan Puda, la piazza principale, entro nel museo del Palazzo del Maharawal ammirando le varie stanze, con gli oggetti del quotidiano di allora, sale destinate alla raccolta di armi. Terminata la visita al forte, ridiscendiamo da Paul, col quale ci si dirige ad uno splendido palazzo, il Patwon Ki Haveli forse l’haveli più spettacolare, la più grande e la più elaborata della città. E’ situata in un vicolo cieco con un imponente porta che attraversa tutta la viuzza. La terrazza dell’ultimo piano offre un panorama mozzafiato su Jaisalmer e il forte . Sono cinque le haveli che compongono questa casa, appartamenti ben distinti, collegate internamente da passaggi e terrazze comuni. Fu realizzato tra il 1800 e il 1869 dai fratelli Patwa, commercianti gemme, oppio e nel complesso è assolutamente straordinario, con le sue finestre, i balconi finemente intarsiati, che richiederebbero persino d’essere contemplate. Ultima visita di questa incredibile piccola città di 58.000 abitanti è un altro palazzo interessante, il Nathmal Ki haveli, la residenza di un primo ministro Diwan Mohata Nathmal. Tutto è finemente scolpito nella pietra, straordinari esterni grondanti di intagli. Prima di tornare in albergo, uno scorcio al Badal Mahal (palazzo della Nuvola), l’attuale casa degli antichi sovrani di Jaisalmer, dove però non è consentita l’entrata e mi devo accontentare del documento fotografico. Giunto al resort, mi concedo un oretta in piscina, prima di tornare con Paul al centro, al ristorante Thakur dove proverò il più famoso piatto della regione, il Rajastani Tali, dove su piatto da portata più grande del solito vengono serviti degli assaggi di tipicità rajastane.

10 marzo, 5° giorno di viaggio – Paul mi viene a prendere alle 8.00, e partiamo subito alla volta della prossima città, Jodhpur. Lungo la strada sostiamo in un resort per colazione con omelette e black tea, proseguendo poi per la nostra destinazione. Giunti a destinazione ci dirigiamo subito in albergo, all’Aarunya Royale da dove riesco quasi subito all’appuntamento con la mia guida locale. Seconda città del Rajasthan per grandezza, con i suoi 850.000 abitanti, è soprannominata anche Sun city per la costante presenza del sole e di tempo sereno, ma anche Blu city per il gran numero di abitazioni dipinte con tinta in blu. Prendiamo subito la strada che sale all’incredibile Mehrangarh Fort, costruzione che sorge in cima ad una altura rocciosa e presenta imponenti mura alte fino a 40 metri che sembrano la naturale appendice delle pareti di roccia sopra le quali sorgono queste colossali strutture. Si sale attraverso una strada dalla città vecchia, giù in basso. Ma prima di giungervi sostiamo al cenotafio di King JaswantThada (chiamato il Taj mahal del Rajastan) che ospita le tombe dei Maharaja. Piccola oasi circondata da un laghetto e da giardini. C’è il crematorio dei re. Il cenotafio è costruito in marmo bianco (come quello del Taj Mahal proviene da Makrana.su un basamento di arenaria è in tipico stile Rajput e sorge al centro di un piacevole giardino. All’interno c’è una piccola galleria con i ritratti dei vari sovrani. Il marmo è così levigato e sottile che traspare la luce del sole. Accanto ad esso ci sono gli altri cenotafi dei successivi quattro sovrani. L’impatto iniziale, arrivandoci, è straordinario, tuttavia, osservandolo da vicino, le modanature e la lavorazione del marmo appare di fattura normale, e l’interno abbastanza spoglio. Nonostante queste considerazioni, fin troppo pignole, nel complesso è un edificio mirabile. Proseguiamo lungo la strada in salita giungendo al parcheggio del forte da dove iniziamo la visita. Questa fortezza è di una bellezza travolgente, soprattutto avvicinandovisi e ammirandone i particolari. Costruita in arenaria rossa, lo stesso materiale di cui è costituita la collina, i bastioni sembrano affiorare dalla roccia e si ergono da 6 a 36 metri di altezza. Eretto nel 1458 dal capo rajput Rathore Rao Jodh, questo forte è stato la residenza dei regnanti e maharaja per centinaia d’anni, finché il palazzo è stato trasformato in museo. Raggiungiamo Jai Pol a nord del forte, un enorme portale, costruito come memoriale della vittoria. La seconda porta reca ancora i segni delle cannonate che indicano la difficile storia del forte. Le porte vennero costruite dietro angoli acuti, in modo che gli elefanti non potessero caricarle e romperle. Salendo la ripida salita troviamo un punto in cui è possibile salire una scalinata per ammirare la città