2019  NAPOLI

La città e i suoi dintorni

 

Sono stati quattro giorni straordinariamente intensi, per certi versi faticosi, ma che mi hanno regalato emozioni a non finire.

Partenza da casa alle 3.50 e, raggiunto l’aeroporto di Orio al Serio, mi imbarco alle 7.00 su un volo per Napoli che atterra con ben 15 minuti di anticipo alle 8.10 all’aeroporto della città partenopea, Capodichino. Un bus della Alibus mi trasferisce a piazza Garibaldi, dov’è la Stazione Centrale, e dove già emerge la realtà di questa città tentacolare. Decine di venditori ambulanti, quasi tutti extracomunitari, invadono le vie limitrofe e si preparano, insieme ad una miriade di piccoli negozietti e bar a sbarcare il lunario. Imbocco Corso Umberto dirigendomi verso la chiesa della Santissima Annunziata, la prima della lunga serie di visite che ho in programma. Fa parte di un vasto complesso monumentale costituito in origine, oltre che dalla chiesa, da un ospedale, un convento, un ospizio per i trovatelli. La facciata è leggermente concava e anonima, l'interno, a croce latina con navata unica e sei cappelle laterali. Come verificherò anche in seguito, il problema di molte chiese è la scarsa illuminazione che impedisce di ammirare appieno l’interno delle cappelle. L’unica che mi è parsa meritevole di menzione, comunque, è la cappella Carafa con un dipinto di Girolamo Santacroce (sec.XVI – Discesa dalla croce). A destra del transetto ci dovrebbe essere anche una Pietà del caravaggista spagnolo Jusepe de Ribera, ma non ci si può accedere. È ancora presto per presentarmi al mio Robby’s House & Breakfast, così mi dirigo in Via dei Tribunali al Pio Monte della Misericordia, una istituzione di carità con più di quattrocento anni di storia. Ancora oggi porta avanti la stessa mission di quando è stata fondata, quella di aiutare i bisognosi, ma è anche museo. A piano strada entro in un ambiente circolare dove sono presenti alcune interessanti pale d’altare, di Giovan Battista Caracciolo, Luca Giordano e Fabrizio Santafede. Ma il must è una straordinaria tela di Caravaggio: le opere di misericordia. Al primo piano è presente una quadreria dove sono raccolte opere dei più grandi maestri della scuola napoletana seicentesca, ma nessuna di queste mi pare meritevole di menzione. Fatto il check in della stanza, proseguo il mio percorso percorrendo via dei Tribunali, che attraversa tutto il vasto centro storico di Napoli. È una delle strade più importanti e battute dai turisti, con centinaia di negozietti caratteristici, bar e locali che propongono ogni genere di squisitezze, dall’immancabile pizza, al cibo di strada, a vari prodotti di pasticceria, come i buonissimi babà. Poche volte, nel mio peregrinare fra le città del mondo, mi è capitato di imbattermi in una profusione simile di esercizi commerciali così caratteristici. Si potrebbe trascorrere ore ad ammirare le prelibatezze e gli oggetti che offrono. C’è persino una Taralleria, con decine di tipi di taralli, un prodotto da forno qui proposto in numerose versioni. E che dire di via San Gregorio Armeno! Sono cento metri che separano via dei Tribunali dall’altra grande arteria centrale, la via San Biagio dei Librai. È una delle vie più pittoresche di Napoli. Larga non più di tre metri, è piena di botteghe artigiane specializzate nella realizzazione dei presepi napoletani che, oltre ai personaggi classici della religione, presentano ambienti e situazioni del contesto sociale locale, con riferimenti immancabili alla società calcio Napoli e ai politici più conosciuti. In questa calca impressionante, e come in molti altri luoghi, starò bene attento ad avvertire qualsiasi tocco sospetto al mio zaino. Passeggiare per le vie del centro storico è un’esperienza entusiasmante e coinvolgente per un turista. Viverci è un'altra cosa, si avverte un senso di oppressione, di caos generalizzato, e persino una vaga sensazione di insicurezza che, a dire la verità, non è mai sfociata durante il mio soggiorno in alcuna situazione critica. Tuttavia, al calare delle tenebre è meglio evitare di entrare nelle migliaia di viuzze strette che paiono essere una costante. Ci si sente oppressi, indifesi, esposti ad ogni genere di pericoli potenziali e con l’impossibilità di uscirne incolumi. Senza parlare che bisogna prestare una costante attenzione alle auto e specialmente ai motorini, abili a districarsi nel traffico di cose e persone, i cui conducenti sono per metà senza casco. Non è infrequente notare padre, madre e figlio su uno stesso scooter, e senza casco fare la gincana fra la gente. In Finlandia, la polizia stradale non li fermerebbe neppure, certi di stare sognando a occhi aperti! Torniamo a parlare dell’aspetto