sottostante, un punto panoramico eccezionale. Più avanti è il Sringar Chowk dove si trova il sedile dell’incoronazione coi braccioli a forma di pavone e gli elefanti dorati. Più avanti è la Elephant Howdah room (sala dei palanchini) dove si trova un palanchino d’argento regalato dall’imperatore Shah Jahan a Jaswant Singh insieme all’elefante che lo portava. I palanchini in mostra, che trasportavano i componenti della famiglia reale sono tutti estremamente dettagliati nei loro intagli e decorazioni. Per le donne erano chiusi. Qui si trova la culla reale dell’ultimo maharaja. Ogni nascita reale è registrata nella Jhanki Mahal da cui le donne osservavano gli avvenimenti che accadevano di sotto e da cui si gode un altra vista magnifica sulla città sottostante. L’Umaid Vilas ospita invece una ricca collezione di miniature con raffinati ritratti. Dopo un occhiata alla stanza attigua costruita per la puja e chiamata Sheesh Mahal (sala degli specchi) la camera da letto del maharaja, una vera e propria galleria di specchi, magnifica. Nel piano superiore c’è il delicato Phool Mahal (palazzo Fiore) che fu costruito come sala delle udienze private da Abhai Singh. Alcune pitture murali Ragamala illustrano gli usi e costumi musicali. la sala delle feste private degli uomini. Sopra a un gadi (trono) a forma di divano è appeso lo stemma di Jodhpur. Altra bella vista sulla città sottostante con il contorno di decine di aquile che svolazzano sopra le mura del forte. Nell’Ajit Vilas sono presenti persino le scarpe di perle della concubina preferita del raja Gaj Singh, Anara Begum. Nel successivo Darbar Takhat, la sala del trono, fu tenuto uno degli ultimi durbar (udienze pubbliche). Giungiamo all’ala più antica del forte, e poi giù di nuovo nei pressi della Loha Pol. Qui possiamo vedere le impronte dei palmi delle mani delle sati, le 31 spose del maharaja Man Singh che nel 1843 si immolarono volontariamente sulla pira ardente del marito morto. Alla morte del marito le moglie era solita lasciare la casa e immergendo la mano nel colore rosso l’appoggiava aperta sullo stipite della porta o sull’architrave in segno di devozione. In nessun altro posto come nel Rajastan dei Rajput questa tradizione era così viva e l’importanza del sovrano era testimoniata dal numero di sati che si immolavano. L’oppio veniva usato dalle mogli dei re morti per compiere, in uno stato di quiescenza, il suicidio rituale sulla sua pira. La visita del forte è terminata e torniamo da Paul che ci attende al parcheggio per proseguire il nostro tour, recando all’Umad Bhavan palace, una delle residenze private più grandi del mondo, qualche chilometro fuori dalla città. Prende il nome dal Maharaja Umaid, nonno dell'attuale proprietario, Gaj Singh. Il palazzo ha 347 stanze ed è la residenza principale dell'ex famiglia reale di Jodhpur. Una parte del palazzo è un museo, un'altra, circa il 20 per cento la residenza della famiglia reale e per ultimo un lussuoso Taj Palace hotel, le cui stanze la mia guida dice che costano fino a 5.000 dollari a notte. Noi visitiamo il locale museo, per altro poco interessante. La zona nei pressi dell’entrata all’hotel è presidiata dalla polizia e all’arrivo di un ospite si suona una sorta di fanfara di benvenuto. Torniamo in città, dedicandoci alla visita della città vecchia, cominciando dal Ghanta Ghar, dietro alla Torre dell’orologio. Il più importante bazar della città vecchia, si trova qui, e immerso in un frastuono assordante di voci e clacson di auto e tuk tuk, osservo i variopinti costumi delle donne rajastane dedite alla vendita dei loro prodotti ortofrutticoli. C’è un caos infernale, ma ci sono abituato, d’altronde se ci si facesse caso se ne uscirebbe pazzi in mezzora. Si percorre anche alcune viuzze laterali, ammirando molte edifici che con il loro colore blu danno l’appellativo alla città, fino a giungere al pozzo Toorji ka Jhalra. La sua architettura così perfetta, la sua simmetria, ma soprattutto le persone sedute sui gradoni invoglierebbe a trascorrere qui più tempo, ma decido di terminare qui la giornata e torniamo all’auto, da Paul, che mi riporta in albergo. Doccia, metto a fuoco le idee e decido di cenare al ristorante dell’hotel, con un ottimo paneer tikka e tea e butter nan. Il paneer un formaggio fresco, non stagionato, prodotto con latte vaccino o di bufala cagliato con succo di limone o altro acido e conosciuto come ricotta indiana. In questa ricetta è in cubetti e marinato con spezie e cotto nel forno tandoori.

11 marzo, 6° giorno di viaggio – Ho convinto Paul a partire presto, alle 5.30. A Jaisalmer avevo rifiutato di effettuare come da programma la cammellata nel deserto fuori città, considerandola una turistata ridicola. Il mio progetto alternativo era di contattare qualcuno di coloro soprannominati “cobra hunter”. Affiancarmi a loro e osservare come riuscissero a scovare le tane dei cobra e catturarne almeno uno. Mi rendevo conto della particolarità del progetto, ma parlandone con la mia guida di Bikaner, mi aveva detto che c’era un etnia nomade, i Sepera, che viveva fuori dalla città di Jaisalmer che forse mi avrebbero assecondato. Naturalmente non potevo fare tutto da solo, Paul sarebbe stato il mio interprete e, chiedendo in giro, avrebbe dovuto rendere lo scoop fattibile, ma in città gli dissero che sarebbe stato meglio informarsi nei dintorni di Pushkar, dove d’altronde io sapevo che vivevano anche i Kalbelija gibsy, dei nomadi gitani che catturavano i cobra il cui veleno è usato dalla medicina ayurvedica per prevenire problemi alla vista. Fiducioso in Paul non avevo fatto i conti forse della sua poca determinazione o forse della reale difficoltà nell’organizzare questo mio progetto. Sta di fatto che l’unico modo era di partire presto, guadagnare tempo per giungere a Pushkar in anticipo ed avere più chance di trovare questi Kalbelia, invece si sbaglia strada giungendo in città molto tardi. Mentre con la guida do inizio alla visita di Pushkar, spero che Paul ottenga delle informazioni risolutive. Tutta la cittadina di Pushkar è un luogo sacro e tale sacralità si respira in ogni angolo fra i templi, il bazar e le rive del lago. Non esistono ristoranti che servono carne ed è vietato il consumo di alcool in osservanza al vegetarianismo di matrice indù. E’ vietato fotografare i templi e persino i ghat dove i fedeli compiono le abluzioni. Attraverso la main road, col solito caos di venditori e frastuono, giungiamo al tempio di Brama, uno santuario in India dedicato al Dio creatore, mentre annualmente si tiene la fiera del bestiame più grande di tutta l’Asia. Pushkar è considerata la terra dei templi e si dice che la città ne abbia addirittura più di 500, sebbene non mi appaiano di interesse particolare. La struttura del tempio di Brama risale al XIV secolo, è fatto di lastre di marmo e pietra, con un pinnacolo rosso. Il sanctum sanctorum custodisce l'immagine di Brahma a quattro teste e della sua consorte Gayatri (dea dei Veda). Il tempio è governato dal sacerdozio della setta Sayasi (ascetica). Al tempio, posto su un alto basamento, si accede attraverso una serie di gradini in marmo che conducono ad un portale d'ingresso ad arco decorato con baldacchini a pilastri. L'ingresso dal cancello conduce a una sala all'aperto con pilastri e poi al sanctum sanctorum. Il pavimento di marmo (a scacchi bianchi e neri) e le pareti all'interno del tempio sono state intarsiate con centinaia di monete d'argento dai devoti (con i loro nomi incisi), come segno della loro offerta a Brahma. L'icona centrale raffigura Brahma, seduto in una posizione a gambe incrociate nell'aspetto della creazione dell'universo (la forma Vishvakarma ). Brahma sta cavalcando sulla sua cavalcatura, l'hamsa. L'immagine di Gayatri si trova insieme a quella di Brahma al centro alla sua sinistra. Sarasvati siede alla destra di Brahma, insieme ad altre divinità del pantheon indù. Le immagini del pavone, il monte di Sarasvati, decorano anche le pareti del tempio. Lasciato il tempio ci rechiamo ai ghat sul lago che circumnavighiamo completamente, avendo la possibilità di osservare i riti che vi avvengono, come le abluzioni sacre e persino la dispersione delle ceneri di un morto effettuata dalle mani di una donna (forse la moglie), officiata da un bramino attraverso rituali che nel 2023 appaiono davvero anacronistiche, ma qui siamo in India, signori, e non ci si deve stupire di nulla. Percorrendo poi la lunga main road del mercato, do un occhiata anche al semplice tempio di Gautama Maharishi. Tornati da Paul mi concedo un succo ottenuto spremendo delle canne da zucchero. Purtroppo Paul non è riuscito ad ottenere informazioni sufficienti sui Kalbelia e sono abbastanza arrabbiato. Insisto con lui per informarsi meglio, e alla fine ci indicano alla periferia un