artistico, è meglio. La visita seguente è alla famosa basilica di Santa Chiara, tra i più importanti e grandi complessi monastici della città. Per primo visito il chiostro principale, un ambiente a pianta ottagonale con pilastri maiolicati con festoni vegetali. Anche nei sedili sono rappresentate scene tratte dalla vita quotidiana dell’epoca. In una sala lungo il chiostro è presente un bellissimo presepe del ‘700. Pesantemente danneggiata durante la Seconda guerra mondiale, la basilica è formata da un’unica navata rettangolare, disadorna e senza transetto, con dieci cappelle per lato. Come spesso accade la parte migliore è quella presbiteriale, con monumenti funerari che appaiono tuttavia non in ottime condizioni. Da citare quello di Carlo d’Angiò, duca di Calabria, di Tino di Camaino. Sulla parete di destra è invece il bel sepolcro di Maria de Valois del 1335, sempre del Camaino. Le venti cappelle, dieci per lato, non offrono opere particolarmente significative. Citerei la settima di sinistra, rimasta intatta dai bombardamenti bellici e dedicata a San Francesco d’Assisi, con due sarcofagi della famiglia Del Balzo, entrambi di fattura toscana e la quarta di destra, dedicata a San Pietro d’Alcantara. Breve pausa per un panino e quindi raggiungo la via Toledo, la spina dorsale della città moderna, con numerosi negozi di marche conosciute. La attraverso, dirigendomi verso la caratterista piazza Pignasecca, sede di alcune bancarelle del mercato, alcune delle quali vendono pesce, persino murene. Tornando a via Toledo, la percorro fino a piazza Carità, dopo la quale entro nei Quartieri Spagnoli (sulla destra) una griglia di stradine tra le più trafficate della città, strette, oscure. Si chiamano così perché, nel XVII secolo qui vi alloggiavano le truppe spagnole. Gli edifici, quasi tutti fatiscenti, sono così vicini gli uni agli altri che la luce del sole la vedranno solo per mezzora al giorno, quando il sole sarà perpendicolare su di essi. Il bucato scende dagli stendi sui balconi e si ha l’impressione che basti un salto per balzare da un balconcino a quello opposto. Di tanto in tanto qualche tempietto dedicato alla Madonna, foto di Maradona e di qualche famoso calciatore del Napoli, e una raccomandazione: non perdersi di sera qua dentro, perché questa è una zona povera e densamente popolata. Ridiscendendo via Toledo, ed essendo in anticipo sui tempi, vengo attratto da un avviso apposto all’entrato del Palazzo Zefallos Stigliano (oggi la visita è gratuita) e così decido di anticipare l’entrata, prevista comunque per l’indomani. Ospita un piccolo museo gestito da Banca Intesa San Paolo, attuale proprietaria dell’edificio. Fra le opere esposte, meritevoli sono il Sileno ebbro del Ribera, Cristo e la Samaritana al pozzo del Guercino e il martirio di Sant’Orsola, di Caravaggio. Prossima tappa, la bella Galleria Umberto I, un monumento imponente caratterizzato da una enorme cupola in vetro. Costruita nel 1887, ne ammiro i bellissimi bassorilievi sulle arcate terminali. In uno dei pochi locali presenti al suo interno, non so resistere alla vista dei babà in esposizione e ne acquisto uno. Squisito! Uscito dalla Galleria e ammirato il celeberrimo Teatro San Carlo, sbuco in Piazza Trento e Trieste, famosa ma, in fondo, una semplice rotatoria. Ammiro lo storico caffè Gambrinus e quindi accedo alla adiacente Piazza del Plebiscito con il suo colonnato, ispirato a quello più famoso del Bernini, a Piazza S.Pietro. A dominare però è l’imponente Palazzo Reale. Fu la residenza storica dei viceré spagnoli per oltre centocinquanta anni, della dinastia borbonica dal 1734 al 1861. La facciata è realizzata in mattoni di cotto rosato, piperno e pietra vulcanica. L'Appartamento Reale è posto al piano nobile del palazzo: dal 1660 al 1734 è stato utilizzato come luogo di rappresentanza dei viceré spagnoli e austriaci dal 1734 al 1860 appartamento privato e pubblico dei Borbone e, con l'unità d'Italia, appartamento d'etichetta dei Savoia. Attraverso lo scalone d’onore, definito nel 1729 da Montesquieu il più bello d’Europa accedo ai vari saloni, davvero splendidi, decorati alcuni con arazzi, altri con quadri, mobilia antica e straordinari vasi dipinti di Sevres. Quelle che più mi hanno colpito sono la sala II (sala diplomatica), dove sostavano le delegazioni diplomatiche, ornata da due arazzi di fattura Gobelins, affreschi e arredi, la VI (sala del Trono), la VIII (sala degli ambasciatori) e la XXII (sala di Ercole) con notevolissimi vasi dipinti, di Sevres e Limoges ed infine la Cappella Palatina, utilizzata per la celebrazione religiosa dei Reali. In essa è esposto uno stupendo presepe del XVIII secolo. Terminato il percorso, e sempre in Piazza del Plebiscito, entro nella dirimpettaia San Francesco di Paola, uno degli edifici più caratteristici della città, inspirata al Pantheon romano e con una cupola immensa, ma con ben poche opere da ammirare. La stanchezza sta cominciando ad emergere, i chilometri percorsi sono stati molti, ma questo non mi frena, e raggiungo, nel centro storico la chiesa di San Pietro a Maiella, purtroppo in restauro, perciò mi dirigo verso la vicina San Domenico Maggiore, che divenne la casa madre dei domenicani nel Regno di Napoli e chiesa della nobiltà aragonese. Molto bella a destra la seconda cappella (Brancaccio), che vide all’opera il pittore romano Pietro Cavallini. La quinta di sinistra (San Bartolomeo) dove, sopra l’altare settecentesco è collocata una tela del Ribera e infine l’ultima su questo lato (della Madonna della Neve) con uno stupendo altare marmoreo di Santa Maria della Neve dello scultore Giovanni Nola (1536). Sono presenti nell’edificio alcune opere di Tino da Camaino, ma non credo siano meritevoli di menzione. Resta ancora tempo per l’ultima visita, la chiesa di Gesù Nuovo, sita di fronte all’obelisco dell’Immacolata. Si tratta di una delle più vaste e importanti della città. L’interno è ricco di decorazioni marmoree e con dieci cappelle, cinque per lato. In alcune sono presenti tele di Luca Giordano, ma sono rimasto colpito dal ciclo di affreschi dell’abside, dedicato alla Vergine Maria e realizzato da Massimo Stanzione. Il clima della giornata è stato favorevole, ma sono stanco morto e non vedo l’ora di concedermi una buona pizza. Uno dei luoghi migliori dove gustarla è il ristorante-pizzeria Mattozzi dove la classica pizza margherita mi soddisferà appieno, dopodiché me ne ritorno a piedi all’alloggio.

Lunedì mi sveglio molto presto dato che ho in programma la visita allo straordinario Museo di Capodimonte. A piedi fino in Piazza Dante, sulla via Toledo, dove salgo sul bus 168 che sale sino in cima alla collina dov’è il Palazzo Reale di Capodimonte, residenza reale di Carlo III di Borbone, ed immerso in un enorme parco percorso già dagli amanti del jogging. In esso è presente una delle migliori collezioni d’arte d’Italia ed eleganti pezzi di porcellana di Capodimonte. La visita durerà più di tre ore e saranno molteplici le opere che cattureranno la mia attenzione. Ne cito solo alcune  fra le 100 da me censite: il ritratto del cardinale Alessandro Farmese (Raffaello), la Madonna col Bambino e San Pietro Martire (Lorenzo Lotto), Madonna col Bambino (Perugino), Apollo e Marsi (Jusepe Ribera), ritratto di Carlo V (Bernard Van Orley), Pietà (Hugo Van der Goes), Crocifisso (Van Cleve), San Girolamo e l’angelo (Jusepe Ribera), Giuditta e Oloferne (Artemisia Gentileschi), Giuditta e la fantesca Abra con la testa recisa di Oloferne (Artemisia Gentileschi). Oltre a dipinti, sono presenti arazzi di manifattura napoletana, una quantità impressionante di oggetti preziosi, in argento, oro, avorio, piatti di ceramica cinesi e giapponesi e una straordinaria cesta ornamentale cinese in avorio intagliato della dinastia Qing (1790). È stata davvero un’esperienza realizzante, e felice ridiscendo sino al Rione Sanità dove ho in programma la visita alla sua chiesa più conosciuta, Santa Maria della Sanità.  Questo è uno dei quartieri più poveri della città, e si vede. Attraverso un ascensore posto sul Corso superiore, scendo in questo agglomerato di vie fatiscenti, improponibili di sera. La chiesa si erge sopra il sito delle Catacombe di San Gaudioso. L’interno è a croce greca e con il presbiterio rialzato. Il pavimento presenta in vari punti lastre tombali e decorazioni in marmo. Una pregevole scala marmorea a tenaglia, all’altezza dell’abside, conduce alla parte presbiteriale, sopraelevata rispetto alla navata. Le cappelle sono otto per lato. Nella seconda di sinistra, dedicata a San Giacinto si trova una tela di Luca Giordano (sposalizio mistico di Santa Rosa da Lima – 1671), mentre nella quarta di destra, dedicata alla Madonna del Rosario, è posto il grande polittico del Rosario di Giovanni Bernardino Azzolino (1612). Un panino veloce per pasto e quindi raggiungo il vicino Museo Archeologico Nazionale. Non sono particolarmente attratto da reperti provenienti dall’antichità, sebbene qui siano presenti innumerevoli oggetti dalla collezione Farnese, ma sono fortunato, perché ho saputo che, per alcuni mesi, saranno in mostre delle straordinarie opere del Canova, alcune provenienti addirittura dall’Ermitage di San Pietroburgo. Dopo aver percorso le prime sale, e aver ammirato comunque magnifiche sculture ellenistiche e romane, come l’Artemide Eresia (175 d.c.), Pan e Dafni (2°sec d.c.), il barbaro