gruppo di loro da cui adiamo, attraverso stradine sterrate. L’incontro sembra dare esito fiducioso, ma dopo aver atteso per 45 minuti l’arrivo di colui che avrebbe potuto esaudire il mio desiderio, scopro infine che non se ne può fare niente. D’altronde non è questo il luogo, in ambito cittadino che si possa andare a caccia di serpenti, ma in zona desertica. Me la prendo un po’ con Paul, che da autoctono, avrebbe dovuto muoversi forse in modo più appropriato ed efficiente, ed anche con me stesso, che avrei potuto mettere in campo le mie armi per raggiungere con più tenacia l’obbiettivo. Ripartiamo con un amaro in bocca che conserverò fino alla città di Jaipur, termine della sesta tappa del viaggio, dove risiederò al Yash Regency hotel. Doccia per liberarmi dalle scorie della delusione e di sera cenerò al locale ristorante con un chicken tandoori.

12 marzo, 7° giorno di viaggio – Sbollita la delusione di ieri, mi riconcilio con Paul, e alle 8.00 si parte per il city tour di Jaipur. Capoluogo e città più popolosa del Rajasthan, coi suoi tre milioni di abitanti, la città porta le tracce della famiglia reale che un tempo governava la regione e che nel 1727 fondò la città rosa, così chiamata per il caratteristico colore degli edifici. Cominciamo dalla Hawa Mahal (palazzo dei venti), sulla omonima via, forse il più fotografato della città, l’immagine più simbolica. Questo bel palazzo rosa a cinque piani fu costruito nel 1799 dal Maharaja Sawai Pratap Singh ed è dove le donne della famiglia reale guardavano cosa succedeva in strada attraverso delle piccole finestre. Le finestre dell’Hawa Mahal hanno una forma particolare che permette fondamentalmente due funzioni: poter guardare fuori senza essere visti e far circolare una bella corrente di aria fresca (per questo si chiama il palazzo dei venti). La caratteristica più saliente è il suo esterno, perciò, anche su consiglio della mia guida locale decido di astenermi di visitarne il museo. Nelle vicinanze ci sono anche un paio di incantatori di cobra, che dei turisti si attivano a immortalarne le gesta. Non riuscirò mai a comprendere come si possa abbandonarsi a questo genere di turistate, che in questo caso vedono protagonisti poveri cobra a cui hanno tolto i denti veleniferi. De gustibus! Proseguiamo lunga la strada per l’Amber fort, a 12 km a nord della città, ma prima sostiamo al pozzo a gradoni Panni Meena, una sorta di pozzo con numerosissime file di scale che scendono verso l'acqua, molto simile al Toorji ka Jhalra di Jodhpur. Giunti al parcheggio del forte, cominciamo la visita. Patrimonio dell’Unesco, molti decidono di salirvi a dorso di elefante, ma io ho preferito evitare. L'ingresso principale avviene attraverso la Suraj Pol (porta del sole) che conduce al Jalebi Chowk, il primo cortile principale. Questo era il luogo dove gli eserciti tenevano le parate di vittoria al loro ritorno dalle battaglie, osservati anche dalle donne della famiglia reale attraverso le finestre munite di grata. Questa porta era sorvegliata da un servizio in armi in quanto porta principale di ingresso al palazzo. I reali a cavallo e i loro dignitari entravano attraverso questa porta. In fondo al cortile saliamo al tempio di Sila Devi (incarnazione della dea Durga). L'ingresso al tempio avviene attraverso una doppia porta rivestita con formelle in argento sbalzato. La divinità principale all'interno del sancta santorum è affiancata da due leoni d'argento. All'ingresso del tempio, c'è anche una scultura di Ganesh, realizzata da un unico pezzo di corallo. Il secondo cortile, su per le scale al primo livello, ospita il Diwan-i-Aam o sala delle udienze pubbliche. Costruito con una doppia fila di colonne, è una piattaforma con 27 colonne, ognuna delle quali sormontata da un capitello a forma di elefante, con gallerie sopra di esso. Il Raja teneva qui udienze pubbliche per ascoltare e ricevere petizioni da parte dei sudditi. Il terzo cortile, al quale si accede attraverso la Ganesh pol, era il luogo in cui si trovavano gli appartamenti privati del Maharaja. Impreziosito da mosaici e sculture, il cortile dispone di due edifici, uno di fronte all'altro, separati da un giardino alla maniera dei giardini Moghul. L'edificio a sinistra del cancello di ingresso è chiamato Jai Mandir, che presenta pannelli di vetro intarsiati nei soffitti con specchi multistrato. Gli specchi sono di forma convessa e progettati in modo da brillare luminosi sotto il lume di candela nel momento in cui queste erano in uso. Lo Sheesh Mahal venne costruito dal re Man Singh nel XVI secolo e completato nel 1727. Questo fu anche l'anno di fondazione dello stato di Jaipur. Splendidi giardini aprono nei cortili, come nei pressi del Jai Mandir. Giungiamo al Baradari, realizzato interamente su pilastri; affreschi e piastrelle colorate decorano le camere al piano terra e al primo piano. Questo padiglione, che era dotato di pareti per il riserbo di quanti lo abitavano, veniva utilizzato come sede di incontro con le Maharani (regine della famiglia reale). Tutti i lati di questo padiglione sono collegati a diverse piccole salette con balconi aperti. Il quarto cortile è quello dove si trova la Zenana, in cui vivevano le donne della famiglia reale, tra cui le concubine o amanti. Questo cortile ha molti salotti dove le regine risiedevano e che erano visitati dal re a sua scelta, senza che si sapesse presso quale regina era in visita, dato che tutte le camere si aprono su un corridoio comune. Bene, la visita è terminata, e tornati al parcheggio, torniamo verso Jaipur sostando al Jal Mahal, chiamato anche Palazzo Galleggiante perché sembra galleggiare sulle acque del lago Man Sagar. La storia del lago riale al 1596 quando non c’era un lago permanente ma solo una depressione naturale che si riempie d’acqua dopo le piogge. Non si hanno notizie certe sulla sua origine, ma alcune teorie lo farebbero risalire al 1734. Purtroppo il palazzo non è visitabile. E’ fatto di pietra rossa e alto cinque piani. I quattro piani del palazzo restano sott’acqua ed è visitabile solo il quinto. La giornata prosegue recandoci al Galtaj Ji, il tempio delle scimmie. Il tempio è veramente suggestivo, sembra schiacciato dalle rocce che lo circondano! Nell’area ci sono diverse vasche con l’acqua sacra e qui vengono diversi asceti induisti a fare meditazione. Ovviamente le protagoniste assolute del luogo sono appunto le scimmie! Ce ne sono tantissime! La mia guida mi mostra anche sul suo cellulare una foto che ha realizzato tempo, quando ha scorto in cima ad un anfratto niente meno che un leopardo. Torniamo a Jaipur dove, prima di proseguire, la guida mi offre un famoso cibo di strada locale,il samosa (pasta fritta con un ripieno di patate salate e spezziate). La giornata termina con la visita della zona del City Palace, cominciando con il celeberrimo Jantar Mantar, l’osservatorio all’aria aperta di Jai Singh II, con i suoi enormi strumenti astronomici. Sembra un insolito parco con delle stranissime sculture giganti. In realtà queste strane sculture sono degli elaboratissimi sistemi di misura astronomici. E’infatti un osservatorio astronomico voluto da Jai Singh II nel 1728 ed è tra i più grandi al mondo. Il complesso ha un così grande valore scientifico che l’UNESCO lo ha inserito tra i Patrimoni dell’Umanità. Oltre a misurare i fenomeni astronomici, alcune sculture rappresentano i segni zodiacali. Nel Jantar Mantar si può osservare anche la meridiana più grande del mondo. Molto prossima è l’entrata per il City Palace, un complesso di palazzi, cortili e giardini nel cuore della Città Vecchia di Jaipur. Le mura esterne furono costruite tra il 1729 e il 1732 dal Maharaja Jai Singh II e nel corso dei secoli il complesso è stato ingrandito e riadattato. I palazzi infatti sono tutti di epoche diverse! Qui è anche il Chandra Mahal, la residenza attuale dei discendenti della famiglia reale. Purtroppo il sito è proprietà della famiglia reale e per accedervi bisogna pagare un biglietto salatissimo, 4000 rupie (quasi 50 euro), che mi rifiuto categoricamente di sborsare, considerandolo una presa in giro insopportabile. Saluto la mia guida e con Paul partiamo alla volta della mia prossima destinazione, la mitica città di Agra, uscndo dal Rajastan ed entrando nell’Uttar Pradesh. Vi giungiamo dopo cinque lunghe ore di guida, dopodiché vengo lasciato al mio Surasen Regal Vista. Saluto Paul, dandoci appuntamento a domattina e mi concedo una rigenerante doccia. Cena al ristorante dell’albergo con bocconcini disossati di pollo con una saporita salsa non troppo spezziata e del butter nan.