inginocchiato (1°sec. d.c.), il Toro Farnese (inizio 2°sec. d.c.) mi dedico al Canova, e sarà un’esperienza incredibile. Alcune opere presenti sono addirittura celeberrime. Dall’Ermitage sono giunte, eccezionalmente: la danzatrice con le mani sui fianchi (1812), Amore e Psiche (1787), le tre Grazie (1812), Amorino alato (1814), Ebe (1800). Proveniente dal Paul Getty museum di Los Angeles, l’Apollo che si incorona e altri dal museo di Possagno (luogo di nascita dell’artista). Proseguo le visite con la chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, una delle attrazioni più ricche di mistero a Napoli, il sito di un culto della morte che la chiesa Cattolica vietò negli scorsi anni Sessanta, ma che sopravvive in semi segreto nell’ipogeo dove piccole cappelle polverose ospitano le teche dei morti anonimi che qui si adoravano come intermediari tra il terreno e il divino. L’interno chiesa è a navata unica con corto transetto e quattro cappelle per lato fra cui la sola che mi abbia colpito è la terza di sinistra con la morte di San Giuseppe (di Andrea Vaccaro – 1650). Al successivo museo civico Gaetano Filangeri, allestito nel quattrocentesco palazzo Como, resto amaramente deluso dalla mancanza di tele che, invece, mi aspettavo di ammirare. Tra queste un Domenichino, un Van Dick, un Guido Reni, un Guercino, un Raphael Mengs e persino un Jan Van Eick. Quel che più mi ha sconcertato è che nessuno delle due persone presenti nelle sale, mi ha saputo dare spiegazioni. Inconcepibile! Pazienza! Proseguo con la chiesa Sant’Angelo a Nilo, che conserva al suo interno molti sepolcri di esponenti della famiglia Brancaccio. L’interno non è affatto entusiasmante, ma il monumento funerario che la rende famosa è davvero notevole. Opera di due artisti celeberrimi come Donatello (che realizza il rilievo dell’assunzione della Madonna) e di Michelozzo (tutto il resto). La successiva è una chiesa oggi sconsacrata e divenuta museo, la Cappella San Severo, nella quale sono conservate opere di rilievo come il monumento a Giovan Francesco di Sangro (Antonio Corradini – 1752), la pala della Deposizione, sull’altare maggiore (Francesco Celebrano e Paolo Persico – 1760), il Disinganno (statua di Francesco Queirolo – 1753), oltre alla più famosa di tutta, una delle più straordinarie sculture mai ammirate: il Cristo velato (Giuseppe Sanmartino – 1753). Per finire in bellezza, mi reco al Duomo, la cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta, contornata da portici. La facciata presenta una struttura a salienti con tre portali gotici ornati da sculture in marmo. Quello centrale è sostenuto da leoni stilofori consumati dal tempo, di Tino di Camaino. L’interno ospita cinque cappelle per lato, e la prima che visito è quella che chiude prima, la Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, un bell’esempio di architettura barocca napoletana. Le decorazioni pittoriche e ad affresco dell’interno sono eseguite principalmente dal Domenichino e dal Lanfranco. L’altare maggiore è stato realizzato da Francesco Solimena, e incornicia uno stupendo paliotto d’argento raffigurante la traslazione delle reliquie del Santo, da Monte Vergine a Napoli. Dietro l’altare (perciò non visibili) due nicchie con sportelli argentei custodiscono le ampolle del sangue di San Gennaro. L’organo di sinistra è il più antico della città (1649). Tutta la cappella è circondata da 18 sculture bronzee con, nella posizione centrale, dietro l’altare maggiore, il San Gennaro seduto del 1645. Esco, e proseguo con l’osservazione del transetto coperto da un soffitto a cassettoni ligneo. Qui si aprono quattro cappelle delle pareti frontali e quattro in quelle presbiteriali. A sinistra, interessante è l’affresco dell’Albero della Vita, di Lello da Orvieto e il cenotafio di Innocenzo II, realizzato da Tommaso Malvito. Sulla parte destra, la pala dell’Assunzione del Perugino. La zona absidale non mi entusiasma, e così mi dedico alle cappelle del lato sinistro, ricche di sculture e dipinti, non di pregio assoluto. La giornata è stata ricca di soddisfazioni culturali e, come ieri, sono riuscito a guadagnare tempo prezioso che mi potrà consentire di inserire nel programma di visite di domani anche il celebre sito archeologico di Pompei. Ma per ora non voglio pensarci, le piante dei piedi mi fanno male e avverto un certo languorino allo stomaco, perciò mi dirigo all’Osteria La Chitarra, nei pressi dell’università. La cena sarà perfetta. Di primo un ottimo risotto alla napoletana (riso con pomodori e provola di Sorrento), di secondo baccalà con ceci e crema di latte, davvero gustoso. Il tutto bagnato da un Falanghina del Sannio 2017 di 13.5° della cantina del Taburno.