13 marzo, 8° e ultimo giorno di viaggio – Mi trovo con Paul alle 6.30, dato il sunrise dovrebbe essere il momento migliore per ammirare appieno il monumento che già ebbi occasione di ammirare 33 anni fa, il celeberrimo Taj Mahal (Palazzo della Corona), forse il più bel monumento al mondo. Per visitarlo, si deve lasciare zaini, carta, cibo e acqua all’ingresso. E’ solo permessa la macchina fotografica. Il Taj Maḥal è un mausoleo costruito nel 1632 dall'imperatore moghul Shah Jahan in memoria dell'amatissima moglie Mumtaz Mahal. Patrimonio dell’Unesco e inserito nel fra le “nuove sette meraviglie del mondo”. Da sempre considerato uno delle più notevoli bellezze dell'architettura musulmana. Mumtaz morì nel 1631 dando alla luce il quattordicesimo figlio dell'imperatore, dopodiché ordinò la costruzione del mausoleo per mantenere una delle quattro promesse che aveva fatto alla moglie quando ella era ancora in vita. I lavori di costruzione del, iniziati nel 1632, durarono 22 anni. Tra le 20.000 persone che vi presero parte si contano anche numerosi artigiani provenienti dall'Europa e dall' Asia. Il Taj Mahal venne costruito utilizzando materiali provenienti da ogni parte dell'India e dell'Asia. Oltre 1.000 elefanti e bufali vennero impiegati durante le costruzioni per il trasporto delle materie prime. Il marmo bianco venne portato da Makrana, il diaspro (tipo di quarzo) dal Punjab, la giada e il cristallo dalla Cina.I turchesi dal Tibet, i lapislazzuli dall'Afghanistan, gli zaffiri da Sri Lanka e la corniola dall'Arabia. In tutto 28 diversi tipi di pietre preziose e semi-preziose vennero incastonati nel marmo bianco. L'unico materiale locale utilizzato fu l'arenaia rossa, che decora le diverse strutture del complesso. C’è un percorso obbligato per la visita, che comincia dalla porta principale occidentale, una imponente struttura divisa in tre piani in arenaria rossa e marmo, da cui si accede al giardino interno. L'ingresso ha la forma di un'enorme nicchia semiottagonale sovrastata da un arco ogivale che si trova al centro della struttura. È costruito in modo tale da essere simmetrico, come tutto il resto del complesso. La sua altezza è esattamente la metà dell'altezza del mausoleo.Il complesso architettonico del Taj Mahal copre un'area di circa 580 × 300 metri e si compone di cinque elementi principali: il darwaza (portone), il giardino (diviso in 4 parti), la moschea, la Casa degli ospiti sita dalla parte opposta alla moschea ed infine il mausoleo. L’emozione, varcato il portone è qualcosa che porta persino alla commozione quando, in lontananza, al termine dei giardini, si scorge la mitica costruzione del Taj, come qui lo chiamano confidenzialmente. Vengono i brividi e monta inarrestabile il desiderio di fare in fretta a visitarlo, per paura che qualche imprevedibile motivo, possa impedire di goderne. Il mausoleo è qualcosa che tocca nel profondo, è l’apoteosi dell’arte allo stato puro, cristallino e se ne potrebbe beare per un giorno intero. Ho potuto ammirare centinaia di luoghi straordinari nei cinque continenti, e questo è senza dubbio uno di quelli che ti conferma indubitabilmente che l’esperienza della felicità, l’estasi che se ne prova esiste, e questo è uno di quei momenti che resteranno scolpiti per sempre nella memoria. Percorriamo l'asse centrale dei giardini divisi in quattro parti uguali da due canali che si incrociano nel mezzo. Al suo interno si trovano aiuole di fiori, viali alberati e canali d'acqua che creano un suggestivo effetto riflettendo l'immagine della costruzione alle loro spalle. Ogni quadrato formato dai canali si compone a sua volta di quattro parti (16 in totale) divise da percorsi rialzati pavimentati con pietra. Ora mi ritrovo di fronte al Mausoleo. I quattro minareti, di forma tronco – conica e sono alti 31 metri. Secondo una soluzione tipica di quel periodo, sono leggermente inclinati verso l'esterno in modo