L’indomani, sveglia all’alba, voglio arrivare a Pompei presto per non dovermi sorbire la fila all’ingresso. Mi reco alla stazione della Circumvesuviana dove salgo sul treno che in mezzora circa mi porta a Pompei. I cancelli aprono alle 9.00 e io sarò il terzo della fila. Dietro premono già alcuni gruppi di cinesi e francesi. Pompei, un tempo era un centro fiorente della Campania romana. Subì l’influenza di greci ed etruschi, poi divenne fedele alleata di Roma. Il 24 agosto del 79 d.c. ci fu la grande eruzione del Vesuvio. Erano giorni che il vulcano espelleva fumo e cenere e questo aveva permesso alla maggior parte degli abitanti di andarsene. Su una popolazione di circa 20.000 abitanti solo 2.000 perirono, asfissiate, bruciate o seppellite dalla cenere. Il sito è enorme e forse necessiterebbe ben più di mezza giornata per visitarlo tutto, ma a costo di apparire superficiale mi sento di affermare che i punti di reale interesse non sono moltissimi. In realtà si deve usare molta immaginazione per comprendere la reale opulenza di alcune ville, teatri e spazi, ora ridotti davvero ai minimi termini. È un luogo per gli amanti dell’archeologia, ben poco si è conservato fruibile piacevolmente dai turisti. Potrei essere tacciato di blasfemia a parlare così ma, come sempre, amo essere onesto, e questa è stata l’impressione che ho avuto. Si sviluppa con vie parallele e perpendicolari percorrendo le quali, quasi sempre si osservano solo ruderi e fondamenta che un tempo erano negozietti di ogni genere. Lavorando di fantasia, magari si può immaginare il fornaio che sta impastando il pane, o l’artigiano intento a lavorare il ferro o il legno, ma ci si deve sforzare parecchio. Inoltre, il percorso è ostico, le vie sono strette e coperte da selciato irregolare che obbliga a prestare massima attenzione per non slogarsi le caviglie, non c’è alcun riparo dal sole e in piena estate questa visita potrebbe rivelarsi una sofferenza assoluta, pentendosi di averla fatta. Se a questo si aggiunge l’incredibile flusso di turisti, la maggior parte in gruppi di dieci, venti persone che colonizzano per completo i tre metri di via o i resti di quella che era considerata una magnifica villa che ci si aspetterebbe di visitare, si può immaginare quanto la tortura possa risultare insopportabile. Non ho problemi a dichiarare le spallate date a qualche turista giapponese intento a fotografare un masso, una porzione di affresco irrimediabilmente perduto, oppure i resti di una vasca (irriconoscibile) nella dimora semi distrutta di qualche riccone del tempo. Certamente non sono mancati punti interessanti, specie nella parte iniziale del percorso, nei pressi dell’ingresso. Fra essi citerei il tempio di Venere, i resti della basilica e la zona del Foro con il vicino tempio di Giove, e ancora il Foro triangolare, il Teatro Grande e il quadriportico dei teatri, la casa del lupanare. Solo a scriverne mi sto annoiando, perciò vorrei passare oltre. Mi rendo conto che per visitare questi siti sarebbe appropriato avvalersi di una guida, che sia in grado di fornire un affresco più godibile del sito, ma a me piace viaggiare solo e questo è un inconveniente del mestiere. Il mio giudizio è stato troppo negativo? Forse! Ma sfido la maggioranza dei turisti che ci sono stati ad affermare, senza ipocrisia, che sono rimasti impressionati positivamente da questo che, in effetti è composto dal 90% di rovine. Finalmente esco, trangugio una