tale che, in caso di un forte terremoto, non crollino sulla struttura centrale ma verso l'esterno. Sono coperti da cupole, simili a quelle del Mausoleo. Il percorso vira a sinistra dove è situata la moschea, costruita in arenaria rossa, l'edificio che santifica il complesso ed è il luogo di culto dei pellegrini. Quindi ci sposta a nord del Mausoleo, di fronte scorre lungo il fiume Yamuna. Ammiriamo la parte opposta all’entrata e percorrendo questa sezione, da vicino, si riesce già ad osservare la perfezione degli intarsi operati nel marmo di Maktana. Si prosegue col lato ovest, non sapendo più dove guardare, per poi giungere all’ingresso del Mausoleo, dove la meraviglia colpisce gli occhi, al pare di una manifestazione divina. Ecco i cenotafi dell'imperatore e di sua moglie, a livello della stanza principale, mentre le tombe vere e proprie (quelle contenenti le salme) si trovano nel livello immediatamente sottostante, orientate in modo da essere esattamente nello stesso punto in cui si trovano i sovrastanti cenotafi. Il cenotafio della moglie dell'imperatore è al centro esatto della struttura, mentre quello dell'imperatore è ad un lato, nella parte occidentale. I cenotafi sono circondati da un recinto ottagonale in marmo perforato, in cui ognuno degli otto pannelli di cui è costituito è stato intagliato da una singola lastra marmorea, regalandogli una decorazione con figure floreali. Sono rivolti sull'asse est-ovest, verso La Mecca. Purtroppo, qui dentro, non si può fare foto, e forse è meglio, perché nella foga di dover per forza immortalare ogni cosa, svanirebbe la possibilità di salvare nella mente l’incredibile abilità artistica degli artigiani che hanno saputo realizzare questa magnificenza. Voglio ripetermi ancora, col rischio di risultare noioso, ma gli intarsi che le maestranze di allora hanno saputo realizzare sono una autentica gioia per gli occhio. La corniola, alla luce della minuscola torcia della mia guida, brilla nella sua traslucenza. Si riesce, come inebetiti, percorrendo quindi il lato ovest e la Casa degli ospiti. E’ stata un esperienza unica ed indimenticabile, ma dobbiamo ripartire. Dopo la puntata in albergo per colazione, mi aspetta un'altra visita di rilievo: il Forte di Agra, anch’esso patrimonio dell’Unesco e a 2.5 chilometri dal Taj. Il materiale utilizzato per la costruzione è l'arenaria rossa. Il forte copre una superficie di 380.000 m2 ed ha pianta semicircolare, con il diametro parallelo al fiume e con mura alte 23 metri. Sono intervallate da enormi bastioni circolari, con merli e feritoie. Entriamo attraverso la Amar Sing gate, uno dei capolavori dei tempi di Akbar. Venne costruita intorno al 1568 sia come porta di sicurezza, che formale ingresso per l'imperatore. Fu impreziosita con intarsi in marmo bianco, un ponte di legno veniva utilizzato per attraversare il fossato e raggiungere la porta. All'interno era la Hathi Pol (porta dell'elefante), sorvegliata da due elefanti in pietra a grandezza naturale, che aggiungeva un ulteriore livello di sicurezza. Il ponte levatoio, retrattile e ruotabile a 90 gradi, tra la porta esterna ed interna, rendeva l'ingresso inespugnabile. Proseguiamo, salendo fino a giungere al Palazzo di Jahangir, la residenza più grande del complesso, costruito da Akbar come palazzo privato per suo figlio Jaha. Proseguiamo verso il padiglione Roshanara con i suoi Tetti curvi allungati di tradizione Rajput, marmi traslucidi che filtrano luce ma non calore. e quindi il Khas Mahal o Palazzo Privato dell’Imperatore, con le eleganti pareti marmoree erano un tempo ornate di fiori raffigurati da gemme preziose. Intorno ai giardini gli appartamenti delle concubine al piano superiore e quelli per gli eunuchi all’inferiore. Quindi nella camera da letto di Shah Jahan, un po’ rovinata, d’altronde molto è stato distrutto o depredato dagli inglesi durante il loro dominio coloniale. Stupendo è invece il