metà pizza comprata in un chiosco di fronte all’ingresso, mentre acquisto il biglietto di andata e ritorno per il Vesuvio. Ebbene sì! Impensabile durante la programmazione iniziale, riuscirò anche a togliermi questa seconda soddisfazione, sebbene sia già salito fino in cima qualcosa come 35 anni or sono con Gosia, mia moglie. Un pulmino mi porta, insieme ad una quindicina di altri turisti, fino ad una sorta di parcheggio, pieno di pullman turistici, all’ingresso del Parco Nazionale del Vesuvio. Acquistato l’ingresso comincio il breve trekking di mezzora che mi porterà a vari lookout sui bordi del vulcano. Bene! Anche questa è fatta e, ritornato alla stazione di Pompei, rientro a Napoli scendendo questa volta in Piazza Garibaldi dove prendo la metro 1 fino a Piazza del Municipio da dove raggiungo la sorprendente chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, una delle più rilevanti testimonianze del Rinascimento toscano a Napoli. L’interno è a navata unica e senza transetto, con cinque cappelle per lato che comincio a visitare dalla prima di sinistra, dove vengo attratto irresistibilmente dal bassorilievo della Natività con S. Giacomo e S.Giovanni di Antonio Rossellino (1475), bellissimo anche il monumento funebre di Maria d’Aragona, scolpito niente meno che da Benedetto da Maiano (1480) e il bassorilievo della Crocifissione realizzato da Guido Mazzoni (1550). La prima del lato destro è anch’essa superlativa, con l’altare marmoreo dell’Annunciazione, di Benedetto da Maiano (1489). Nell’ultima cappella, dell’Assunta un incredibile Compianto su Cristo morto, un gruppo scultoreo realizzato in terracotta da Guido Mazzoni (1492). Per finire, nella sacrestia vecchia, affrescata dal Vasari, bellissime tarsie lignee eseguite da Fra Giovanni da Verona (1510). La visita seguente la effettuo alla basilica di San Lorenzo Maggiore, tra le più antiche della città. Le cappelle sono otto per lato. La seconda di destra presenta una Madonna del Rosario di Massimo Stanzione, mentre la terza possiede un bellissimo polittico rinascimentale in terracotta di Domenico Napoletano con scene della Madonna col Bambino, S.Rocco e S.Marso. Nel lato sinistro del transetto, due tele di Mattia Preti (Madonna con Bambino e Sante francescane e Crocifisso adorato da San Francesco - 1657). La zona absidale è un bell’esempio di gotico francese, con uno stupendo altare maggiore realizzato dallo scultore napoletano Giovanni da Nola. Per finire ritorno al Duomo, per completare la parte destra che non sono riuscito a visitare ieri. Interessanti sono i due monumenti sepolcrali alla famiglia Caracciolo presenti nella seconda cappella, scolpiti da Tino di Camaino e un pregevole Crocifisso ligneo del XII secolo. Infine, da una porta nella navata di sinistra, accedo alla Basilica di Santa Restituta con un’aula a tre navate che presenta nell’ultima cappella di sinistra un bellissimo mosaico di Lello da Orvieto raffigurante la Madonna in trono col Bambino fra i Santi Gennaro e Restituta (1322). E anche questa giornata è terminata, o meglio, non ancora, dato che mi aspetta una seconda gustosa cena alla Taverna a Santa Chiara, adiacente proprio al Monastero. Ordino una ottima pasta con patate e provola di Agevola, servita in ciotola di terracotta e braciola di vitello alla napoletana (involtino ripieno di formaggio, aglio, pinoli, uva passa, al sugo). Eccelso il calice di rosso Aglianico del Cilento della cantina Maffini.