Musamman Burj l’alta Torre Ottagonale a due piani, costruita da Shah Jahan per la sua amata moglie Mumtaz Mahal. Giungiamo al Diwan-i-Khas o Sala dell’Udienza Privata, stupenda, utilizzata per ricevere illustri visitatori. Il famoso Trono di Pavone era una volta conservato lì, prima che il moghul Aurangzeb lo portasse a Delhi. Di fronte c’è il Mina bazar e il Diwan-i-‘Am o Sala delle Pubbliche Udienze, dove l’imperatore ascoltava le petizioni pubbliche e incontrava i funzionari statali. Sala con numerosi pilastri eretta da Shah Jahan nel 1628. Usciti dal forte la guida mi ha consigliato di visitare un luogo dove abili artigiani realizzano opere di intarsio di pietre semipreziose su lastre di marmo bianco. Conosco il fine ultimo di queste proposte, ma devo ammettere che entrare in quei locali è stato come entrare in un tempio dell’arte della miniatura. Osservare come le minuscole foglie di corniola, lapislazzuli, onice, madreperla e altro, vengono inserite all’interno dei suoi precisi spazi scavati nel marmo bianco, da artigiani abilissimi è un esperienza che fa restare a bocca aperta. Puro non acquistando nulla, faccio una piccola offerta, saluto la guida e insieme a Paul proseguiamo il viaggio verso quella che è la mia meta finale: Delhi. Giungiamo nella capitale politica del paese, quella economica è Mumbai, intorno alle 15.00. Il traffico è intensissimo e perdo già tutte le speranze di permettermi qualche altra visita, ma la guida di Agra, su mia richiesta, mi ha consigliato di recarmi a vedere uno slam, l’R-K-Puram, che si trova sulla strada verso l’aeroporto e così chiedo a Paul di portarmici. Nei pressi, tuttavia è presente anche uno dei siti più famosi della capitale, il Qutb Minar, e dopo aver parcheggiato, ricevo la piacevole visita di Manoj, il dirigente della compagnia, che mi saluta, mi augura un buon viaggio di ritorno e mi omaggia di un gradito regalo. Con una guida locale do inizio alla visita del sito. Il Qutb Minar è il più alto minareto in mattoni del mondo, con una altezza di 72,5 metri ed un diametro di 14,3 metri alla base. Il minareto è composto da cinque piani ed altrettante balconate. Tra i monumenti del complesso archeologico, il minareto è sicuramente il più importante. Dal 1993 è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Il resto sono solo rovine che non attirano la mia attenzione, ma il minareto é fra i più belli che abbia mai visto, insieme a quelli ammirati in Uzbekistan. Sempre con la guida ci rechiamo a pochi chilometri da qui, allo slum R-K-Puram. Non ho molto tempo, ma voglio inoltrarmi ancora una volta in uno di questi luoghi, dove gente senza mezzi trascina la propria esistenza nel disinteresse generale della comunità. Già con la mia guida di Calcutta avevo avuto occasione di osservare aspetti peculiari di questo mondo, ma non si ottiene mai l’immunità emozionale quando ci si inoltra, tra questi vicoli stretti ingombri di immondizia, fra scoli laterali della fogna a cielo aperto e odori densi, opprimenti, di sudore, calore, sporcizia imperante. Qui la gente vive in casupole di fortuna senza servizi igienici, c’è un solo, unico bagno pubblico, dove a turno ci si può docciare ed espletare i propri bisogni corporali. Ma è ora di recarsi in aeroporto dove giungo tre ore prima della partenza. Abbraccio Paul augurandogli un sereno proseguimento di vita, a lui, sua moglie e ai suoi tre figli, dopodiché espleto le asfissianti pratiche indiane di controllo passaporti (ben 5 volte). Il volo partirà con 45 minuti di ritardo alle 21.00 circa, ma tanto a Jeddah dovrò attendere quasi nove ore per il rientro a Milano, perciò non me ne preoccupo. Il viaggio è terminato, sono soddisfatto, avendo ottenuto quasi tutto quello che era nelle mie aspettative, e mi auguro di non dover attendere ancora troppo tempo per concedermene un altro di questa rilevanza.

 

 

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