È giunto anche l’ultimo giorno, i primi tre sono stati caratterizzati da un meteo ideale, non troppo caldo e con cielo quasi sempre poco nuvoloso. Oggi pare prevista un po’ di pioggia ma quando mi sveglio, all’alba, il cielo pare terso. Vorrei concedermi anche un ulteriore escursione alla celebre Solfatara di Pozzuoli, e così mi dirigo verso Piazza Garibaldi dove prendo la Metro 2 fino appunto alla cittadina di Pozzuoli. Vi giungo alle 7.30, ben prima dell’apertura del sito, prevista alle 8.30, con l’intenzione di fare una passeggiata in centro e sul lungomare. Purtroppo, vengo a sapere che il sito è chiuso. Pare che nel settembre del 2017 un bimbo sia caduto in una voragine e, nel tentativo di salvarlo, siano morti anche i suoi genitori. Da allora la Solfatara è rimasta chiusa. Non avrei mai immaginato che un sito di tale importanza fosse chiuso e non ho pensato di informarmi prima, dato che non l’avevo nemmeno in programma, ma mi domando come sia possibile che un luogo del genere, che richiama ogni anno centinaia di migliaia di turisti da tutta Europa possa restare chiuso per tutto questo tempo, gettando sul lastrico centinaia di persone che vivono di turismo, albergatori, ristoratori e decine di altri esercizi commerciali. Pare davvero inconcepibile. Scornato riprendo la metro, con l’intenzione di attutire la delusione con altre visite, così scendo alla fermata Mergellina, alla periferia ovest del capoluogo campano, il bel quartiere dove partono gli aliscafi per le isole del Golfo e dove sono ormeggiati gli yacht. Nonostante non sia inserita nel mio itinerario, entro nella chiesa locale di Santa Maria di Piedigrotta, dove tuttavia non è presente nulla di menzionabile, così mi incammino per raggiungere il lungomare dove posso ammirare la fila di bei palazzi che costeggiano la famosa via Caracciolo, che percorro per tutta la sua lunghezza, godendomi il calore del sole e ammirando il panorama del Golfo di Napoli fino alla via Partenope, nei pressi della quale ci sono due minuscole spiagge di sabbia dove un cartello indica la massima balneabilità. Non ne ho dubbi, dato che l’acqua appare davvero trasparente. Più avanti sono presenti lussuosi hotel come il Royal Continental e il Grande Vesuvio, quasi di fronte alla grigia mole del Castel dell’Ovo, che si trova sull’isolotto di Megaris. All’interno ci sono solo stanze vuote e qualche terrazza con un discreto panorama, null’altro. Attraverso la via Santa Lucia raggiungo Piazza del Plebiscito proseguendo per la successiva visita in programma: la chiesa di Santa Maria la Nova. L’edificio è a croce latina e a navata unica, con sette cappelle per lato. Il soffitto, in legno dorato è abbellito con 46 tavole di vari artisti dell’ultimo manierismo napoletano. L’interno è appariscente, il colpo d’occhio è favorevole ma, dato che bisogna pagare un biglietto, ci si aspetterebbe almeno una illuminazione sufficiente delle cappelle che invece è presente solo in alcune. Da citare la seconda di sinistra, con dipinti di Luca Giordano e Massimo Stanzione. Il tempo, nel frattempo si è messo al brutto e, mentre sono sulla famosa via dei Tribunali, comincia a cadere una debole pioggia che però non infastidisce più di tanto. Giungo alla chiesa di San Gregorio Armeno, adiacente al relativo complesso monastico. Con navata unica e cinque cappelle per lato, presenta un pregevole soffitto a cassettoni impreziosito con 52 scene ad affresco di Luca Giordano. Anche la cupola, che si eleva dal presbiterio, è decorata dallo stesso artista, con una Gloria di San Gregorio. La chiesa si compone di due cori, entrambi sopraelevati: uno dietro l’altare e l’altro dietro la controfacciata. La prima cappella di sinistra presenta una tela di Pompeo Landulfo raffigurante la scena dell’Adorazione dei pastori, mentre nella terza a destra, due bei dipinti di Francesco Fracanzano: San Gregorio gettato nel pozzo e Tiridate implora San Gregorio perché gli fossero restituite sembianze umane. Quindi mi concedo una pizzetta che consumo in attesa che cessi di piovere. Subito dopo il regolare caffè, servito regolarmente accompagnato da un bicchierino di acqua minerale, spesso gasata, entro nella chiesa di San Paolo Maggiore dove il soffitto è andato perduto a causa dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale e spoglio, come l’abside. L’arco d’accesso alla zona presbiteriale ha dei pregevoli affreschi di Andrea Vaccaro, ma per il resto, un bel colpo d’occhio ma poco di veramente menzionabile. È giunto il momento di una delle esperienze più entusiasmanti da fare a Napoli: il Museo del Tesoro di San Gennaro. In 700 anni si è formato un tesoro costituito da gioielli, dipinti, sculture, statue, arredi in argento e tessuti. Fra le meraviglie osservate citerei una straordinaria collana ornamento per il Busto di San Gennaro, costituito da 13 grosse maglie d’oro con diamanti, smeraldi e rubini del maestro orafo Michele Dato. Straordinarie le statue d’argento presenti, collaborazione tra scultori e argentieri napoletani. Stupende le statue di San Michele e di Sant’Irene. Ma il capolavoro assoluto è la Mitra gemmata di San Gennaro. La Deputazione del Tesoro di San Gennaro commissionò la realizzazione della Mitra a Matteo Treglia, orafo del famigerato borgo napoletano, che, insieme ad altri 50 colleghi, completò il lavoro in un solo anno. Il risultato fu sorprendente: un vero e proprio ricamo orafo ottenuto grazie ad una tecnica di incastonatura e un innovativo taglio delle pietre preziose. Furono utilizzate solo tre tipologie di pietre: gli smeraldi, che alludono alla conoscenza; i rubini, che simboleggiano il sangue di San Gennaro; i diamanti che, essendo le pietre più dure, rappresentano la fede. Si tratta di uno degli oggetti più preziosi al mondo: 3964 pietre preziose, 198 smeraldi, 168 rubini, 3.328 diamanti, il tutto per 18 kg di peso. Il viaggio sta per terminare, la penultima visita alla chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova. Situata di fronte al Palazzo Arcivescovile, è ora un museo super efficiente che vale di certo il prezzo del biglietto. L’interno è a navata unica, con tre cappelle per lato. Il soffitto purtroppo è rovinato, ma le cappelle sono in buona condizione con stucchi dorati. Nella prima di sinistra due belle tele di Charles Mellin: una Annunciazione e una Immacolata Concezione, mentre nella terza di destra è una tela di Francesco Solimena: San Francesco riceve i simboli della beatificazione e della santità. Da citare l’altare maggiore sul presbiterio, ai lati del quale sono due grandi dipinti di Luca Giordano: Nozze di Cana e la Moltiplicazione dei pani e dei pesci. Breve tragitto fino alla metro 1 di Museo e scendo a Municipio, dove completo la giornata con il celeberrimo Castel Nuovo, altrimenti chiamato Maschio Angioino, storico castello medievale e simbolo di Napoli. Indubbiamente è di bell’impatto; tra le due torri che difendono l’ingresso è presente un arco di trionfo destinato a celebrare l’ingresso di re Alfonso nella capitale. Molte sculture sono attribuite ad importanti artisti del tempo come Guillem Segrera, Domenico Gagini e Francesco Laurana. Fin qui tutto bene, ma all’interno c’è ben poco che valga la pena da visitare. La tanto decantata Sala dei Baroni è semplicemente un’ampia sala coperta da una volta ottagonale. Un tempo completamente affrescata da Giotto, ora è solo dipinta di bianco. La cappella delle Anime del Purgatorio è visibile solo dalla vetrata esterna, ma non mi è parsa imperdibile. La Cappella Palatina offre solo una bella statua di Domenico Gagini che rappresenta la Madonna col Bambino. Lungo la sala dipinti modernisti che userei solo come legna da ardere. Non parliamo del percorso museale dal terzo al primo piano, dove in spazi comunque contenuti si visionano tele di artisti napoletani del 19° secolo. Inutile dire che per ogni sala non ci ho dedicato che 5 minuti. Bene, il viaggio è terminato. Non mi resta che raggiungere con un autobus Piazza Garibaldi, dove prenderò l’Alibus fino all’aeroporto di Capodichino. Partenza alle 21.55 rispettata e atterraggio addirittura con dieci minuti di anticipo sul previsto. 

Visite

Domenica - Chiesa di Santissima annunziata 6, Pio Monte della Misericordia 6, Basilica di Santa Chiara 6.5, Quartieri Spagnoli 7, Palazzo Zevallos Stigliano 6.5, Galleria Umberto I 7, Teatro San Carlo 7, Palazzo Reale 8, San Francesco di Paola 6.5, chiesa di San Domenico Maggiore 7, chiesa di Gesù Nuovo 7.5.

Lunedì – Museo Capodimonte 8.5, chiesa di Santa Maria della Sanità 7, Museo Archeologico Nazionale 8.5, chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco 6.5, museo civico Gaetano Filangeri 5,5, chiesa Sant’Angelo a Nilo 5.5, Cappella San Severo 7.5, Duomo 8

Martedì – Sito di Pompei 6.5, parco nazionale del Vesuvio 7, chiesa di Sant’Anna dei Lombardi 7,5, basilica di San Lorenzo Maggiore 7.5

Mercoledì – Pozzuoli 5, chiesa di Santa Maria di Piedigrotta 5, Castel dell’Ovo 5.5, chiesa di Santa Maria la Nova 7, chiesa di Sa Gregorio Armeno 7, basilica di San Paolo Maggiore 6.5, Museo del Tesoro di San Gennaro 8.5, chiesa di Santa aria Donnaregina Nuova 7, Castel Nuovo e Museo Civico 6.5

 

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